Petardi, mongolfiere, razzi:
la space age in salsa gitana

Balázs Lengyel
Lajko – Gipsy in Space
Cast principale: Tamás Keresztes, 

József Gyabronka, Anna Böger, 
Tibor Pálffy, Fehér Lázsló,
Bohdan Benyuk, Zétény Varga,
Athina Papadimitriu,
Produzione: KMH Film, 2018
Distribuzione: CG Digital, 2019

Balázs Lengyel
Lajko – Gipsy in Space
Cast principale: Tamás Keresztes, 

József Gyabronka, Anna Böger, 
Tibor Pálffy, Fehér Lázsló,
Bohdan Benyuk, Zétény Varga,
Athina Papadimitriu,
Produzione: KMH Film, 2018
Distribuzione: CG Digital, 2019


In un’immaginaria antologia alternativa dello humour nero di bretoniana memoria, differente perché cinematografica, andrebbe inserita, senza pensarci su più di tanto, Lajko – Gipsy in Space dell’ungherese Balázs Lengyel, lungometraggio passato in Italia nel 2018 al Trieste Science+Fiction Festival, aggiudicandosi con merito il premio del pubblico. È la storia di un giovane gitano che spiana la strada a Jurij Gagarin, facendo da ennesima cavia, riuscendo a ritornare sano e salvo dallo spazio. Mai uscito nelle sale italiane, arriva in versione digitale, disponibile nelle modalità noleggio o acquisto sul servizio di Video on Demand di CG Digital, che prevede una selezione di film di genere (fantascienza, fantastico, horror) curata direttamente dal TS+FF. Tra i primi titoli selezionati, c’è per esempio il raffinatissimo The Whispering Star di Sion Sono e ora il lavoro di Lengyel. Spassosissima e amarissima commedia al cui centro c’è uno scombinatissimo pilota di aerei per irrigazione di nome Lajkó: davvero il primo uomo spedito nello spazio. Una storia alternativa in tutti i sensi, nonché uno dei migliori capitoli di quella sorta di riscrittura da Est della space age che disordinatamente si va componendo da un po’ di tempo a questa parte, forse complice l’anniversario degli anniversari, ossia quello del primo allunaggio, apice di una lunga storia fatta oltre che di tecnologia anche di letteratura e cinema, di musica e altro ancora.

Luna rossa con molte zone oscure
Oltre il Muro, si scorgevano unicamente i successi, i trionfi della cosmonautica sovietica, e si udivano soltanto le voci della propaganda. Tuttora non è affatto chiaro come andarono i test, i primi lanci di prova e tutto il resto dei preparativi che consentirono all’Unione Sovietica di essere la prima a inviare un satellite nello spazio, in seguito un essere vivente, successivamente un uomo e infine anche una donna. Sacrifici, morti, fallimenti: tutto opportunamente coperto da un silenzio cosmico. Basti pensare che anche il nome di Sergej Korolëv, l’uomo noto ai più come il grande costruttore, che realizzò con il suo team l’R7, “il capostipite di tutta la missilistica prima sovietica e poi russa” tant’è che “esaminando le rare immagini d’epoca, si osserva chiaramente come la struttura delle moderne Soyuz sia identica a quella del loro antenato” (Caraveo, 2019).

Fu così che venne inviato in orbita il primo Sputnik, “un messaggio per mettere in chiaro chi avesse la superiorità in campo spaziale e Chruščëv non si pentì certo della decisione presa. Il colpo mediatico fu straordinario. Tuttavia, neanche il successo planetario lo convinse a lasciare trapelare il nome di Korolëv” (ibidem). Figuriamoci se poteva trapelare il nome di qualche vittima dei primi tentativi, e di fallimenti ce ne furono da entrambe le parti: “tra il 26 novembre 1959 e il 20 aprile 1964 si contano quattordici fallimenti: sette americani e sette sovietici” (ibidem).
Non che oggi la cinematografia russa si sia redenta del tutto, anche se in un film del 2017, Salyut 7, di Klim Shipenko (anch’esso ha sorvolato il cielo del TS+FF nel 2017), l’epica si mescola con il dramma e l’eroismo è più genuino. Vi si narra della missione dei due cosmonauti che nel 1985 andarono a rappezzare la stazione spaziale sovietica Salyut-7 (senza equipaggio), che smise improvvisamente di rispondere ai segnali dei comandi dalla Terra. Attrezzati con i mezzi di allora, i due intrapresero una vera mission impossible che dopo aver sfiorato la catastrofe divenne un trionfo. L’episodio filma il tramonto dell’era spaziale sovietica, mentre Gagarin. Primo nello spazio di Pavel Parkhomenko di qualche anno prima (2013, anch’esso incluso nel servizio CG Digital), celebra con toni più calibrati rispetto al passato la vicenda del primo uomo nello spazio.

