![]() | |
Il
futuro fossile sepolto a Chernobyl | |
di
Roberto Paura | |
Riprendendo
Baudrillard e la sua celebre classificazione dei simulacri, è allora che la
fantascienza passa dai productive
simulacra incarnati nelle macchine, basati su “energia e forza”, sul mito
prometeico del controllo della natura da parte dell’uomo, ai simulation simulacra dell’iperrealtà,
del cibernetico, dell’immateriale.[3] È allora
che alle grandi astronavi viste come protesi artificiali di un uomo lanciato
verso le stelle si sostituisce il cyberspazio visto come mondo costruito
dall’uomo all’interno del quale l’uomo perde e ritrova la propria anima. La
fantascienza postmoderna può oggi guardare al passato, ritrovando se stessa
nell’immaginario che ha prodotto nel tempo e che può essere esemplificato in
due grandi figure: quella a lungo agognata, poi raggiunta e infine dimenticata
della nave spaziale, e quella a lungo temuta e infine realizzatasi del disastro
nucleare. L’astronave: il paradiso in cielo. La
filosofa Hannah Arendt apriva la sua opera fondamentale, Vita Activa, con una riflessione sull’impatto che ebbe il lancio
del primo satellite artificiale, lo Sputnik, sull’opinione pubblica mondiale:
“La reazione immediata, espressa sotto l’impulso del momento, fu di sollievo
per ‘il primo passo verso la liberazione degli uomini dalla prigione
terrestre’”, e a tale riguardo la pensatrice si chiedeva: “Sarebbe questo
l’esito dell’emancipazione e della secolarizzazione dell’età moderna...: il
ripudio sempre più fatidico di una Terra che era la Madre di tutte le creature
viventi sotto il cielo?”[4] Nel
desiderio pressante dell’umanità di abbandonare la “prigione terrestre”, la
Arendt individuava un Quindi,
l’astronave andrebbe vista come simbolo della postmodernità intesa come
desiderio di fuga dalla realtà moderna? Non necessariamente. L’astronave va
piuttosto analizzata, come concetto dell’immaginario collettivo, attraverso una
doppia lettura chiaramente contraddittoria. Essa nasce come il simbolo più alto
del sogno modernista di una scienza liberatoria, lo stesso sogno che – continua
poi la Arendt nella sua opera – si può rintracciare nel desiderio della
genetica e della bioingegneria di prolungare la vita e perfezionare l’essere
umano. Eppure, è proprio qui il confine ambiguo tra i concetti di modernità e postmodernità: come sintetizza il sociologo Alberto Martinelli, “dalla iperrazionalizzazione emerge la de-razionalizzazione”, col risultato che la società postmoderna “modifica anche lo statuto della scienza e della tecnologia”, in quanto perde credibilità “il grande disegno della razionalità scientifica di controllare la natura”[5].
[1] J. Baudrillard, Simulacri
e fantascienza, in La fantascienza
e la critica. Testi del convegno internazionale di Palermo, Feltrinelli,
1980.
[2] La periodizzazione
canonica è: anni ’30-‘50, realismo; anni ’60-‘70, postmodernismo; anni
’80-oggi, fantascienza contemporanea. Cfr. R. Luckhurst, Border Policing: Postmodernism and Science
Fiction in “Science Fiction Studies” n. 55 Novembre 1991.
[3] J. Baudrillard, op.
cit.
[4] H. Arendt, Vita Activa, Bompiani, 2005, pp. 1-2.
[5] A. Martinelli, La modernizzazione, Laterza, 2004, pp.
118-120.
| |