I tipi di Edizioni Estemporanee sono – come si suol dire – una casa editrice relativamente piccola ma intraprendente, e con un catalogo assolutamente particolare. Recentemente hanno pubblicato un volume collettivo intitolato Questioni di Tempo. Il viaggio temporale nei media, letteratura, cinema, serie TV e videogiochi. La ricerca è curata da Alessio Ceccherelli, che è autore, oltre che di una corposa introduzione, anche di uno dei saggi ivi contenuti. Il volume ha inoltre un interessante supplemento di taglio compilativo, e l’appendice – in cui è contenuto – è una sorta di chiosa a posteriori del volume, a cui dà un preciso taglio interpretativo. Qui sono riportati infatti i numeri grezzi, le statistiche sulla produzione di narrazione intorno al tema del viaggio nel tempo attraverso i differenti media e nei diversi paesi, e vi si mostra la crescita esponenziale che questo argomento ha avuto e di cui siamo tutt’oggi testimoni. Da poco più di un secolo infatti il viaggio nel tempo è diventato il core business della narrazione contemporanea. A partire dalla pubblicazione de La macchina del tempo di H. G. Wells nel 1895, momento che gli autori scelgono come spartiacque, sino ad oggi, sono migliaia le opere che ruotano intorno al tema del viaggio nel tempo, o comunque ne sono inscindibili. Gli autori, dotati dell’occhio dello sperimentatore, per dare consistenza ai loro testi prendono volutamente spunto proprio da questa analisi quantitativa, e difatti, come vedremo, le considerazioni teoriche troveranno un reale fondamento nei dati esperiti.
Nell’analisi vengono considerati alcuni aspetti cruciali. Prima di tutto la direzione intrapresa nel viaggio, se verso il passato o il futuro, e le motivazioni che nell’impianto narrativo sono alla base dell’evento. Ci sono viaggi di tipo scientifico, altri per puro turismo, e molti dettati da motivazioni soggettive e personali. Inoltre, nella statistica vengono analizzate le differenze tra le narrazioni originarie di un paese piuttosto che un altro, per scoprire che la grandissima maggioranza dei testi è statunitense. È perciò chiaro che quello che potremmo chiamare l’inconscio collettivo di quel paese diventa un tema centrale per capire cosa nutre questo immaginario. Si tratta di ben 1.526 oggetti narrativi e quindi possiamo dire che l’analisi assume un certo valore di scientificità.
Costruire uno spazio di analisi
Il volume è diviso in due ampie sezioni. La prima – che potremmo definire teorica – vede susseguirsi quattro corposi saggi che affrontano, con approcci differenti, la relazione emergente da un lato tra le forme dell’immaginario legate al viaggio nel tempo, alla luce dei dati emersi dall’analisi quantitativa, i sistemi economici e di produzione dell’immaginario stesso, e dall’altro lo sviluppo tecnologico materiale che ha offerto a questo immaginario la materia con cui costruire le ipotesi di mondi passati, futuri o alternativi.
La seconda parte – un’analisi eseguita più squisitamente sul campo – invece ha come obiettivo l’analisi di quattro case studies specifici per ognuno degli ambiti in cui è stata effettuata la ricerca, ovvero letteratura, cinema, serie televisive e videogame. In tutti questi saggi il minimo comun denominatore è l’emergenza del circolo virtuoso esistente tra l’immaginario e la ricerca scientifica, che prendono costantemente spunto l’uno dall’altra. Questo è un fenomeno antico, ma mai come in questi ultimi decenni ha assunto una proporzione e una visibilità così evidente. In quest’ottica sono particolarmente incisivi e costitutivi soprattutto i saggi del primo gruppo, che cercano, con angolature differenti, di dettagliare questo rapporto, che si mostra complesso ma anche fondamentale sia per la comprensione del fenomeno, sia in generale per la definizione dei confini propri del processo scientifico nel contemporaneo. Gli autori di questa prima sezione sono Emiliano Laurenzi, il curatore Alessio Ceccherelli, Fabio Tarzia e Andrea Volterrani. Almeno due di loro (Laurenzi e Tarzia), hanno alle spalle tra l’altro diverse pubblicazioni intorno al tema dell’essere religioso, e di alcuni momenti radicali del sentimento religioso, e così Laurenzi si è occupato del wahhabismo, forma che l’Islam assume in Arabia Saudita e definita da Laurenzi capitalismo islamista, mentre Tarzia si è concentrato sulla storia del puritanesimo negli USA. Questa considerazione assume rilievo perché entrambi, nei rispettivi saggi, collegano l’aspirazione verso il viaggio nel tempo a una sorta di sublimazione di un sentimento religioso latitante. Ovviamente questo avviene in modi specifici.
