Fabbricante di bugie
e di mondi stravaganti

R.A. Lafferty
Storie di altri universi
Traduzioni di Hilia Brinis, Delio Zinoni

Millemondi Urania 85
Mondadori, Milano, 2019
pp. 581, € 7,90

R.A. Lafferty
Storie di altri universi
Traduzioni di Hilia Brinis, Delio Zinoni

Millemondi Urania 85
Mondadori, Milano, 2019
pp. 581, € 7,90


Se fossimo nati ed educati sul pianeta Camiroi potremmo fermarci qui. L’istante che occorre per leggere la frase precedente su quel singolare pianeta sarebbe più che sufficiente, anzi finanche eccessivo per poter leggere l’intera opera di Raphael Aloysius Lafferty, non soltanto in lingua originale ma in tutte le traduzioni esistenti, basterebbe anche per farne un’analisi comparata oltre che a dare una ripassata alla letteratura critica esistente in inglese e in tutte le altre lingue dell’universo approfondendone temi, personaggi ricorrenti e quelli di secondo piano, apparizioni fugaci, ossessioni persistenti, sberleffi e paradossi, trovate e intuizioni geniali. Al tempo stesso, in quel lasso di tempo avremmo già avuto modo di mappare l’intera rete di rimandi filosofici, religiosi, fantastici, storici, e letterari beninteso, sottesa all’opera di Lafferty, individuato le innumerevoli metafore disseminate nei testi, le elaborate mutazioni procurate alla struttura narrativa, l’effervescente impiego della lingua, ed elaborato contemporaneamente un congruo numero di iperboliche interpretazioni, di inediti approcci ermeneutici, di fantasmagoriche categorizzazioni, oltre che un computo preciso degli andirivieni tra science fiction e fantasy, e a tempo perso operare la riscrittura di ogni singola storia dell’uomo dello Iowa che si firmava R.A. Lafferty. Purtroppo però, ci tocca dilungarci perché siamo nativi della disgraziata Terra e non di Camiroi, pianeta della cui esistenza siamo a conoscenza proprio grazie a quel castigamatti di Lafferty, che ne descrisse singolarità ed eccezionalità in due magnifiche storie brevi: Associazione Genitori e Insegnanti (Primary Education of the Camiroi, 1970) e Leggi e usanze dei Camiroi (Polity and Custom of the Camiroi, 1967). Entrambe vennero pubblicate con una manciata di altre storie in due antologie di Urania (rispettivamente nei numeri 852 e 855 nel 1980).

Frames dal video Spatial Bodies di AUJIK.

Sul finire del secolo scorso in Italia si sono però perse le tracce di Lafferty e soltanto ora dopo circa trent’anni ricompare questo prezioso Millemondi Urania che assembla i due numeri citati e altre due antologie di racconti uscite successivamente: Dieci storie dell’altro mondo (Urania 995, 1985) e La banda di Barnaby Sheen (Urania 1.008, 1985). Niente e molto di nuovo, quindi, a seconda delle generazioni e della propensione a cercare sulle bancarelle numeri usati della storica collana mondadoriana. È benvenuta dunque la presente edizione, sebbene mantenga i refusi e conservi intatte alcune scelte discutibili riguardo alla traduzione, una in particolare: perché dare un titolo in inglese (Help! Help!) al racconto The Hole On The Corner?
Lafferty meriterebbe sorte editoriale migliore, sia per la qualità intrinseca delle sue storie, sia per la capacità di manipolare il codice della fantascienza, al pari di colleghi come Philip Dick, Barry Malzberg, Thomas Disch, Roger Zelazny e dall’altra parte dell’oceano James Ballard, ovvero in generale di quella che si designò come New Wave, sia per l’emancipazione totale ottenuta dalla letteratura fantascientifica, libera definitivamente da schemi, obblighi, costrizioni, censure, catene e vincoli vari. Una maturità che proprio un autore decisamente inclassificabile come lui ha incarnato ante litteram, al punto da porsi come antesignano, almeno concettualmente, della theory fiction oggi così in voga. In un’intervista rilasciata nel lontano 1972, dichiarò infatti che:

“La fantascienza racchiude entro i suoi confini tutti i fenomeni, e perciò viene ad includere anche tutte le altre forme di narrativa e saggistica” (Lafferty in Walker, 1974).

Parentele e affinità assai relative, beninteso, perché Lafferty non riesce a somigliare nemmeno a Lafferty stesso, figuriamoci ad altri. Torniamo su Camiroi per renderci conto della sua libertà d’azione. Su quel meraviglioso pianeta il percorso formativo dei giovani studenti si articola in dieci corsi di formazione. Ammirevole il contenuto del primo che si intraprende in tenera età. Prevede le seguenti voci:

“Imparare uno strumento a fiato.
Disegno elementare di oggetti e numeri.
Canto. (Questo è importante. Sulla Terra canta molta gente che non sa assolutamente cantare. L’insegnamento precoce su Camiroi, impedisce che questo avvenga.)
Aritmetica elementare, a mano e a macchina. Acrobazia elementare.
Primi indovinelli e logica.
Religione mnemonica.
Elementi di danza.
Camminare sul filo (molto basso).
Circuiti elettrici semplici.
Allevare formiche (Formiche Eoempt, non terrestri)”.

