“La bomba che debutta in società”: così Fabrizio de André stigmatizzava in Al ballo mascherato (1973) il ridicolo a cui presta il fianco un certo uso strumentale dell’immaginario esplosivo, proprio dell’attentatore novecentesco. Analogamente, anche in Giù la testa (1971) Sergio Leone racconta in modo ironico il ruolo destabilizzante della dinamite e dell’esplosivo tout court nel corso delle grandi rivoluzioni novecentesche. Questi elementi della contemporaneità (e molti altri, come vedremo) mostrano come si è radicato un processo di secolarizzazione della bomba, e dell’orrore a cui questa è legata. Tale evoluzione è legata a un ben preciso meccanismo di astrazione, storicamente determinato, che è stato esercitato in contesti ben precisi, e che concerne l’avvento, l’uso e l’abuso della bomba per eccellenza, la Bomba Atomica. Questo è il tema del breve ma denso testo di Pierpaolo Ascari, Fine di Mondo. Dentro al rifugio antiatomico da giardino, pubblicato da MachinaLibro, marchio del gruppo DeriveApprodi. Il tema purtroppo negli ultimi anni è tornato di cocente attualità, ma l’indagine di Ascari più che al presente si rivolge agli anni Cinquanta e Sessanta, ovvero il contesto in cui si costruisce l’immaginario intorno alla Bomba per eccellenza.
Marketing nucleare
Il processo a cui assistiamo oggi nei media ha un obiettivo preciso, e mira a portare nuovamente nel campo delle possibilità accettabili l’uso della bomba. Questo è esattamente lo stesso meccanismo che, durante la guerra fredda, almeno fino all’avvento di Kennedy e alla Crisi di Cuba, fu messo in campo dal governo americano verso i suoi stessi cittadini, continuando a presentare loro situazioni, eventi e scelte che comportavano e implicavano l’uso della bomba, o comunque almeno la inevitabile necessità di dover rispondere all’aggressione nemica. Distogliere lo sguardo dei cittadini dagli aspetti più tragici della bomba, e mostrarla poi come una triste esigenza, indicando contemporaneamente le strade da seguire per limitare i danni, fu per lungo tempo la strategia di marketing finalizzata alla sponsorizzazione della terza guerra mondiale. Evento che, per nostra fortuna, finora siamo riusciti, se non a evitare, almeno a scomporre in una molteplicità di conflitti locali. Ascari analizza in dettaglio questi meccanismi, riportando decine di esempi tratti soprattutto dalla cultura popolare, ma anche da report di organismi governativi, dove inconsapevoli funzionari a volte, quasi per errore, mettevano nero su bianco drammatiche verità.
Questo processo, di fatto, è un meccanismo finalizzato a disinnescare l’apocalisse stessa, diluendo quel senso della fine, di angoscia e terrore che si prova di fronte alla catastrofe. L’azione di chi oggi sminuisce gli eventi legati al global warming e al climate change è esattamente analoga. Sostenere la normalità di quanto sta accadendo, questo porsi in modo tiepido di fronte alla radicalità degli eventi, vantando la convinzione per cui a ciò che finisce si sostituirà naturalmente altro, tutto ciò porta ogni nostra azione, ogni impatto con la crisi, ogni nostro sguardo ad autolimitarsi, soffermandoci solo sul qui e ora, sul giardino di casa, a concentrarci sull’estetica di ciò che ci perviene. Ascari, che insegna Alma Mater Studiorum di Bologna, accenna nelle ultime pagine anche alle recenti alluvioni che nel corso dell’ultimo anno hanno colpito l’Emilia-Romagna, e sottolinea come sia l’immagine, diffusa al mondo intero tramite gli smartphone, anche in funzione della sua velocità, a rendere orizzontale l’evento, a rappresentarlo condiviso in maniera uniforme. Questo meccanismo però recide invece quella verticalità e profondità che dovrebbe essere propria dell’estinzione di ogni catastrofe e dell’apocalisse in prima istanza. L’evento trauma dovrebbe essere ciò che ti induce a ridiscutere, ti obbliga soprattutto emotivamente a fermare la quotidianità e a rimettere in gioco le tue scelte, ma il capitale non può essere messo in discussione, e quindi trasforma in marketing la tragedia stessa, rivendendola online nei reel di Instagram. L’apocalisse, ci insegna Søren Kierkegaard, è l’irruzione dell’eternità nel tempo storico, ed è proprio qui che il capitale compie la cronofagia che lo caratterizza, impedendoci così di cogliere quella verticalizzazione dello sguardo che lo status dell’apocalisse impone.
Questo meccanismo, ci racconta Ascari in dettaglio, ha portato, nell’America degli anni Cinquanta, alla vendita e diffusione dei rifugi antiatomici, sia in modo familiare, sia collettivo. Luoghi dotati di tutti i comfort, predisposti per poter essere autonomi e autosufficienti, sono il territorio in cui scorre il tempo necessario, il tempo dell’attesa, quel tempo messianico per l’avvento del mondo nuovo, senza però lasciare immaginare il deserto che avrebbero trovato una volta usciti. L’America, scrive Ascari, è la terra del millenarismo, sin dalle sue origini, trovando nei pellegrini del Mayflower le sue radici, solo che il paradiso va conquistato, e la strada per la redenzione spesso passa anche dall’inferno. Questa condizione è al centro del videogioco (poi apprezzata serie televisiva) Fallout, dove la protagonista riemerge proprio da uno di questi rifugi, rimasto di fatto agli anni Cinquanta, mentre fuori imperversava il cyberpunk più radicale: mutanti, banditi, assassini e mostruosità di ogni genere. Nella serie, solo citata da Ascari in quanto non ancora trasmessa integralmente al momento in cui il volume è andato in stampa, è ampiamente mostrato al pubblico il processo di normalizzazione avvenuto nei bunker sotterranei, dove le pratiche di vita, mantenute forzatamente agli anni Cinquanta, nascondono in sostanza tradimento e ipocrisia, pur di far sì che la salvezza sia un privilegio solamente bianco e occidentale.