Storia delle rappresentazioni del tempo
Il primo saggio si apre con una sorta di suddivisione della storia dell’umanità in grandi ere subordinate alla forma di percezione del tempo. Si tratta di una formulazione filosoficamente classica, dove si pone il mondo preistorico sotto l’egida del tempo circolare, legato al susseguirsi delle stagioni e degli eventi ciclici, a partire dalla nascita e dalla morte, fino a giungere alle rivoluzioni dei pianeti e delle costellazioni. È un mondo legato a quelli che noi oggi chiamiamo ritmi circadiani.
“Ci troviamo all’interno di un tempo assolutamente circolare o, esprimendosi mediologicamente, di tipo orale e auditivo – tattile. Questo è risonante, ripetitivo, ciclico: si può toccare nelle sue manifestazioni concrete, è ritmico e non conduce da nessuna parte”
(Laurenzi, in Ceccarelli, 2023).
Dai greci in poi al tempo ciclico delle colture si aggiunge quella freccia che lo trasforma in divenire, in ciò che, ribaltando completamente la concezione arcaica, non è mai identico a sé stesso. Questo passaggio collega il concetto di tempo a quello di movimento, iniziando così quel processo di spazializzazione del tempo, che ha permesso di ipotizzare l’idea che ci si potesse muovere nel tempo così come ci si sposta nello spazio. Dal punto di vista religioso, è solo in questo contesto che possono nascere le religioni del libro, abramitiche e monoteiste, proprio perché vedono alle loro radici un tempo mitico arcaico, un’età dell’oro, a cui segue una caduta nel mondo della ciclicità e della morte senza speranza, ma a cui infine viene prospettato un tempo salvifico, una fine dei tempi, un momento verso cui si muove inevitabilmente il tempo storico. Ma anche questa concezione lineare del tempo deve soccombere alla nascita della visione scientifica, e alla sua specifica concezione dello stesso.
“La scienza contemporanea vanifica l’immaginario del tempo come lineare e continuo. Fondamentalmente anzi elimina l’idea che esista qualcosa di autonomo chiamato tempo. […] Con ciò introduco il concetto mediologico d’una correlazione analogica, al livello di percezione, tra le rappresentazioni del tempo sviluppate dalla scienza e il modo in cui l’immaginario le traduce in un linguaggio comprensibile. […] L’elemento comune è che scienza e immaginario estrinsecano e sviluppano idee sul tempo e sulla possibilità di spostarcisi attraverso […]”
(ibidem).
Siamo dunque giunti all’oggi, nel mondo secolarizzato dove il tempo religioso messianico è scomparso e la scienza si è definitivamente appropriata degli strumenti di indagine del tempo, mettendone appunto in dubbio la sua stessa esistenza, come mostra in modo particolare il saggio di Emiliano Ilardi dedicato al cinema di Christopher Nolan.
“Il viaggio nel tempo allora, per via di simulazione, si addentra in ogni pertugio alla ricerca di una via di fuga dal presente. Il passato stesso non è più ciò che è stato, per definizione immobile, ma potenzialmente diviene un codice sorgente riscrivibile per modificare il programma del presente […]”
(ibidem).
Ed è proprio su questo concetto, la riappropriazione del passato per riscrivere a proprio uso e consumo il presente, che si fonda il concetto di retrotopia sviluppato da Zygmunt Bauman. Qui il filosofo coglie l’incapacità propria del nostro tempo di immaginare il futuro – concetto d’altronde ripreso anche tra gli altri da Fredric Jameson e Mark Fischer (cfr. Jameson, 2007 e Fisher, 2018).
“Quando questa [l’immaginazione, nda] poteva nutrirsi di una temporalità lineare (e del suo secolare corredo escatologico e trascendente), era in grado di prospettare un futuro ideale che non fosse in nessun luogo, cioè l’Utopia […]. Oggi non ci riesce più. Il viaggio nel passato è dunque il tentativo nevrotico di controllare il presente per dargli una forma riconoscibile e vivibile, a fronte di un domani considerato catastrofico […]”
(ibidem).
