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L’immateriale di cui sono fatti i  video
di Alfonso Amendola

videoArte e tecnologia ovvero estremo avanzamento teorico e lucida pratica della sperimentazione creativa. Ben oltre la potente intuizione del Martin Heidegger1 lettore di una reciprocità tra poiesis e téchne. La contemporaneità ci insegna “il dato di fatto” di questa reciprocità, l’imprescindibile trionfare di un operare sperimentale fortemente tecnologizzato e in grado di mettere definitivamente in crisi tutti gli statuti “retorici” dell’arte. All’interno di questi precisi modelli socio-culturali2 troviamo il lato più interessante e tutto da scoprire della sperimentazione creativa contemporanea. Renato Barilli3, recuperando un’analisi di Zbigniew Brzezinsky, teorizzava la centralità del rapporto necessario tra “téchne” e “elettronica” come momento centrale di gran parte dell’esperienza creativa post anni Settanta. L’unione arte-tecnologia negli anni è stato più volte ripreso, utilizzato, esaltato, mortificato, ripensato, sempre però con l’idea di fondo di analizzare fenomeni che sappiano unire assieme espressioni di natura tecnologica-elettronica da un lato e una spinta produzione creativa vissuta e realizzata su un piano assolutamente sperimentale dall’altro. A ben riflettere tutti i momenti fondanti della creatività sono sempre stati determinati in un primo tempo dall’attenzione verso le tecniche (manuali, artigianali, strumentali) e successivamente dalle tecnologie (un discorso costante meriterebbero le riflessioni sulla riproducibilità dell’arte nella solida lettura di Walter Benjamin4, che è il testo base da cui cominciare qualsiasi riflessione tra “arte e tecnologia” e sul discorso verso le concezioni d’avanguardia che sono centrali per tutto il mio discorso). Recuperando ancora la riflessione di Barilli, nel rimando anche verso le nozioni teoriche di Marshall Mc Luhan5 possiamo giungere alla sintetica riflessione che: “se da un lato l’età moderna si fonda sulla termomeccanica di cui le varie arti e scienze offrono un’immagine omologica, successivamente l’età contemporanea (o postmoderna) è assolutamente riposta nella tecnettronica”. Logicamente con il trionfo costante e sempre più determinante nelle pratiche sperimentali della contemporaneità delle culture digitali, oggi il discorso si amplifica ulteriormente e comincia ad “invadere” saperi, sedimenti culturali, agire sociale, piani di formazione, attenzioni della didattica, pratiche, generi, e immaginazioni con una precisa attenzione del cinema che rappresenta, sicuramente, la soglia più alta di questa dimensione. Consapevoli che “… le modalità dell’immaginazione seguono le modalità secondo cui la tecnologia si evolve, e la futura efficienza tecnica susciterà una nuova immaginazione6.” Oggi il (corto)circuito dell’arte è ibridazione, incontro di forze difformi. Una “difformità” che si manifesta come energia, detonazione, ripercussione dinamica, scatto numerico, freschezza creativa, invenzione continua. Gli avanzamenti delle neo-tecnologie applicate al flusso espressivo si inclinano verso una sempre più densa riproposta dei modelli sperimentali che sembrano trovare nella produzione digitale di video indipendenti il massimo della realizzazione. Il video è la parte specificatamente destinata alla trasmissione o alla riproduzione delle immagini. Dare una definizione all’intera portata del termine è impresa assai ardua. Il video è, nella sua propria conformazione, all’un tempo un io-vedo-e-vado-oltre, un dispositivo, un sistema, una tecnologia, una forma d’espressione, una comunicazione televisiva, una solida, o meglio materica interfaccia (schermo o monitor) verso cui tutto sembra tendere per ritrovare – nella luminescenza ove la matericità si perde per lasciare spazio alla corpuscolarizzazione – la sua originaria assenza di peso, il seducente percorso proteso verso un non-dove che lascia percepire la leggerezza dell’assenza.