Si capirà perché, giunto al decimo corso, il giovane camiroi oramai quindicenne apprenda la seguente iperbolica congerie di saperi:

“Costruzione della storia, attiva.
Fabbricazione di veicoli ultra-barriera-luce.
Chiarificazioni panfilosofiche.
Costruzione di pianeti viabili.
Consolidamento dello stato di santità elementare.
Humor carismatico e logica pentacosmica.
Economia ipogiroscopica.
Penentaglossia. (Perfezionamento delle cinquanta lingue che ogni camiroi istruito deve conoscere, inclusi sei idiomi terrestri. Naturalmente il ragazzo avrà già una padronanza colloquiale della maggior parte di esse, ma non le conoscerà ancora in tutta la loro profondità).
Costruzione di società complesse.
Governo mondiale. (Un corso con lo stesso nome si tiene talvolta nelle scuole terrestri, ma il contenuto non è il medesimo. In questo corso, lo studente camiroi governerà un mondo, sebbene non uno dei mondi di primo aspetto, per un periodo di tre o quattro mesi)”.

Questo è Lafferty, ingegnere elettrotecnico e funambolico autore di duecentosessanta racconti, di cui qui ne leggiamo quarantadue, e di trentadue romanzi, incluso uno dedicato ai nativi americani (Okla Hanali). I nativi americani a vario titolo compaiono qui e là nelle sue storie, come nell’esilarante racconto qui incluso, La valle stretta, che prende avvio da un anatema del Pawnee, Clarence Grande-Sella.
Lafferty apparve tardi sulla scena letteraria statunitense, avendo iniziato a scrivere racconti all’inizio degli anni Sessanta, ormai già cinquantenne, pubblicando sulle maggiori riviste di settore come Galaxy, If, Fantasy & Science Fiction, World of Tomorrow ma anche non specializzate come The Literary Review. Eccellerà nelle storie brevi arrivando in seguito a cimentarsi con la forma romanzo (1968).

Sarà sempre al di fuori d’ogni schema fantascientifico (New Wave inclusa, sia chiaro), a iniziare proprio dalla scienza e dalla tecnica, in barba alla sua formazione professionale, e i passi sopra riportati rendono l’idea del grado di iconoclastia del Nostro, imbattutosi anche nella critica di eccessiva obfuscation (ermeticità), specie riguardo ai romanzi, di cui ne sono apparsi in edizione italiana solo una manciata e tutti rigorosamente fuori catalogo (cfr. in basso Letture, ndr). Eppure, Lafferty il grimaldello lo lascia sempre a disposizione del lettore, non tanto e non solo per afferrare saldamente la singola storia, ma per comprendere appieno le regole del suo metodo.
Nel racconto (qui incluso) Caduta di ghiaia, fece molto di più, la disse tutta per bocca del protagonista Bill Sorel. Questi si accorge di una massima posta su una parete del Club dei Derelitti, dove si era recato a bere rum alla ricerca di una risposta all’ultima domanda insoluta, risposta necessaria per completare Il grande libro dell’infanzia dei Come e dei Perché al quale lavora con passione e dedizione (ai personaggi di Lafferty capita spesso di scrivere libri quantomeno insoliti). La massima recita così:

“Quando si siano scartate tutte le spiegazioni assolutamente impossibili, quella che rimane, per quanto possa apparire improbabile, deve essere accettata come verità, fino a quando non si trovi una spiegazione migliore”.

Tornando ai romanzi, occorre dire che si tratta di opere dall’esito altalenante, sebbene almeno Il diavolo è morto (The Devil is Dead, 1959, parte di una trilogia assieme a More Than Melchisedech, 1984, e Archipelago, 1979, mai tradotti in italiano) sia seducente al pari dei suoi migliori racconti. Lafferty lo rivestì di enigmi e scrisse un’introduzione astutamente bizzarra per poi confessare “Non la capisco neppure io”. Bugiardo, aveva ragione lo scrittore e critico letterario Alexei Panshin, che lo definì un portentoso bugiardo parlando di un altro romanzo, Quarta fase. Infatti, nel presentare ai lettori italiani Il diavolo è morto, Massimo Montanari precisava che:

“Lafferty non è un autore facile: tutto il contrario. Fa uso spietato di giochi verbali, di allitterazioni, alterna versi e prosa, offre infinite possibilità di decrittazione nell’ambito di vaste allegorie. Inserisce, è vero, le sue spiegazioni, ma non sono mai troppe, e i particolari spesso rimangono là, nell’aria, a pungerci con insistenza”
(Montanari, in Lafferty, 1972).

