L’esplosione della bomba atomica, che per l’esoterista e occultista Louis Pauwels segnava “l’inizio della fine dei tempi”, fu salutata da suo padre, uomo imbevuto dell’ingenuo ottimismo positivista, come “il segno di un nuovo mattino. La materia stava per spiritualizzarsi, e l’uomo avrebbe scoperto intorno a sé e in sé stesso una potenza fino allora insospettata” (Pauwels e Bergier, 1997). Fu l’incontro con il divulgatore scientifico ed ex spia Jacques Bergier a far cambiare idea a Pauwels.
Ingegnere chimico di formazione, nel 1936 Bergier allestisce con tre colleghi un laboratorio di chimica per esplorare i segreti della materia. Vorace lettore poliglotta, soprattutto di fantascienza, nei romanzi e nei racconti su riviste come Argosy, All-Story e Amazing Stories si lascia affascinare dall’idea dell’energia atomica, anticipata dagli scrittori di fantascienza prima che dai fisici del progetto Manhattan.
Nel 1938 incontra il sedicente alchimista Fulcanelli, che gli rivela che la radioattività era stata già scoperta dalla ricerca alchemica in epoche antiche. Il suo spirito scientifico si ribella, ma alla fine il gusto per l’esoterico prevale. Germoglia così l’idea, sposata da Pauwels, che gli scienziati moderni starebbero solo riscoprendo conoscenze trasmesse agli uomini in epoche antiche e dimenticate, che la tradizione occulta avrebbe cercato di conservare sotto una patina di misticismo.
Nel 1948 realizza il suo primo esperimento alchemico e il metallo fuso in un fornetto, ossidatosi a contatto con l’aria, “rivela una struttura simile all’universo conosciuto. Innanzi ai suoi occhi si squaderna la Via Lattea e altri pianeti ancora, che la scienza non ha ancora scoperto” (Pagani, 2018).
L’ultimo dei maghi
Noto in Italia e in tutto il mondo per l’opera firmata insieme a Pauwels Il mattino dei maghi nel 1960 (titolo che riprende la frase attribuita da Pauwels al padre), Jacques Bergier è oggi perlopiù dimenticato; i best-seller successivi firmati in coppia con Pauwels non avevano il tocco magico ancora oggi intatto della loro opera prima, mentre poco noto resta il suo brillante volume su I libri maledetti (meritoriamente ripubblicato dieci anni fa da L’Età dell’Acquario) e gli altri suoi testi di fiction o autobiografici restano inediti.
Louis Pauwels e Jacque Bergier disegnati da Kevin Storrar.
Tuttavia, grazie all’opera di Andrea Scarabelli, curatore editoriale per il Palindromo e autentico cultore del bergierismo (basti ricordare la sua rubrica “I mattini dei maghi” su Storia in Rete), si è potuto celebrare il quarantennale della sua scomparsa con uno splendido inedito, la traduzione delle Admirations (1970) in cui Bergier ha steso il profilo di dieci “autori magici” la cui scoperta o riscoperta in Francia egli favorì nelle vesti di consulente editoriale; e che autori! Ci sono dentro J.R.R. Tolkien, che arrivò in Francia proprio grazie alla sua opera di convincimento sull’editore Christian Bourgouis, che in precedenza si era fatto convincere da Bergier a tradurre Howard P. Lovecraft, ma anche C.S. Lewis, Robert E. Howard, Arthur Machen, Stanislaw Lem o John W. Campbell. Cosicché alla sua terza uscita, fa centro nuovamente la collana I tre sedili deserti diretta da Giuseppe Aguanno.
Elogio del fantastico, come si è ben scelto di tradurre il titolo originale del saggio, è un perfetto compendio del Mattino dei maghi. Se lì i due autori introducevano il concetto di realismo fantastico o realismo magico che tanta fortuna ebbe in seguito, accludendo nel saggio anche racconti integrali di autori come Arthur C. Clarke (I nove miliardi di nomi di Dio), Walter M. Miller jr. (Un cantico per Leibowitz) e Jorge Luis Borges (L’Aleph), qui Bergier può entrare più nel merito di quel tipo di letteratura magica a cui allude nel libro che ne garantì il successo. Perché senza dubbio, laddove Pauwels, da discepolo di Georges Gurdjeff e lettore di René Guénon, era un fedelissimo e convinto assertore della “dottrina segreta”, per Bergier il confine tra tradizione ermetica, letteratura fantastica e scienza moderna è decisamente più impalpabile. Impossibile capire fino a che punto credesse in quel che diceva persino di sé stesso: se cioè millantasse, o invocasse la licenza poetica per ricamare fiction su fatti ben più prosaici di quel che raccontava. E impossibile è anche capire se per lui tutte le vicende raccontate nel Mattino dei maghi fossero vere o semplici fantasie: nella poetica di Bergier, la domanda non ha senso, perché il muro divisorio tra realtà e fantasia è finalmente caduto e il realismo fantastico ne è il suo erede:
“… il fantastico non è l’immaginario. Ma un’immaginazione potentemente applicata allo studio della realtà scopre che è molto tenue il confine tra il meraviglioso e il positivo, o, se preferite, tra l’universo visibile e invisibile” (Pauwels e Bergier, 1997).
