Esiste una ormai lunga tradizione di studi che riconosce la reciprocità
tra le forme di conoscenza e le caratteristiche sociali. Le idee che
affollano un contesto socio-storico e le specifiche tipologie di
formulazione dei concetti sono fenomeni che incidono sulle forme
concrete di organizzazione sociale, ma che allo stesso tempo sono da
queste quanto meno influenzate1. Nel solco di una simile tradizione
si inserisce senza dubbio il lavoro di un fine intellettuale del
Novecento non molto noto, ma di indiscusso valore. Si tratta di
Paul-Louis Landsberg, discepolo di Max Scheler, filosofo morto in un
campo di concentramento nazista nel 1944. Il suo pensiero si dispiega
come una lucida analisi delle modalità con cui le rappresentazioni
della conoscenza prevalenti in un determinato periodo interagiscono
energicamente con le strutture sociali e con l’azione e lo spirito
individuale e collettivo. Un suo piccolo saggio, di recente
pubblicazione in Italia, ci svela il valore di alcune sue interessanti
concezioni2. “La teoria della conoscenza è l’esplicitazione
concettuale della comprensione che l’uomo, di volta in volta, ha di se
stesso come essere conoscente3”. Con questa affermazione Landsberg
definisce esplicitamente l’oggetto della propria indagine: egli intende
esplorare l’origine e le conseguenze sociali di quelle rappresentazioni
attraverso cui l’uomo struttura la sua conoscenza e la propria
auto-comprensione. Vale a dire l’origine e le conseguenze di una certa visione del mondo
che plasma la coscienza individuale e collettiva, diffondendosi
attraverso una sorta di contagio concettuale, e tramite cui ogni
individuo, immerso esaurientemente nello spirito del proprio tempo,
acquisisce una sorta di prospettiva autoevidente della realtà. Egli
sembra così ben riconoscere la determinazione reciproca tanto tra le
teorie della conoscenza, o presumibilmente la conoscenza tout court, e il contesto storico-sociale, quanto tra l’individuo e organismo collettivo di riferimento. Landsberg
confronta così diversi modi di strutturazione del sapere e dell’idea di
conoscenza, storicamente succedutisi nel percorso dell’Occidente, con
la definizione di configurazioni sociali corrispondenti. Egli insomma
ravvisa, attraverso un’attenta interpretazione storico-sociologica
della trasformazione della società occidentale, il passaggio da “un
modo di intendere solidaristico a uno individualistico, e da uno
aristocratico a uno democratico4”. La differenza nel modo con cui una
società si rappresenta la creazione dei concetti è fondamentale. Così,
l’età moderna risulta caratterizzata da un energico nominalismo
che vincola la nostra naturale e tacita concezione del mondo, e ad esso
va ascritta la sua “tendenza individualistica”. Figlio di una
tradizione di pensiero che (seppur in qualche modo riconducibile alla
genia del molto più radicale atomismo democriteo ed epicureo) abbraccia
teorici del calibro di Francis Bacon, Thomas Hobbes, John Locke, David
Hume, il nominalismo considera i concetti generali come formati
dall’unione di singoli elementi attraverso logiche funzionali. Questi
“singoli” avrebbero lo statuto di realtà che mancherebbe invece ai
concetti generali. Un simile modo di pensare nominalistico contagia
qualsiasi forma di conoscenza e di esperienza o visione del mondo,
plasmando perfino il senso comune. Tant’è vero che una simile
inclinazione gnoseologica sarebbe la base cognitiva della
strutturazione contrattualistica della moderna società occidentale: i
singoli individui si associano in gruppi regolati in maniera
contrattuale che non hanno senso di per sé, ma che rappresentano delle
strutture semplicemente sussidiarie rispetto agli individui stessi da
cui sono generate. I gruppi sarebbero in pratica costruzioni
concettuali tutto sommato apparenti. Landsberg sembra così recuperare,
in maniera del tutto peculiare, il passaggio di ispirazione tönniesiano5
dall'idea di Gemeinschaft a quella di Gesellschaft o, per dirla alla Émile Durkheim, dalla solidarietà meccanica a quella organica6. Per
Landsberg, nella modernità l’individuo troneggia implacabilmente,
mentre vengono a cadere quelle forme tradizionali di solidarietà che
caratterizzavano le società premoderne, alimentate dalla teoria della
conoscenza opposta al nominalismo, ossia il realismo.