La conquista dello spazio da altre prospettive
È solo fuori dai confini russi, nell’ex orbita sovietica, però, che si può prendere visione di versioni d’altri tempi, alternative alla storia ufficiale. Operazione di riscrittura non della storia, ma dell’immaginario, che muove su registri o quantomeno su sottolineature diverse rispetto ai racconti occidentali, la cui controstoria principale resta tuttora quella del complottismo e della finzione allestita intorno al presunto sbarco sulla Luna.

A Est, anzi nell’ex Est, sono altri gli ingredienti principali: si prende a prestito qualcosa dall’ucronia e qualcos’altro dalla storica denuncia delle malefatte del regime. Nell’edizione 2018 del TS+FF, venne anche presentato uno strano lungometraggio a pupazzi animati tecnicamente ammirevole (costato sette anni di lavorazione!): Lajka di Aurel Klimt. Un racconto assai differente dello storico lancio della cagnetta, capace di mandare in corto un circuito virtuoso: fiaba, fantascienza, sense of wonder, stupore infantile, divertimento e un pizzico abbondante di psichedelia. Oppure c’è la storia d’amicizia e di denuncia della burocrazia di stampo sovietico a Cuba, raccontata dal cubano Ernesto Daranas, Sergio & Sergei – Il professore e il cosmonauta (2017), anch’esso ispirato a una storia vera, quella del cosmonauta Sergej Konstantinovič Krikalëv, rimasto in orbita a bordo della stazione spaziale Mir, mentre sotto di lui l’Urss si sbriciolava. Anche qui si mescolano dolcemente fiabesco e sarcasmo.

Una storia scoppiettante in tutti i sensi
In questo scenario, incompleto, spicca l’esuberante Lajko – Gipsy in Space, il più feroce nell’arte dello sberleffo e con il pregio di non cedere alla tentazione dell’happy end. Intanto il nome del protagonista (in realtà si chiama Lajos Serbán), che adegua al maschile quello della sventurata cagnetta sovietica. Straordinario Tamás Keresztes nell’interpretare il personaggio dallo sguardo sempre vagamente assente/innocente/smarrito di keatoniana memoria. A dargli una mano c’è un pugno di personaggi tutti all’altezza: il padre, lo zio, una fanciulla che Lajko troverà irresistibile, un giovane Leonid Ilyich Breznev, già potente seppur non ancora al vertice del Partito e della Nazione (nei suoi panni c’è un ottimo Bohdan Benyuk), effettivamente in quegli anni responsabile tra le altre cose anche del programma spaziale. Infine, la mamma, perita in un incidente e poi guida spirituale del figliolo. Sembrerebbe tutto ovvio, un protagonista qualche parente, una figura storica per dare veridicità al tutto, un amore difficile, ma le cose stanno altrimenti e ce n’è per tutti.

Intanto l’infanzia di Lajko, fatta di sogni e immaginazione, come quella di ogni bambino, ma subito ardimentosi anzichenò: lui è innamorato delle stelle ed è lì che vorrebbe dirigersi. Fantasie, ma non solo, perché il ragazzino si ingegna a giocare con micce e razzetti propulsori nell’intento di costruire la sua astronave. Peccato che la struttura della navicella spaziale sia una latrina di legno nel bel mezzo della pianura magiara, nel cui fondo tra liquami ed escrementi colloca un bel po’ di razzi ripieni di esplosivo auto fabbricato con il letame, tutto frutto del suo ingegno. Un bel giorno la sua adorata mamma, che tanto ha alimentato le fantasie stellari del figliolo introducendolo all’astrologia rom, si sistema sulla tazza sfogliando i progetti di razzi disegnati su un quadernetto dall’ingegnoso pargolo, accendendosi la classica sigaretta che accompagna le funzioni corporali di chi fuma, lasciando cadere il fiammifero ancora acceso, che atterrando dà il via alla catastrofe: sparandola nello spazio e lasciando Lajko orfano. L’episodio chiarisce subito il tono iperbolico del racconto.

