Nel blu dipinto di blu, o giù di lì
di Gennaro Fucile
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Efanno cinquanta.
Tanti sono gli anni che festeggia nel 2008 il successo planetario di Domenico Modugno, la canzone Nel blu dipinto di blu, altrimenti detta Volare. Una melodia che evoca un intero mondo. Mezzo secolo dopo registriamo due dati di fatto rispetto alle prospettive di quell’anno. Non c’è stata l’apocalisse nucleare che poteva spazzare via ogni forma di vita in un attimo e, al tempo stesso, il mondo è diventato irriconoscibile, alieno, quasi emerso da macerie frutto di una distruzione totale. Si osservi il mondo nel 1958, alle spalle due guerre mondiali, ma rispetto al 1908 appare distante il giusto, se non fosse per il nucleare anche la forza di fuoco di tutti gli eserciti del mondo non sembrerebbe poi così spropositatamente diversa. La storia ha camminato con il suo passo, ha marciato tutt’al più, ma non ha corso come il migliore dei centometristi. Avrebbe iniziato pochi anni dopo Nel blu dipinto di blu questa folgorante accelerazione a volare appunto, e così anche se un quarantennale è un anniversario spurio ci siamo cascati e abbiamo preso di petto la questione: il Sessantotto, l’anno/evento, coagulo di mille avvenimenti, che ha modificato tutta la storia seguente con una forza pari a quella devastante del lancio delle bombe H su Nagasaki e Hiroshima nell’agosto del 1945. Guardate – sì guardate, non ascoltate – Modugno in quell’abbagliante esordio sanremese e spostatevi poi dieci anni avanti scegliendo a caso uno qualsiasi degli avvenimenti di quell’anno, non necessariamente eclatante, non le strade di Parigi in fiamme o quelle di Praga sotto il tiro dei blindati sovietici. Non servono scene di guerra dal Vietnam o l’assassinio di Marthin Luther King. Basterà solo osservare quel nero di origine cherokee, Jimi Hendrix, sono passati solo 10 anni? Ora tirate pure su il volume e ascoltate di seguito l’hit di Modugno e Voodoo Child. Così ci siamo cascati. |
Avremmo anche potuto riflettere
sui cinquant’anni del più celebre dei B Movie, The Blob, meditare su quella metafora potente dell’alieno che tutto ingloba, tutto consuma al suo passaggio, tutto fa suo, su questo singolare alieno che si modifica mutando ciò che lo circonda in parti di se stesso. Oppure, volevamo riflettere su The Blob e abbiamo pensato che il Sessantotto ne fosse la sua incarnazione storica con quel mettere solide basi culturali, paradossalmente, alla società postmoderna tolemaicamente ruotante intorno alla figura emblematica del consumatore che tutto ingloba, tutto consuma al suo passaggio, tutto fa suo, su questo singolare alieno che si modifica mutando ciò che lo circonda in parti di se stesso. Potevamo anche prendere in esame tutte le conseguenze dell’impatto del primo Sputnik con l’atmosfera al termine della sua missione. Cinquant’anni fa nell’aria, meno che polvere, ma tutto si trasforma, sarà iniziato con quell’impatto la svolta del mondo? Chissà, la risposta, cioè “… the answer, is blowin' in the wind”. Tuttora. Insomma, non potevamo sfuggire al ’68, come è stato impossibile sfuggire al timore superstizioso che impone in numerosi building di passare dal dodicesimo piano al quattordicesimo, o agli aerei di andare dalla fila dei posti a sedere numero 12 alla numero14. Omissione che si ritrova in altri ambiti della vita quotidiana e del tempo libero. Infatti, non è una svista, abbiamo deliberatamente saltato quel numero che timorosamente non scriviamo, passando anche noi dal 12 al 14. La domanda è ovvia, perché? Neo primitivismo, oscurantismo, anti-illuminismo, irrazionalismo di ritorno, oppure, come si indica tecnicamente, triscaidecafobia? No, no, meno pomposamente risponde alla perfezione la battuta finale di una commedia di Peppino de Filippo – neoterica ante litteram – che, oltre che titolarla, contiene anche la riflessione definitiva sulla faccenda. Semplicemente: “Non è vero, ma ci credo”… |