Il senso del dolore televisivo
di Carmine Treanni
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ue titoli di giornali: Uccide e brucia tre donne e il figlio. L’assassino era libero per
l’indulto e Stermina la famiglia, era
libero per l’indulto. Ecco come hanno
rispettivamente titolato La Repubblica e Il Corriere della Sera, il 12
dicembre 2006, quando la “Strage di Erba” venne
alla luce. Immediatamente, senza nessun riscontro oggettivo, vi
è un assassino designato Abdel Fami Azouz Marzouk, marito e
padre di due delle vittime, ma soprattutto straniero e pregiudicato. Un
caso esemplare dell’informazione-spettacolo che brucia i
tempi del giornalismo. Non c’è bisogno di
conferme, né di verifiche: lo spettacolo
dell’omicidio esige un colpevole, il più
velocemente possibile. Il processo mediatico è sempre
immediato. Poco importa se nelle ore in cui venivano ammazzate, con
metodi da killer professionisti, Raffaella Castagna, il piccolo
Youssef, la nonna Paola, e la vicina Valeria Cherubini, Marzouk si
trovasse fisicamente distante svariate centinaia di chilometri dal
luogo degli efferati omicidi, addirittura fuori dall’Italia. Di
quel delitto, come poi sapremo sempre dai giornali, verranno accusati
Rosa Bazzi e Olindo Romano, i due vicini di casa che sono attualmente
sotto processo.
Ma il giornalismo-spettacolo è un meccanismo assai complesso. Se è ormai quasi normale nei vari talk show analizzare, in modo quasi morboso, gli eventi di cronaca nera, altra cosa è il “divismo” che scaturisce da tutto ciò. Anche qui, il caso della Strage di Erba è lampante: Azouz Marzouk diventa presto un vero e proprio “uomo di spettacolo”, passando da Piazza Italia a Porta a Porta senza battere ciglia. Non c’è programma televisivo che non lo inviti per raccontare la storia di cui lui è una vittima. E ogni divo che si rispetti ha anche i suoi agenti: Marzouk viene cooptato dal duo Fabrizio Corona e Lele Mora, fotografo dei vip il primo e agente delle star il secondo. La consacrazione arriva con una puntata speciale di Matrix – il talk televisivo di Canale 5, condotto da Enrico Mentana – del 18 luglio 2007, cioè circa sette mesi dopo l’eccidio. Una puntata che viene definita sperimentale - con tanto di bollino rosso per segnalare la visione destinata a soli adulti. |
Questo esperimento è formato da una docufiction,
sulla strage di Erba, firmata dal famoso giornalista investigativo e
documentarista italoamericano Giorgio John Squarcia -
dall’eloquente titolo: Erba. I giorni
dell’odio – e dal classico dibattito in
studio, con protagonista ancora lui, Azouz Marzouk.
Ma la vetta della decenza – televisiva e non – è ancora lì, immacolata e pronta per essere scalata: il nome di Marzouk, padre e marito di due delle vittime, circola in merito ai possibili partecipanti dell’Isola dei Famosi, il reality show di RaiDue che da lì a qualche mese andrà in onda. Di questi fenomeni, Quaderni d’Altri Tempi si occupa da tempo e continuerà ad occuparsi, perché la realtà si è ormai avventurosamente mescolata alla fantasia, la cronaca alla fiction, con almeno due grandi effetti negativi. Il primo è che la realtà viene sempre più pericolosamente distorta: si perde, ad un certo punto, il punto di partenza. Non si parla più dell’omicidio e dei motivi che possono spingere dei vicini di casa ad ammazzare in modo così brutale anche un bambino, ma di una sua rappresentazione, un “film” potremmo dire che viene sceneggiato da giornalisti e protagonisti. Il secondo effetto negativo è che il pubblico televisivo, l’opinione pubblica - in una sola parola noi -, non si indigna più davanti ad eventi così tragici, ma anzi l’indignazione e il serio approfondimento giornalistico vengono semplicemente sepolti dalla voglia di voyeurismo dello stesso pubblico. Il tutto, ovviamente, certificato dal dio Audience. Viene in mente quel bel racconto di Robert Silverberg, dal titolo I mercanti di dolore (The Pain Peddlers, 1963), in cui il protagonista è il produttore televisivo di uno show in cui si effettuano operazioni chirurgiche su pazienti in fin di vita. I parenti del moribondo vengono profumatamente pagati affinché dispongano il non uso dell’anestesia. In questo modo, grazie ad un’avveniristica tecnologia, i telespettatori possono vivere le paure, il dolore e tutte le emozioni provate dal paziente sotto i ferri. Un racconto di fantascienza negli anni Sessanta, cruda e agghiacciante realtà nell’Anno di Grazia 2008. |