Le produzioni della sperimentazione video sono un linguaggio che, pur basandosi sulla griglia linguistica cinematografica, televisiva ed artistica, evadono dal semplice-complesso sistema semantico cinematografico-artistico propriamente detto, per entrare nei territori della ricerca estrema, della purezza e della contaminazione, della mescolanza cromatica e sonora. Fino a diventare matrice espressiva a se stante. Di strada la sperimentazione video ne ha fatta davvero tanta a cominciare dalla prima grande esplosione di “video art” (ovvero il termine più storicizzato e generale, per indicare gli artisti che utilizzavano tecnologie video). Esempio d’inizio storicamente riconosciuto resta l’operazione di Nam June Paik7, che presenta un’esposizione di lavori sperimentali realizzati su monitor nel marzo del 1963 presso la Galerie Parnass di Wuppental con il titolo “Exposition of Music-Electronic TV”, dove per la prima volta il televisore è trattato come strumento artistico (1963). Da un punto di vista storico, va detto che le matrici teoriche dello sviluppo creativo e le potenzialità artistiche della cultura audiovisiva avevano già avuto nobili e precisi anticipatori, penso in particolare ad alcuni saggi prioritariamente legati al linguaggio cinematografico, dove le attenzioni, le prospettive e le attese verso il linguaggio televisivo o proto-audiovisivo erano decisamente già in nuce8. Ma ben presto la sperimentazione video si allontanerà dalla modulazione televisiva. Nella nostra stretta contemporaneità, nella spinta fondante d’essere “assolutamente moderni”, penso sia sempre più utile riflettere verso un’idea allargata di sperimentazione video che trova la propria linfa espressiva nella totale reinvenzione (e forse anche consumazione) e diventa: videoarte, videoclip, computer grafica, videoteatro, videopoesia, performing art, videomultimedia e tanto altro ancora all’interno di un processo estetico e culturale che gradualmente si è sempre più allontanato dalle arti tradizionali, dal cinema e in particolar modo dalla televisione (fino alla dicitura storica di “Video Is Not Television”). “Video è diverso da televisione. O almeno è nato come qualcosa di diverso, nell’epoca in cui televisione significava, in primo luogo, fruizione passiva di programmi generalisti decisi altrove e diffusi soprattutto via etere a domicilio9”. Dire che il video non è la TV, quindi, significa coartare, una volta per tutte, il luogo comune che vuole, per poca conoscenza di questo universo, il video come propaggine televisiva. Bisogna pertanto addentrarsi nella concezione che la televisione è soltanto una delle diverse facce del prismatico video. Video, quindi, inteso come protesi tecnologica, come nuovo, seducente e veloce linguaggio, come medium-strumento assoggettabile ai più svariati usi sociali. Riferirsi, a seconda dei casi, al video con termini quali tecnologia, linguaggio, medium o strumento (termine più generale che comprende qualunque operazione-video), ci permette, attraverso diverse sfumature semantiche, di cogliere le più dissimili forme di specializzazione che il video incontra. In questi termini l’estrema versatilità fa del video un’interfaccia (in termini di tecnologia, di hardware), tuttora padrona e prediletta, una sorta di inter-medium onnivoro, inter-medium che investe, traveste, e sveste tutto ciò che incontra. 

Sperimentazione video vuol dire: oltrepassare gli schemi, rompere le pareti della normalità per approdare in un luogo fatto di novità, di esasperazioni percettive, è il principale motore che spinge le nuove generazioni a confrontarsi con gli strumenti che utilizzano quotidianamente (video, schermo, monitor, videoterminale, display, televisione, telefonini). Sono generazioni che si chiedono il perché di queste rivoluzioni sociali, cercano di capirle e di utilizzarle per penetrarne il significato profondo indirizzandole spesso verso la tensione artistica. Le generazioni della contemporaneità, sulla base di queste promozioni e visioni artistiche che hanno mutato anche il rapporto dell’uomo con la propria società, sembrano aver compreso che può essere utile servirsi di ogni supporto comunicativo per giungere ad uno scopo definito, uno scopo attraverso il quale trasmettere il rapporto (il più delle volte conflittuale) tra la propria vita e il mondo delle arti10. La sperimentazione è frutto estremo di conoscenza ed azione creativa. I principali elementi assorbiti dalle video culture (ossia il continuo sperimentare tecniche nuove accostate a forme artistiche quali danza, teatro, arte, poesia, musica) sono stati sicuramente i dettati delle grandi avanguardie del Novecento, ancor oggi vera prospettiva visionaria del novum e del rinascimento dell’immaginazione nel tempo del digitale che ridetermina anche l’intera storia dell’arte contemporanea11. Con il digitale il mondo della creatività mediologica esplode prepotentemente. Il rapporto spazio/tempo viene scardinato, come tante “convinzioni” vengono fatte saltare. La superficie cambia (e così la sostanza). Si va oltre lo spazio piano, oltre l’epidermide delle cose. Si entra in uno spazio in cui tutto può accadere e modificarsi. Modificarsi fino a diventare “oggetto diverso”, “straripamento”, “trasformazione irreversibile12”. I media, le tecnologie dell’informazione possono diventare parte integrante dell’accumulo interiore di un individuo, parte stessa del sé. Ecco che, in ultima analisi, il video diviene il luogo in cui il corpo umano perde peso, si fa fantasma, diviene immateriale13 In tal modo lo scenario creativo, nell’avanzamento tecnologico, si definisce come uno scenario altro. Uno scenario che sa essere, al contempo, sognato e concreto, antico e giovane, analitico ed emozionale.