Ma, verrebbe da obiettare, non è certo da oggi che le tecnologie sono in grado di ridefinire i nostri sensi e la nostra relazione con il mondo – si veda il contributo di Ceccherelli, Un wormhole mediale: l’idea di viaggio temporale tra letteratura e cinema (e videogiochi) –, ma in questo contesto il fenomeno della spazializzazione del tempo ha creato ex novo delle modalità percettive. Un esempio chiarissimo lo abbiamo dalla macchina cinematografica. Questa permette, in un certo senso, di trasferire su pellicola lo scorrere stesso del tempo, che difatti può essere proiettato in una direzione oppure a ritroso, in barba anche alla seconda legge della termodinamica.
“La macchina del Tempo è in realtà una macchina cinematografica, e il cinema è una macchina del tempo, a prescindere dalla storia che viene raccontata, tratti o meno di viaggi temporali, lo spettatore viaggia, nel tempo e nello spazio”
(Ceccherelli, 2023).
Se però il passato è oggetto di ricostruzione continua, il futuro è puro terrore, cosa rimane al nostro spettatore, se non un eterno presente a cui tornare? Difatti una delle modalità più efficaci e reiterate del viaggio nel tempo è il cosiddetto time loop, dove il protagonista resta intrappolato nella continua, ossessiva e nevrotica continua ripetizione di un eterno presente che angosciosamente gli si ripropone. Questa particolare tipologia viene analizzata nello specifico nel saggio di Emiliano Chirchiano, dedicato a Deathloop, un videogioco dove si realizza un loop tra morte e vita. Eppure, nonostante la coscienza di questo eterno ritorno dell’orrendo, vi è nel time loop una sorta di rassicurazione e di serenità. È una certezza, seppur orribile.
“Il time loop non fa dunque […] che mettere in evidenza il conflitto tra realtà routinaria e immaginario desiderabile, il cortocircuito tra principio di realtà e principio di piacere”
(ibidem).
D’altronde, prosegue Ceccherelli, è esattamente ciò che facciamo nella nostra quotidianità:
“Ore e ore passate a vedere serie TV o anche semplicemente a scegliere cosa vedere, a immaginare o effettuare acquisti sui siti di e-commerce, a scorrere lo stream di Facebook, Instagram, TikTok”.
(ibidem).
Certamente un orizzonte poco gratificante, per lo meno a livello soggettivo. Ci si può chiedere però come può il fenomeno della retrotopia di Zygmunt Bauman, che indica un percorso al nostro sguardo, in fuga dal futuro, essere un fenomeno individuale, vista la sua dimensione che pervade l’intero occidente (cfr. Baumann, 2017). Difatti, Fabio Tarzia, nel suo saggio sul viaggio nel tempo nella narrativa americana, collega la direzione del passato con la storia americana, il suo avere origine da una grande fuga verso uno spazio virtualmente illimitato, dove desiderio e realtà si sovrapponevano, ma dove risiede anche il suo incubo.
“L’identità americana si costruisce nello spazio materiale che rappresenta la possibilità di esternalizzare il desiderio, realizzarlo in una dimensione vuota e incontaminata. […] L’America ha dei seri problemi con il suo passato, la sua Storia, perché nasce dal suo rifiuto. Ma cosa c’è in quel fondo oscuro nel quale non vuole calarsi?”
(Tarzia, in Ceccherelli, 2023).
Per Tarzia, studioso, come si è detto della matrice puritano-calvinista degli USA, è proprio questo il nodo, “il nesso perverso tra capitale e spirito religioso calvinista”. E quindi, se il tempo è metafora dello spazio, così come lo spazio è rappresentazione del tempo, i due viaggi si pongono in una sorta di equilibrio, scordando spesso che, comunque la si voglia vedere, si tratta sempre di operazioni di conquista.
In conclusione, ciò che emerge da questa caleidoscopica collettanea, è la volontà condivisa tra gli autori di fondare nel dato sociologico e antropologico, e quindi nelle forme in cui gli esseri umani agiscono, sia individualmente che collettivamente, quelle che in prima istanza sono delle forme narrative, differenziate tra loro dai diversi media che utilizzano. Far emergere il condiviso di queste, e costruire una sorta di teoria comune intorno all’espressione data al viaggio nel tempo, è l’importante risultato ottenuto.
- Zygmunt Baumann, Retrotopia, Laterza, Bari, 2017.
- Mark Fisher, Realismo capitalista, Not/Produzioni Nero, Roma, 2018.
- Fredric Jameson, Postmodernismo, ovvero La logica culturale del tardo capitalismo, Fazi, Roma 2007.
- H. G. Wells, La macchina del tempo, Einaudi, Torino, 2019.