Gli X-Men ai frutti di bosco
di Gennaro Fucile
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L' ibrido è con noi, sempre. È in noi, in semplici gesti quotidiani, ad esempio, come quando si apre il frigorifero, si prende un vasetto di yogurt e una volta aperto lo si mangia, anzi lo si consuma. Qualche volta, prima si dà un’occhiata alla data di scadenza. Semplice, come guardare un film degli X-Men, si estrae il dvd dalla custodia e lo si inserisce nel lettore, tasto play e via. Momenti di ordinaria quotidianità, di intimo conversare della vita materiale con quella immaginaria. In un caso ci nutriamo con un prodotto frutto di ibridazioni progressive, nell’altro ci intratteniamo con personaggi che altro non sono che ogm. Facciamo un passo indietro nel tempo, in cucina, prima di arrivare al frigorifero. In principio erano circa due milioni di fermenti lattici vivi per grammo. Organismi monocellulari. L’insieme si chiamava yogurt, prima di essere arricchito con l’aggettivo bianco. Accadde quando venne contaminato da ciliegie, fragole, pesche e albicocche. Un fermento di idee che ha originato nel tempo un ibrido tra lo yogurt e il dessert, e poi i probiotici e i nutriceutici, pensati per nutrire, curare e donare benessere, yogurt dedicati a mantenere giovane la nostra pelle o a combattere il colesterolo. Vasetti che si prendono sempre dal frigorifero, si aprono, si consumano (sempre un occhio alla data di scadenza). Semplice. Schematizzando, lo yogurt alla fragola sta ai Fantastici Quattro come quello nutriceutico sta agli X-Men. Chimica dell’ibridazione tout court, materiali e immateriali modificati, mutati nel quotidiano, in quella liquidità che aggiorna il nostro eterno precipitare nell’infinito nulla di Friedrich Nietzsche. Accade nella vita di tutti i giorni, quando entriamo nei grandi magazzini italiani per eccellenza e troviamo un sexy shop, quando crediamo di entrare in un supermercato – luogo deputato del self service – e ci ritroviamo in uno spazio che affianca scaffali, botteghe, ristoranti e banchi di vendita assistita come le pescherie. |
Succede quando ci dirigiamo verso un’insegna che ci
segnala la presenza dei servizi postali e invece entriamo
in negozi che vendono lettori di dvd. Oppure, quando ritorniamo nello shop che ci era tanto piaciuto e non lo troviamo più perché era in scadenza, un temporary store, ovvero un negozio che nega la propria natura, la altera quantomeno, perché il commercio è fatto per durare, non per sparire programmaticamente. Tutto l’universo dello shopping è in continua mutazione, noi siamo immersi in un flusso di modificazioni progressive dell’offerta e siamo attori della relativa mutazione della domanda. Allora, non è forse questa la materia di cui sono fatti gli ibridi, quasi sempre mostruosi, che popolano il nostro immaginario? Il consumo anima il quotidiano, secondo alcuni è l’unica dimensione in cui tutti noi siamo chiamati a produrre qualcosa di creativo, come potrebbe tutto ciò essere assente dalle logiche che presiedono alla costruzione dell’immaginazione collettiva? Saperi che contaminano saperi, macchine che alterano macchine (i cellulari non esistono più, mutati in pc tascabili che telefonano anche), corpi che si modificano interagendo con entrambi. Gli X-Men e il detersivo che svolge le funzioni di sette prodotti diversi sono concepiti dal medesimo inner space. Tutto ciò ci conduce nei paraggi di un visionario che ci ha insegnato a non fidarci né della realtà né delle apparenze: Philip K. Dick. Uno che ha disseminato parecchi appunti sulle mutazioni poi sbocciati altrove, anche lontano da Hollywood, come nell’allucinato Akira di Katsushiro Otomo. Ancora su Dick e il cinema ne ragioniamo in questo numero, ma volete approfondire anche con qualche libro? Rivolgetevi alla vostra vending machine di fiducia. Sì, proprio quelle che in italiano si chiamano distributori automatici, macchine per vendere lattine e patatine. Ora vendono fiori, lettori di Mp3 e anche libri. | |||||