Archeologia dell’immaginario
Bisogna insomma aver bene in mente cosa sia il realismo fantastico per comprendere la selezione di profili presentata da Bergier in Elogio del fantastico. Altrimenti è facile restare perplessi dall’accostamento di scrittori dal solido background scientifico come John W. Campbell, Ivan Efremov o Stanislaw Lem con altri ben più esoterici come Arthur Machen o Abraham Merritt (e in effetti Gianfranco de Turris, nella prefazione all’opera, mostra di non aver molto chiaro il senso delle scelte, non riuscendo, a differenza di Bergier, a superare la distinzione tra fantascienza e fantastico, né quella tra scrittori “occidentali” e autori “marxisti”). La scelta si deve al fatto che tutti e dieci questi autori, pur nelle enormi differenze che li separano, evocano una visione del mondo in cui il dominio asettico del razionalismo è destinato a venir meno, e in cui, pur sempre in una cornice coerente e scientifica, c’è spazio per l’irruzione del fantastico, del meraviglioso, del magico, e in un certo senso dell’Uomo. Con le loro opere, essi inverano la frase a più riprese ripetuta da Bergier e attribuita a J.B.S. Haldane, scienziato razionalista come mai ce ne furono: “L’universo non è più strano di quanto immaginiamo: è più strano di quanto possiamo immaginare”.
Uno dei leit-motiv di Bergier, che dominava Il mattino dei maghi, è l’idea che in passato siano esistite civiltà dimenticate in possesso di conoscenze superiori a quelle moderne, tra cui l’energia atomica. Ritroviamo questo tema in numerose opere analizzate in Elogio del fantastico. Per esempio, ne I tre ostaggi di John Buchan il protagonista si trova “nella biblioteca di un mago e percepisce in uno dei libri l’esistenza di «neri segreti abietti» più antichi delle stelle”.
Abraham Merritt, dopo una visita al sito archeologico di Chichén Itzá, racconta di esseri inconcepibili che dormono in attesa del loro risveglio tra le rovine ciclopiche di un’antica città del Pacifico ne Il pozzo della Luna, e della spedizione per riscoprire una civiltà tecnologica che vive nelle viscere della Terra nel seguito La conquista del pozzo della Luna.
Il grande Dio Pan di Arthur Machen si basa sull’idea che gli Antichi conoscessero un modo “di vedere l’universo nella sua totalità e non attraverso le strette feritoie dei sensi”, che essi chiamavano la “visione del grande Dio Pan”.
La Numenor di Tolkien, citata anche dall’amico C.S. Lewis nella sua Trilogia spaziale, non è che la versione fantastica del mito di Atlantide, come lo stesso Tolkien ammetteva, e di cui i popoli moderni non sono che pallidi discendenti (benché le idee di Bergier sull’interpretazione del Signore degli Anelli, in cui immagina che il potere dell’Anello di bruciare la carne sia un’eco della radioattività, che lo Specchio di Galadriel provenga da Venere, o che i Palantir siano il prodotto di antiche civiltà tecnologiche, non trovino riscontro nell’immaginario del suo autore).
L’Era Hyboriana in cui si svolgono le gesta di Conan nei romanzi di Robert E. Howard è un’epoca successiva alla caduta di Atlantide e Lemuria, in cui le conoscenze del passato sono possedute solo da potenti maghi e i popoli sono caduti in uno stato di barbarie (ma Bergier si affretta a destituire di fondamento le chiacchiere della teosofia e degli occultisti sulla reale esistenza di questi continenti scomparsi). Mentre il Re del Mondo nel romanzo Jimgrim di Talbot Mundy ha messo le mani sulla “biblioteca sotterranea di una civiltà scomparsa”, in cui “scopre libri su come fabbricare il soma, che gli conferisce un’intelligenza sovraumana” e “ricostruisce le armi e le macchine volanti degli antichi”.
Quello delle biblioteche segrete è un altro dei leit-motiv di Bergier, come dimostra anche la sua opera I libri maledetti. Amante degli pseudobiblia ma anche dei libri della tradizione ermetica, che legge come fossero romanzi di fantascienza, Bergier immagina che “nelle caverne sotto la sabbia del deserto” giacciano “volumi contenenti tutto il sapere dei regni scomparsi prima della nascita di Atlantide”, che celano “più sapere scientifico di quello a disposizione di chimici e fisici”. Immagina l’esistenza di un gruppo occulto, gli Uomini in Nero, incaricati di scoprire e distruggere questi libri affinché la conoscenza non cada nelle mani sbagliate, e da Talbot Mundy recupera l’idea, raccontata nel Mattino dei maghi, dell’esistenza di un gruppo di Nove Invisibili che da epoche remote custodiscono, in India, questo antico sapere. Qualcosa si ritrova anche in Radway, “superbo catalogo di letteratura occulta e antica” che Arthur Machen mette insieme nel 1885 catalogando i libri dell’omonima libreria londinese.