L’incredibile è che ci riesce anche con meno spazio a disposizione nelle pagine di un racconto. Si prenda per esempio Snuffles, che ruota intorno al concetto di creazione e perfezione, ma anche della sostanza del reale, della sua percezione incluse le possibili varianti allucinatorie, e a ben vedere anche di analisi antropologica e ricerca sul campo e così via. Eppure è una storia semplice. Ne sono protagonisti una pattuglia di esploratori su un fantomatico pianetino forse creato per scherzo, Bellota, e una specie di orso, Snuffles, unico abitante nonché, come presto sarà drammaticamente chiaro a tutti, anche signore incontrastato del luogo. Il dio-orso fa una strage, ma prima dialoga con ciascuna vittima: allucinazione, voce interiore, epifania? L’insondabile è un attributo della divinità.
Lafferty era cattolico e rivendicava rispetto per il suo credo, annotando che al contrario nessuno si è mai sognato di rinfacciare il suo luteranesimo a un nome storico della sci-fi come Clifford D. Simak. Rimescolava di continuo le grandi domande, per dirla in forma più moderna, ovvero le questioni sul tempo, l’eternità, la creazione, l’essenza dell’umano, e in questa chiave si afferra meglio anche il frequente ricorso al linguaggio biblico e in particolare evangelico.

Lafferty era di origine irlandese e ne andava orgoglioso. Si spiegano così i nomi di alcuni suoi personaggi ricorrenti (Barnaby Sheen, protagonista insieme alla sua strampalata combriccola di un ciclo di racconti qui compresi), o di romanzi (il Finnegan del citato Il diavolo è morto), si comprende meglio il puro divertissement che abbonda nelle sue storie, quell’approccio ludico e al tempo stesso estetico che ci rimanda, per esempio, alle storie di Flann J. O’Brien.
Lafferty era soprattutto un formidabile narratore. Lo lodò anche un maestro del fantastico come Rodolfo Wilcock, che trovò avvincente la lettura del romanzo Maestro del passato. Molti dei suoi racconti possiedono incipit fulminanti come questi, rispettivamente nei racconti Golden Gate e Il brontolio nella vecchia stanza (anch’essi inclusi in Storie di altri universi):

“Avendo sparato a un uomo, e avendolo ammazzato, avete in una certa misura chiarito il vostro atteggiamento verso di lui. Avete dato una risposta definita a un problema definito. Nel bene o nel male, avete agito in maniera decisiva. In un certo senso, la mossa successiva sta a lui”.

“Si sentiva una specie di brontolio cupo nella vecchia stanza abbandonata, sopra il garage della casa di Barnaby Sheen. Nessuno ci prestò molta attenzione. Dopo tutto, c’erano cose più strane di un sordo brontolio nella casa di Barnaby”.

Lafferty iniziò tardi a scrivere, smise troppo presto per motivi di salute e ci lasciò nel 2002. Non è mai troppo tardi per leggere Lafferty. Le sue storie cavalcano l’insolito, non si curano di mostrarsi plausibili neanche e soprattutto al lettore di fantascienza, che si ritrova sempre in una sarabanda di trovate che spesso si burlano di lui.

Prendiamo il racconto Più siamo meglio stiamo: chi se non Lafferty avrebbe potuto concepire un’invasione al tempo stesso più spassosa e agghiacciante? Un bel giorno, non si sa come, arrivano skandiani a grappoli dal pianeta Skandia. Aumentano a ritmo vertiginoso, occupano tutto lo spazio disponibile, non fanno altro, arrivano. In due giorni gli skandiani sono già dieci miliardi e ci si sta gli uni sugli altri e si cammina sulla gente. Si passa alle maniere forti e l’esercito apre il fuoco sugli skandiani. I pasticci e gli equivoci tipici dei primi contatti con razze aliene: gli invasori, assolutamente pacifici, scambiano il gesto per un benvenuto, pensando che si stiano sparando fuochi d’artificio in loro onore. Fatto sta che iniziano a diminuire di numero e alla fine scompaiono tutti con una promessa: “Torneremo la prossima settimana, in molti di più […]. E la prossima volta porteremo anche i nostri bambini”.
Questo è Lafferty, questo è narrare.

Letture
  • R.A. Lafferty, Le scogliere della terra, Galassia, La Tribuna, Piacenza, 1967.
  • R.A. Lafferty, Il diavolo è morto, SFBC n. 45, La Tribuna, Piacenza, 1974.
  • R.A. Lafferty, Cantata spaziale, Galassia, 216, La Tribuna, Piacenza, 1976.
  • R.A. Lafferty, Quarta fase, Edizioni Nord, Milano, 1976.
  • R.A. Lafferty, Strani fatti, Robot n. 31, Armenia, Milano, 1978.
  • R.A. Lafferty, Il 13° viaggio di Sindbad, Urania n.1166, Mondadori, Milano, 1991.
  • R.A. Lafferty, Maestro del passato, Urania Collezione n.113, Mondadori, Milano, 2012.
  • Paul Walker (a cura di), Intervista con R.A. Lafferty, prima parte in Lafferty, Cantata spaziale, cit., 1976.