1. Cfr. Martin Heidegger (1938), L'epoca dell'immagine del mondo in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze, 1968; Id. (1957), La questione della tecnica in Saggi e discorsi, Mursia,  Milano, 1976.

2. Cfr. Alberto Abruzzese, Forme estetiche e società di massa, Marsilio, Venezia, 1992; Sergio Brancato, Introduzione alla sociologia del cinema, Sossella, Roma, 2001; Gino Frezza, Cinematografo e cinema. Dinamiche di un processo culturale, Cosmopoli, Roma-Bologna, 1996.

3. Renato Barilli, “Lo spettacolo nell’era tecnotronica” in Claudio Vicentini, (a cura di), Il teatro nella società dello spettacolo, Il Mulino, Bologna, 1983, pp.85-98.

4. Cfr. Walter Benjamin (1955), L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1991.

5. Cfr. Marshal McLuhan (1964), Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1997.

6. Jean Baudrillard (1968), Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano, 2003, p.35.

7. Cfr. Nam June Paik (1963), “Afterlude alla mostra di televisione sperimentale”, in Valentina Valentini, a cura di, Le pratiche del video, Bulzoni, Roma, 2003.

8. Cfr. in particolare Eugenio Giovanetti (Il cinema e le arti meccaniche, 1930), Dziga Vertov (Discorso alla prima conferenza sul cinema sonoro, 1930), Rudolf Arnheim (Film come arte, 1935), René Barjavel (Cinema totale, 1944), Sergei Ejzenstein (Il cinema e il miracolo della televisione, 1946), Burri e Fontana (autori del Manifesto spaziale sulla televisione, 1952), Carlo Ludovico Ragghianti (La televisione come fatto artistico, 1955), fino ad arrivare ad Umberto Eco che coglie nelle riprese con multicamere e nel conseguente montaggio delle dirette televisive degli anni Cinquanta e degli inizi degli anni Sessanta precisi atteggiamenti artistici e una potenzialità estetica notevole della televisione, anticipando in qualche modo procedure e stili della “futura” videoarte. Da: “Il caso e l’intreccio. L’esperienza televisiva e l’intreccio” (1962), in Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, Milano, 1988, pp.185-209.

9. Elisa Vaccarino, La musa dello schermo freddo. Videodanza, computer e robot, Costa & Nolan, Genova, 1996 p.15.

10. È in questo ambiente che a partire dagli anni Settanta si avverte l’avvio pionieristico della nuova arte, un’arte tecnologica che trova in tempo ed azione i due pilastri attorno ai quali dispiegarsi, interrogarsi e formarsi, e qui i nomi sono quelli fondanti di Marina Abramovich, Vito Acconci, Peter Campus, Joan Jonas, Bill Viola, Bruce Nauman, Woody e Steina Vasulka, Robert Cahen, Zbigniew Rybczynski, Studio Azzurro e l’inventore Jean Luc Godard. Cfr. Gene Youngblood, Cinema elettronico e simulacro digitale. Un’epistemologia dello spazio virtuale, in Rosanna Albertini - Sandra Lischi (a cura di), Metamorfosi della visione. Saggi di pensiero elettronico, ETS, Pisa, 1988; Fausto Colombo, Ombre sintetiche. Saggio di teoria dell’immagine elettronica, Liguori, Napoli, 1990; Maurizio Lazzarato, Videofilosofia. La percezione del tempo nel postfordismo, Manifestolibri, Roma, 1996; Simonetta Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte tra politica e comunicazione, Costa & Nolan, Genova, 1999; Sandra Lischi, Visioni elettroniche. L’oltre del cinema e l’arte del video, 2001; Valentina Valentini, Le storie del video, Bulzoni, Roma, 2003; Id., Le pratiche del video, Bulzoni, Roma, 2003; Silvia Bordini, Arte elettronica. Video, installazioni, web art, computer art, Giunti, Firenze, 2004; Silvana Vassallo - Andreina Di Brino (a cura di), Arte tra azione e contemplazione. L’interattività nelle ricerche artistiche, Edizioni ETS, Pisa, 2004; Andrea Balzola, - Anna Maria Monteverdi (a cura di), Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio, Garzanti, Milano, 2004.

11. Cfr. Mario Costa, L’estetica dei media. Avanguardie e tecnologie, Castelvecchi, Roma, 1999; Angelo Trimarco, Galassia. Avanguardia e postmodernità, Editori Riuniti, Roma, 2006; Antonio Tursi, Estetica dei nuovi media. Forme espressive e network society, Costa & Nolan, Genova, 2007.

12. Michele Cometa, Teatro e metropoli nella società dello spettacolo, in Il teatro nella società dello spettacolo, cit. pp.75-84.

13. Cfr. Angela Ferraro, - Gabriele Montagano (a cura di), La scena immateriale Linguaggi elettronici e mondi virtuali, Genova 2000, Costa & Nolan.