“L’idea stessa di fronteggiare l’Armageddon con un genere di consumo assimilabile ai preparati per le torte o a una libreria dell’Ikea, non solo tradiva una buona dose di superstizione ma restituiva il polso di un paese che da troppo tempo stava delegando al circuito delle merci tutte le conoscenze delle quali, se davvero la situazione fosse precipitata, sarebbe stato più utile poter disporre di prima mano”.
L’incredibile mutazione: Hulk
Negli anni difatti la proverbiale passione per il fai da te, imperante nel mondo rurale, si è trasformata nel fenomeno del survivalism, ben descritto in Fallout ma anche in The Last of Us, anch’essa serie televisiva post apocalittica basata su un videogame. Ma le serie non sono l’unico luogo della cultura pop dove possiamo rinvenire le tracce di questa operazione. Ascari difatti cita in molte occasioni i comics Marvel, che proprio in quegli anni iniziano a pubblicare The Fantastic Four, Hulk, e molti altri personaggi che direttamente o meno sono collegati con il nucleare. I due esempi citati nascono però espressamente in seguito a radiazioni, che inducono la loro trasformazione, e quindi sono più di altri figli dell’atomica. È però vero che se i quattro del Baxter Building rappresentano in toto l’establishment e la loro mutazione è figlia di un errore, ciò che accade a Bruce Banner e che lo trasformerà in Hulk è in completa antitesi con le linee governative. Hulk è la testimonianza vivente dell’ipocrisia di un America pronta a relegare nel campo avverso ogni tipo di alterità, in particolare tutto ciò che è una imbarazzante conseguenza delle esplosioni atomiche. Anche il mondo del cinema non è certo distante da queste ambiguità politiche, che sono alla radice del ben noto film di Stanley Kubrick, Il Dottor Stranamore (1964).
Il sarcasmo e l’ironia con cui nel film vengono rappresentati i vertici militari sono la cifra di quegli anni, la stessa che attraversa la musica di Bob Dylan, Jefferson Airplane, Grateful Dead, musicisti che inglobano l’immaginario (l’incubo) atomico nelle loro canzoni. Quella parte dell’America che cercava di ampliare il proprio sguardo e che in quella musica si riconosceva si scopriva così incredula di fronte a una borghesia convinta di potersi salvare dall’olocausto nucleare scavando mini-rifugi antiatomici in giardino e riempiendoli di bottiglie di Coca-Cola.
Il concetto di “nuclear sublime”
Questa sorta di rituale preparatorio, vissuto con uno spirito profondamente messianico, nella convinzione che la fede possa davvero spostare le montagne e allontanare il mostro nucleare, si concretizza nel concetto di nuclear sublime. Qui il sopravvissuto alla catastrofe è finalmente liberato dai problemi di un mondo materialistico (il nostro) e la bomba viene (finalmente) posta sotto il cappello del rito purificatore, generatore del momento in cui i non degni verranno sterminati e solo gli eletti sopravviveranno. Insomma, alla fine sembrerebbe che questa narrazione altro non sia che una sorta di western sui generis dove viene messa una buona parola anche per i cari amici del Ku Klux Klan. Ma vi è una differenza fondamentale da sottolineare: l’immaginario atomico americano non è l’unico. Dall’altra parte del Pacifico negli stessi anni un paese aveva provato su di sé realmente (e non solo nei comics) la potenza devastante della guerra nucleare.
Il Giappone, sin da quei primi anni, e in seguito con una impressionante costanza che prosegue ancora oggi, ha prodotto migliaia di opere in ogni campo: romanzi, manga, anime, film, quadri, poesie, dove quell’evento catastrofico viene riprodotto e moltiplicato per dieci, cento, mille, diventando il mattone costitutivo della sua cultura contemporanea, nel bene e nel male. Questa polarizzazione, costitutiva dei due diversi immaginari, identifica la maschera che è propria del capitalismo messianico americano, forte della sua capacità mercificatoria applicata anche alla catastrofe, mentre dall’altro si sente solo il continuo batacchio di una campana a morto, una voce che – instancabile – continua a raccontare quella vecchia storia di due città nel 1945.
- Gunther Anders, L’uomo è antiquato. Vol. I Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2007.
- Alessandro Portelli, Bob Dylan, pioggia e veleno. «Hard Rain», una ballata fra tradizione e modernità, Donzelli, Roma, 2018.
- Abraham Riesman, Stan Lee, Rizzoli Lizard, Milano 2022.
- Autori vari, Fallout, Prime Video, 2024.
- Interplay Entertainment, Fallout: Post Nuclear Role-Playing Game, Interplay Entertainment, 1997.
- Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore. Ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, Columbia Pictures (home video)
- Sergio Leone: Giù la testa, Eagle Pictures (home video).