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John Greaves, una specie di enigma
di Claudio Bonomi

john greavesJohn Greaves è, come si legge nelle note biografiche del suo myspace, una specie di enigma. Insomma, nessuno se lo sarebbe mai aspettato che questo bassista gallese, classe 1950, avrebbe scalato i vertici della perfezione. Prima come compositore con Kew.Rhone., nel 1977, insieme a Peter Blegvad e Lisa Herman, e, oggi, con Verlaine, come cantante e compositore. Sì, davvero, si resta positivamente interdetti, davanti alle bellezza della sua ultima fatica che vede l’ex Henry Cow mettere in musica liriche del poeta Paul Verlaine: non c’è un brano della raccolta che non faccia vibrare le “antenne” del cuore. La sua voce si è fatta più matura, solida, bassa e roca, da consumato chansonnier, e sorprendenti sono anche gli arrangiamenti cameristici tracciati dall’onnipresente piano elettrico suonato da Greaves che, in questa impresa, si fa accompagnare da un affiatato gruppo elettro-acustico alle prese con archi, armonica, ukulele, fisarmonica, fiati, chitarra e  percussioni. D’altronde, tutta le carriera di Greaves è sempre stata all’insegna della scoperta: gli inizi in Inghilterra  nei primi anni Settanta con gli Henry Cow (gruppo di fuoco del movimento “Rock in Opposition”), poi la trasferta a New York, l’incontro con Carla Bley e Michael Mantler e la registrazione di Kew.Rhone. e, quindi, il ritorno in patria e l’ingresso nei National Health con il vecchio amico Dave Stewart insieme a Phil Miller e Pip Pyle (Of Queus and Cures e D.S. Al Coda, basato su composizioni di Alan Gowen). Dagli anni Ottanta Greaves dà il via ai suoi lavori in solo sempre in parallelo a collaborazioni prestigiose (Soft Heap, The Lodge, Peter Blegvad, Michael Nyman, Michael Mantler ecc.) e inanella una serie di album, tutti degni, a partire dal bellissimo e obliquo Accident, registrato tra il 1980 e il 1981 a Parigi per l’etichetta indipendente Europa di Jean-Pierre Weiller. Dal 1984 si trasferisce in Francia e qui inizia a lavorare con un’eterogenea schiera di musicisti: Francois Ovide, l’ex Gong Mireille Bauer, Sophia Domancich, Pip Pyle, Kristoffer Blegvad ecc. e fa parlare di sé attraverso altri “grandi progetti”: da Songs (1995) con ospite Robert Wyatt (qui Greaves riarrangia brani del suo repertorio, cimentandosi al canto solo in The Green Fuse) a Loco Solo-Live in Tokyo (2002) e Chansons (2004) con Elise Caron. Nel 2003 parte il progetto “Dedicated to you”, omaggio alle composizioni di Robert Wyatt, e nel 2007, Greaves e Blegvad riportano in scena Kew.Rhone. Nello stesso anno presta la voce al progetto “Songs from the beginning” del chitarrista-compositore Alain Blesing con remake di pezzi celebri di Soft Machine, King Crimson, Hatfield and the North, Who, Led Zeppelin ecc. 

Parliamo di Verlaine, il tuo ultimo lavoro. Poesie di Verlaine trasposte in canzoni. Vuoi descriverci la genesi di quest’opera? Da dove te ne è venuta l’ispirazione?
Volevo fare un disco tutto in francese, dopo aver vissuto in Francia per oltre vent’anni. Volevo anche rileggere poeti che non avevo riaperto da un’eternità: Mallarmé, Baudelaire, Rimbaud, Apollinaire. Non volevo tuttavia mettere in musica la poesia. Ero in cerca di canzoni. Se si legge Verlaine appare subito chiaro come, per rigore strutturale e limpidezza tematica, le sue poesie richiedano di essere cantate.

Vuoi dedicare qualche parola a tutti i musicisti che hanno preso parte alla registrazione di Verlaine?
Ho cominciato a lavorare al progetto da solo, con un piano Fender Rhodes e una click track, [un indice per le sovraregistrazioni]. Gli ospiti li ho aggiunti uno alla volta. Si trattava per lo più di amici di passaggio a Parigi. È stato interessante vedere l’albero crescere, mutare direzione con ogni nuovo intervento senza per questo smarrire il filo originale. È stato così in ogni passo, dall’armonica di Karen (Mantler) e dall’ukulele e dalla sega di Fay (Lovsky) alla batteria di Matthieu (Rabate), che è riuscito a inserire al termine del processo. Un procedimento molto insolito. I musicisti sono tutti delle star: Jef Morin, Scott Taylor, Jeanne Added, Laurent Valero... è il loro contributo, mi pare, a fare del disco un’opera eccezionale.