Personaggi sopra le righe
A disegnare il ritratto del cosmonauta da giovane, concorre poi non poco lo “zio” Jenö (József Gyabronka), il compagno Karmazsin un commissario di partito che lo sosterrà nei primi veri tentativi di volo a mo’ di Icaro, quando il giovanotto è ormai un pilota di aerei per irrigazione; sforzi culminanti con un volo a bordo di un pallone aerostatico avvistato da truppe dell’Armata Rossa in marcia nel territorio ungherese. Siamo nell’autunno del 1956, è il tempo della repressione della rivolta. Un banale lancio di zavorra da parte di Lajko centra in pieno una jeep, scatenando un’immediata risposta armata, perché Lajko i guai se li cerca.
Arrestato e sospettato di essere un attentatore, durante il violento quanto surreale interrogatorio mostrerà un’insospettabile sopportazione del dolore, virtù che lo renderà candidato ideale per la selezione in corso per cavie spaziale. Non volendo rischiare la vita di un cosmonauta russo, le autorità sovietiche stanno infatti testando in segreto il viaggio di un essere vivente nello spazio impiegando soggetti sacrificabili, cagnolini ma anche vite umane. Non a caso il film si apre con scene in b/n perfettamente in stile documentario d’oltre cortina riprendendo delle prove su un cagnolino. Cinque sono i test già andati male quando Lajko si presenta nel misterioso cosmodromo di Baikonur eretto nella steppa del Kazakhstan, accompagnato da Flórián (Tibor Pálffy), il padre, ritrovato dopo il matricidio nel medesimo carcere, da cui era riuscito a evadere, in cui era stato rinchiuso Lajko dopo il presunto attentato, e da Jenö Karmazsin, sempre più fedele al regime e garante dell’innocenza di Lajko, voce narrante a più riprese dell’incredibile (e triste) storia. Ad accoglierli trovano il futuro eroe dello spazio: Gagarin. Il compagno Karmazsin verrà poi coinvolto in una viziosa storia omosessuale con il compagno Breznev, che da sola vale l’intera visione del film.

Quanto al babbo, basti dire che è un mariuolo perennemente alla caccia di sottane da esplorare pur continuando a sentire la mancanza della moglie, o meglio, come confessa schiettamente: “della sua fica”. I tre giungono dunque a Baikonur e a margine nella carrellata di nuove storie sulla spage age sovietica, sopra accennata, non si può non citare anche l’affascinante documentario di Andrea Sorini Baikonur, Terra, che ne mostra tutto l’attuale splendore di rovina spaziale. Difficile trovare un luogo dove si registri una più intensa sensazione di futuro perduto.
Tornando a Lajko, altro momento esilarante è senza dubbio quello centrale con la fase di selezione che vede il giovane gitano alle prese con tre temibili concorrenti. Il primo è Timuzin “l’indistruttibile”, un monaco buddista, che si potrebbe “addirittura lanciarlo nudo senza una capsula spaziale”, stando a quanto dichiarato dal Partito Popolare della Mongolia. Il secondo è un separatista estone, il controrivoluzionario Ilmar, e infine c’è Helga Mengele (la statuaria Anna Böger), teutonica fanciulla frutto di esperimenti nazisti per distillare la perfetta razza ariana; compito che si assunse in prima persona il papà, Joseph Mengele, che prima di lei concepì altri nove esperimenti, ma tutta la prole mostrò imperfezioni inaccettabili. Il ricordo delle nove sorelline è un altro momento imperdibile del film.

Volo in cielo di sola andata?
Resteranno lei e Lajko a contendersi l’onore del suicidio nello spazio, dopo che il lettone si auto elimina, venendo arrestato nel tentativo grottesco di attentare alla vita di Breznev, mentre il monaco perirà per sbadataggine dello stesso Breznev nella gara delle bare, ossia la prova contro la claustrofobia nello spazio. Lei conquisterà, come accennato, il cuore di Lajko, anzi lo fa da subito perché per lui è un vero colpo di fulmine dalla prima volta che la osserva allenarsi con un abnorme pneumatico; non lascerà indifferente neanche il focoso babbo (“darei qualsiasi cosa per perdere il fiato sotto a una femmina come questa” è il suo tenero apprezzamento). Prescelta anche per la missione, verrà dissuasa da Lajko, che scopre quanto la missione nello spazio sia pressoché suicida. Finirà per partire lui, che come detto tornerà sano e salvo, al contrario del suo alter ego femminile negli eventi a noi noti (la cagnolina Lajka) mentre l’onore e la gloria andranno altrove (Gagarin). Non sveleremo il finale ma qualcosa il regista l’aggiunge nei titoli di coda: “Il film è in memoria di mio padre e di tutti gli altri sconosciuti e silenziosi eroi del mondo”.
Ora sappiamo che sull’altra faccia della Luna si parla anche gitano.

Letture
  • Patrizia Caraveo, Conquistati dalla Luna. Storia di un’attrazione senza tempo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2019.
Visioni
  • Ernesto Daranas, Sergio & Sergei – Il professore e il cosmonauta, Rai Cinema, 2019 (home video).
  • Aurel Klimt, Lajka, Studio Zvon, 2017.
  • Pavel Parkhomenko, Gagarin. Primo nello spazio, CG Digital, 2019 (home video).
  • Klim Shipenko, Salyut 7, Eagle Pictures 2019 (home video).
  • Andrea Sorini, Baikonur, Terra, Lumen Films, The Piranesi Experience, Rai Cinema, il Saggiatore, 2018.