Ma Bergier non rivolge il suo sguardo esclusivamente al passato. La sua idea di fondo, simile a quella di J.B.S. Haldane che, non a caso, egli cita spesso nelle sue opere è che la scienza e la tecnologia moderna renderanno possibile all’umanità di compiere un balzo evolutivo gigantesco, recuperando il livello di conoscenze del passato e utilizzando queste scoperte per entrare in sintonia con il tessuto stesso dell’universo, dando vita a una nuova fase dell’evoluzione umana. Questo spiega la fascinazione per gli autori più “fantascientifici” di Elogio nel fantastico, sebbene molto diversi tra loro. Laddove infatti John W. Campbell e Ivan Efremov erano convinti propugnatori dell’esigenza umana di espandersi nel cosmo, nella fantascienza di C.S. Lewis e in quella di Stanislaw Lem si mette in guardia dai limiti delle capacità umane di comprendere l’universo e accedervi. Si tratta di opere, queste ultime, che presentano “un universo più vero, ragionevole e aperto alla nostra comprensione di quello mostratoci dalla scienza”. Per Bergier, il punto di partenza di qualsiasi sforzo di comprensione dell’universo è sempre la scienza; ma essa va ampliata includendo tutta una serie di conoscenze dimenticate, o di conoscenze future, che la comunità scientifica non sarebbe mai disposta a prendere in considerazione. In opposizione a quella che egli definiva la visione opprimente dello scientismo, cita un brano da Quell’orribile forza, forse il romanzo più bello e profondo di C.S. Lewis:
“Le scienze fisiche, buone e innocenti in sé, avevano già cominciato a essere distorte e subdolamente manovrate in una certa direzione. Negli scienziati si era sempre più affievolita la speranza di raggiungere verità obiettive; il risultato era l’indifferenza per questo problema e la ricerca esclusiva del potere puro e semplice. Ciance sullo slancio vitale e amoreggiamento con il panpsichismo promettevano di ripristinare l’Anima Mundi dei maghi. I sogni di un destino lontano e futuro dell’uomo diseppellivano dal sepolcro basso e inquieto il vecchio sogno dell’Uomo-Dio” (Lewis, 1999).
I superuomini del futuro di Campbell ed Efremov sono uomini-dio di natura diversa. Quelli di Campbell hanno riscoperto i poteri degli antichi dèi del passato, come la telepatia, la telecinesi, la chiaroveggenza (e l’energia atomica); sanno piegare lo spazio-tempo al loro volere e non hanno nemmeno bisogno di apparati tecnologici per farlo, tanto sono avanzati rispetto a noi. Quelli di Efremov, gli “Altri”, vivono in grandi comunità galattiche (il “Grande Anello”) e hanno per obiettivo il perseguimento della felicità. Sono ben diversi dai pionieri dei viaggi spaziali di Lewis, che portano sugli altri pianeti gli stessi pregiudizi, la stessa violenza e la stessa morale distorta che vige sulla Terra. Nella cosmologia di Lewis, gli esseri umani sono il frutto della Caduta, laddove invece le specie che vivono sugli altri mondi godono della grazia di Dio e delle potenze angeliche a cui ciascun pianeta è stato assegnato. È un cosmo ri-sacralizzato, come quello a cui aspira Bergier.
Elogio del fantastico gioca continuamente, come Il mattino dei maghi, sul sottile confine tra realtà e fantasia: le opere di questi autori sono indiscutibilmente fantastiche ma, al tempo stesso, presentano una visione possibile della realtà. Quello che raccontano è pura fiction ma, al contempo, rappresentano per Bergier un modo per avvicinarsi alla verità, una verità alternativa rispetto a quella dello scientismo moderno. Egli lo mette bene in chiaro nelle righe che chiudono il suo profilo di Talbot Mundy e l’intera opera, che potrebbero figurare benissimo a chiusura di una sua biografia:
“Non è da escludersi che un giorno i libri di Talbot Mundy possano essere riletti e studiati in cerca di indizi [sull’esistenza di antiche civiltà sconosciute]. Non credo, tuttavia, che risieda qui il loro interesse principale. Mundy ha anzitutto creato un mondo. Se l’India è solo paccottiglia, se l’Egitto non racchiude segreti veri, ciò non toglie che lui li abbia utilizzati per creare un universo più ricco del nostro, in cui l’avventura è ancora possibile. Ha amato e descritto con gioia questo mondo. Ecco perché, in fondo, non è importante sapere se l’abbia visto davvero o se l’abbia creato. Come se, tra l’altro, non fosse possibile fare entrambe le cose insieme…”.
- Jacques Bergier, I libri maledetti, L’Età dell’Acquario, Torino, 2008.
- Jacques Bergier, Louis Pauwels, Il mattino dei maghi, Mondadori, Milano, 2013.
- C.S. Lewis, Quell’orribile forza, Adelphi, Milano, 1999.
- Arianna Pagani, Nota biografica su Jacques Bergier, in Jacques Bergier, Elogio del fantastico, il Palindromo, Palermo, 2018.