L’individualismo nominalistico permea oggi il nostro modo di intendere
il mondo, risultando autoevidente, così come il modo di pensare
realistico condizionava le forme societarie che ci hanno preceduto e i
meccanismi di autopercezione degli uomini che le hanno abitate. In
particolare, il realismo è stato una componente precipua e pervasiva
delle società primitive. L’uomo primitivo, infatti, si percepisce come
membro di un corpo comunitario che gli dà senso, in cui i dettami della
tradizione risultano imperanti ed insindacabili, mentre il suo status
di individuo viene tutto sommato annullato dalla sua appartenenza al
genere, alla stirpe. Nonostante una serie di differenze che
Landsberg prontamente mette in evidenza, questa modalità di
comprensione intellettuale è stata sostanzialmente ripresa dalla
tradizione filosofica sofista, da Empedocle, Socrate, ma poi
soprattutto da Platone con l’anamnesi delle forme archetipe e con la metexis partecipatio,
la partecipazione del singolo all’idea di cui fa parte. Il concetto
rappresenta una configurazione unitaria e autoevidente che non si forma
a partire dall’aggregazione dei singoli elementi, ma che anzi a loro
conferisce senso per riflesso. Allo stesso tempo l’uomo è tale solo
all’interno di uno Stato, di una comunità, una tradizione che certifica
la sua consistenza ontologica ed etica. Secondo Landsberg gran parte
dell’epistemologia medioevale di retaggio cristiano ha una formulazione
neoplatonica, sebbene, grazie a personaggi come Abelardo o Guglielmo da
Ockham prende corpo il germe del nominalismo che senza dubbio sfalda il
solidarismo arcaico aprendo la via all’individualismo moderno7. Inoltre,
l’età moderna è per Landsberg definita anche dalla sua “tendenza
democratica”. L’Occidente ha visto il passaggio da una forma di
conoscenza aristocratica, di ispirazione tendenzialmente platonica, in
cui la differenza d’essere (e di status sociale) incide sulle
potenzialità conoscitive, ad una forma di conoscenza democratica in cui
l’universalità della ragione conferisce a ogni uomo uguali capacità.
Laddove la sapienza era affare di pochi filosofi-re ora il
democraticismo gnoseologico dà credito ad attitudini cognitive
universalmente umane. Ma in questo universale l’individuo in quanto
entità autonoma trova presumibilmente una collocazione per certi versi
speciosa. Siamo di fronte ad un moderno mondo borghese in cui
la concezione della maggioranza acquisisce assoluta insindacabilità
etico-politica ed in cui, però, l’uomo pratico ha il netto sopravvento
sull’uomo teoretico. A detta di Landsberg, se tutto ciò ha
comunque consentito lo sviluppo del pensiero razionale-scientifico a
scapito di quello magico, ha però avuto come contraltare la diffidenza
verso qualità esistenziali-carismatiche e il discredito verso
forme di conoscenza metafisica, filosofica, teoretica che rivendicano
invece giustamente una loro legittimità. Per questo il filosofo tedesco
ripone le proprie speranze su tensioni gnoseologiche che tendano a
calmierare una simile radicalizzazione, da rintracciare soprattutto in
una versione più indulgente e matura dell’Illuminismo, distaccatosi
dall’ingenua glorificazione razionale e dalla condanna assoluta di
forme di conoscenza meno razionalistiche. Si tratta di approcci che,
verosimilmente, hanno l’intento implicito di conferire nuova dignità ad
una concezione pluralistica, saggiamente individualizzata e libera
della verità. Presumibilmente un simile atteggiamento tende
all’apprezzamento di un uomo fortemente responsabile, che sappia andare
oltre il mero quantum della vita moderna, oltre le gabbie delle
tecniche specialistiche, oltre l’oppressiva praticità, verso il
riconoscimento di valori umani più profondi.
:: note ::
1. Giusto a titolo esemplificativo si potrebbero citare i contributi in
tal senso rilevanti di autori come Georg Simmel o Max Scheler.
2. P.-L. Landsberg, Teoria sociologica della conoscenza, Ipermedium libri, S. Maria C. V., 2002.
3. Ibidem, pp. 43-44.
4. Ibidem, p. 44.
5. Cfr. F. Tönnies, Comunità e società, Ed. di Comunità, Milano 1979.
6. Cfr. É. Durkehim, La divisione del lavoro sociale, Ed. di Comunità, Milano 1996.
7. Sul rapporto tra intellettuali come Abelardo e Guglielmo da Ockham
e l’individualizzazione, cfr. anche A. Cavicchia Scalamonti, La morte. Quattro variazioni sul tema, Ipermedium libri, S. Maria C. V. 2007.
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