Ormai da tempo definito “Re del brivido” per la sua particolare attitudine a scrivere “di dei e di mostri”, Stephen King ha non di rado rappresentato il mondo nella sua più immediata concretezza, senza rivestirlo di metafore paranormali o espliciti riferimenti magici. Di questi tentativi non sempre riusciti in direzione del realismo fa parte l’hard boiled Mr. Mercedes (2013), primo libro di una trilogia incentrata sullo scontro fra un anti-eroe dal cuore d’oro e uno stragista in erba. Quello fra il burbero ex detective Bill Hodges e il folle omicida Brady Hartsfield è un testa a testa che ci mette poco a oltrepassare i fluidi e sottili confini tra i media, a maggior ragione se sollecitato da un contesto di massiccia rivalutazione del lavoro del suo autore. Con l’omonima serie tv del 2017 (dieci le puntate), ideata da David E. Kelley, diretta da Jack Bender e trasmessa dal network Audience, una nuova tappa va dunque ad aggiungersi all’infinito percorso di rimediazione dell’opera kinghiana, svelando e insieme confermando sin dai primi minuti di girato una delle sue principali ragion d’essere.
Sull’incipit di Mr. Mercedes, sanguinosa strage di innocenti alla gelida alba di una fiera del lavoro, incombe l’ombra di un déjà-vu destinato a colpire la quasi totalità dei lettori/spettatori diventati adulti nel corso degli anni zero. Il rimando alla crisi economica del 2007-2009 e alle sue drammatiche conseguenze è solo uno fra i motivi che s’impongono alla memoria collettiva del pubblico, sovrastato dalla violenza (tristemente potente) dell’immagine di un autoveicolo di grossa cilindrata gettato a tutta velocità contro una folla inerme. Come nel libro così sullo schermo, la Mercedes rubata dal killer, che indossando una maschera da clown si ricollega significativamente all’emblema kinghiano del Male per eccellenza, IT il pagliaccio, è un semplice strumento di morte che attraversa le strade della finzione bruciando sul tempo cronache e notiziari, allora futuri ma oramai già trascorsi per coloro i quali leggono e guardano Mr. Mercedes nel 2017 senza poter fare a meno di rivivere il ricordo dei terribili attacchi a Nizza, Berlino, Gerusalemme, Londra, Stoccolma, Parigi, Charlottesville, Barcellona e Cambrils.
Assassini allo specchio
Se da un lato l’uscita del romanzo coincide con una prima diffusione in Occidente della strategia del vehicle-ramming attack, già ampiamente utilizzata in Medio Oriente sin dall’inizio degli anni Duemila, dall’altro l’affacciarsi della serie di Mr. Mercedes sulla scena dell’audiovisivo va a inserirsi in un quadro storico che ne ha purtroppo dovuto registrare l’adozione sistematica, a ennesima riprova dell’innata e necessaria capacità dell’immaginario di riflettere, intercettare e riplasmare lo “spirito del tempo” (cfr. Morin, 2006) includendo i suoi più o meno latenti orrori. Di certo non un esempio isolato nell’ambito della prolifica carriera di Stephen King, che con lo sfortunato caso letterario di Ossessione (uscito nel 1977), storia di una sparatoria in un liceo scritta sotto lo pseudonimo di Richard Bachman e ritirata dal mercato vent’anni dopo il suo esordio, aveva già avuto modo di testare l’inquietante capacità del non immaginato di eguagliare e superare “la verità nella bugia” della finzione. Ma è altrettanto vero, come afferma l’autore stesso, che “i mostri sono reali” e vivono e vincono nella mente dell’uomo, sia questo un giovane studente armato o uno psicopatico forgiato da un’incessante serie di traumi.
Proprio da qui, dalla messa in evidenza dell’elemento relazionale che connette causalmente ma anche casualmente l’individuo ai suoi simili, viene fuori tutta la forza di Mr. Mercedes, di una struttura narrativa semplice quanto interessante che si fa inevitabile parabola e specchio del mondo attuale. È dalla figura di Brady Hartsfield, una fra le poche pagine veramente degne di nota del libro alla quale presta carne, ossa e volto l’emaciato Harry Treadaway di Penny Dreadful (2014), che emerge la necessità di un approccio sociologico alle storie di devianza sociale, ai fatti e ai poteri che le hanno determinate e a tutti quegli elementi (King li riassumerebbe nel termine di Ka) che contribuiscono ad accendere la miccia della loro implosione. Elementi che la scrittura di Kelley e l’occhio di Bender, a partire dallo stimolante materiale kinghiano, non esitano a illustrare sin nei minimi particolari, fino a tingere di nero il confronto fra le due solitudini del poliziotto e dell’assassino, a centrare lo zoom sui lembi delle loro piaghe personali e sulla possibilità che sempre ha una ferita infetta di estendersi e mutare in cancrena, come il ghigno sadico e nascosto del “killer della Mercedes” sta impietosamente a ricordarci.
- Stephen King, Mr. Mercedes Sperling & Kupfer, Milano 2013.
- Edgar Morin, Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma 2006.