Vincitore della sezione Un certain regard al Festival di Cannes 2019, tratto dal romanzo Eurídice Gusmão che sognava la rivoluzione di Martha Batalha (edito in Italia da Feltrinelli), il film di Karim Aïnouz, La vita invisibile di Eurídice Gusmão è, va detto subito, un tributo alla forza, all’onestà, all’impegno e alla fede delle donne che in questa narrazione giganteggiano moralmente e caratterialmente sullo sfondo desertico rappresentato dallo squallore dei personaggi maschili, quasi tutti della media e della piccola borghesia: degli uomini nel film non si salva nessuno, né il rigido e bigotto padre delle due sorelle protagoniste (Euridice e Guida), gonfio di pregiudizi e disumana rispettabilità, né il burocrate col cervello-codice da schedario, né il marinaio che illude e abbandona un’ingenua sognatrice di principi azzurri (Guida), né il marito dell’altra (Euridice) scelto dal padre perché socialmente posizionato, non importa se mediocre.
La figura peggiore è quella del genitore delle due sorelle, personificazione di una ancora diffusissima subcultura del decoro borghese che finisce per storpiare la rettitudine in comportamenti ipocriti, menzogneri e ben poco caritatevoli, quindi per nulla cristiani. Stupendi, invece, i personaggi femminili, dalle protagoniste, le due sorelle Euridice e Guida, separate dal destino ma ancor più dal comportamento irresponsabile del padre, fino alla ex prostituta Filomela che accoglierà Guida (una delle due sorelle) lasciandole in eredità il povero ma dignitoso abituro.
La vicenda melodrammatica delle due sorelle, Guida (Julia Stockler) ed Euridice (Carol Duarte), e soprattutto il loro triste destino sembra trovare un suo prodromo già all’inizio del film: le due ragazze sono riprese mentre guardano trasognate il mare di Rio de Janeiro. Sullo sfondo per un attimo si avvista il Pão de Açucar (Pan di zucchero) e la statua del Cristo Redentor; poi le due sorelle ritornano risalendo il versante immerso nella vegetazione, una selva quasi oscura nella quale Euridice si perde, distanziata da Guida, di cui sente solo in lontananza la voce. È un incipit che suggerisce richiami classici, le due sorelle ricordano due moderne ninfe silvane, e l’amaro presentimento di una metafora che anticipa il destino di separazione incombente sulle due donne.
Il dramma scoppia quando Guida si innamora di un marinaio: sembra in apparenza un uomo onesto; sembra. Per seguirlo Guida lascia in segreto il nido famigliare per imbarcarsi con lui, direzione Grecia. Com’era abbastanza prevedibile, il marinaio la ingravida e l’abbandona. Guida, ragazza ventenne più ingenua che scapestrata, ma pur sempre buona, rappresenta l’istinto, la passione, l’impulso. Euridice è l’antitesi: colta, intelligente, introversa, e quindi più posata. Guida e Euridice sono diverse, opposte anche nei sogni, nelle ambizioni: la prima immagina il principe azzurro, mentre Euridice nutre un’ambizione: diventare pianista e trasferirsi a Vienna, al Conservatorio. Euridice passerà la selezione, ma dovrà sacrificare, in ottemperanza ai desideri del padre, le sue ben riposte ambizioni al giogo di una vita da moglie e da madre, certamente più fortunata della sorella, visto che il marito, per quanto mediocre, è un impiegato con il lavoro fisso. Quando Guida ritorna incinta a Rio de Janeiro dalla famiglia, l’intransigenza abnorme del padre la costringe ad abbandonare il tetto natio condannandola a un’esistenza precaria e borderline, che ricorda un po’ le eroine dei racconti picareschi/rocamboleschi del Settecento, da Moll Flanders di William Defoe a Fanny Hill di John Cleland fino alle Avventure di Fanny Hackabout Jones di Erica Jong. Nonostante tutto e a dispetto di quanto le suggeriscono, Guida non abortisce come hanno fatto tante donne nella sua condizione.
Una narrazione senza orpelli paesaggistici
Il film di Aïnou contiene anche il nucleo di una virtuale narrazione epistolare: Guida non smetterà di scrivere alla sorella che però non riceverà mai le sue lettere perché sottratte e nascoste dal padre. Saranno i figli di Euridice a scoprirle casualmente in una cassa… La cosa incredibile è che le due sorelle vivranno sempre a Rio senza mai incontrarsi: Euridice convinta (dalle menzogne del padre) che Guida fosse morta; Guida, invece, che Euridice fosse diventata una famosa pianista in Europa. La serietà e la forte motivazione narrativa di Aïnouz trovano dimostrazione nel fatto che la storia è incorniciata in un ambiente naturale e metropolitano, Rio de Janeiro, così seducente che avrebbe indotto qualunque regista (e narratore) a dedicare inquadrature più ampie e dettagliate di quanto in realtà lo spettatore può vedere: a parte il profilo lontano del Cristo Redentor e rari squarci del paesaggio urbano esterno, colto prevalentemente in scene notturne, indoviniamo la ricchezza e la varietà della natura in quei luoghi solo dal giardino della casa in cui vivono le due sorelle da giovani. Quasi assenti, inoltre, i riferimenti al contesto storico, a parte l’indicazione in apertura di film del periodo (anni Cinquanta). La narrazione molto fluida, senza strappi e salti, è dunque focalizzata sugli interni, sui personaggi, e la loro vicenda potrebbe benissimo svolgersi in Europa anche oggi, essendo la storia di due vittime del conformismo piccolo borghese e dei suoi deleteri pregiudizi morali. Intenso al punto giusto.