Vivi in Francia da vent’anni e il tuo stile, ormai, è molto prossimo a quello di “chansonnier” come Leo Ferré o George Brassens. Quanto conta, per te, la cultura musicale francese?
Sì, è un bel po’ che sto qui. Ammiro molto Ferré e Brassens, ma non mi sembra di avere uno stile simile al loro. Diciamo che questo disco è comunque il mio piccolo “omaggio” al clima culturale di cui per anni mi sono imbevuto.

I compositori/musicisti con cui hai collaborato hanno sempre mostrato un interesse speciale per la parola. Per esempio Henry Cow, Peter Blegvad e Michael Mantler. E tu? Ti stai concentrando di più sulla parola?
Credo di ricavare ancora una grande gratificazione dal saper mettere nel giusto rapporto la frase musicale e quella poetica. C’è una tecnica, in realtà. Lingua e musica mi interessano a ugual titolo.

Il tuo canto è originalissimo, unico. Quand’è che hai deciso di esprimerti come cantante? Hai dei modelli, del pattern da cui prendi ispirazione?
La mia voce, diciamo così, fa quello che vuole lei. È volubile e di tanto in tanto ispirata. Mi piace come maltratta la lingua francese. È una cosa piuttosto perversa.

Hai intenzione di proporre Kew.Rhone. live con la cantante originale, Lisa Herman. Vuoi parlarci di questo progetto?
Mi è stato chiesto di allestire un’esecuzione di Kew.Rhone. a Bourgouin-Jellieu, vicino a Grenoble. Il Cielo ha voluto che Lisa potesse e volesse farlo, e anche Peter. Dopo trent’anni finalmente potremmo eseguirlo più o meno nella sua interezza. Alla tromba ci sarà David Lewis, alla batteria Simon Goubert. Il 24 maggio, credo.

E il progetto del tributo a Robert Wyatt, “Dedicated to you” con Karen Mantler, Sylvian Kassap e altri? Registrazione in vista?
Mi piacciono molto le rivisitazioni delle canzoni di Robert come fatte da Karen e da Jacques Mahieux. Registrazioni, niente ancora, ma credo che lo registreremo per la radio tedesca al festival del jazz di Francoforte, in ottobre.

Vorrei che spendessi qualche parola sul progetto “Songs from the Beginning”. È solo una collaborazione o c’è di più?
Mi sono divertito a cantare quelle canzoni. Era solo una collaborazione.

Torniamo un po’ indietro. Come vedi oggi la tua carriera con gli Henry Cow? Perché lasciasti il gruppo, al principio del 1976? Non eri forse d’accordo con il nuovo ideologismo inclinato a sinistra di Henry Cow?
È passato molto tempo. È stato un periodo di grandissima ispirazione e formazione. Come essere nei Marines, forse, una cosa che non ti togli più di dosso. Comunque sì, cominciai a trovare soffocante quel dogmatismo e preferii passare oltre.

Tornato dagli Stati Uniti, dopo aver ultimato Kew.Rhone., ti sei unito ai National Health: un contesto musicale diverso, paragonato a Henry Cow e ai tuoi nuovi colleghi! Come hai fatto?
In un certo senso, come bassista, National Health era per me più impegnativo. Certo, meno iconoclastici, ma più interessanti formalmente.

Del tuo lavoro con i National Health è rimasto in archivio qualche cosa d’inedito?
No, che io sappia.

E registrazioni della John Greaves Band con Elton Dean, J. F. Pauvros e Pip Pyle?
No, a meno che da qualche parte non esista un bootleg.

Come bassista sei autodidatta? Hai ricevuto lezioni da ragazzo? Vuoi parlare della tua educazione musicale?
Sì. Ho imparato a suonare il basso a tredici anni nell’orchestra da ballo di mio padre. Come compositore, qualunque progresso abbia fatto direi che ne siano responsabili gli Henry Cow.

Quel è stato il primo disco che hai comprato? E che cosa ascoltavi quando hai cominciato la tua carriera di musicista?
A otto anni ho comprato Mountain Greenery di Mel Tormé. Nei primi anni Sessanta, un’inebriante mistura di Dave Brubeck, Miles Davis, The Big Three e i Beatles.

Nella tua lunga carriera hai suonato con tanti ma… oggi, con chi vorresti farlo?
Il bello di questo mestiere è che c’è sempre gente interessante, eccitante che vien fuori da chissà dove. Io non vedo l’ora di incontrarne il più possibile.

Parliamo del futuro. Progetti nuovi? Verrai in Italia?
Mi piacerebbe suonare di più dal vivo. Portare in tournée Verlaine, forse anche Kew.Rhone. Sto per cominciare un altro disco in francese. Più in là nel mio futuro non riesco a vedere. In Italia verrò volentieri quando m’inviterà qualcuno!