Un bel primo piano di Mr. Lee
e mille altre inquadrature

Jon Spira
The Life and Deaths
of Christopher Lee
Cast principale:


Peter Serafinowicz, Harriet Walter,
Peter Jackson, Joe Dante
Produzione: Canal Cat Films
United Kingdom, 2024

Trieste Science+Fiction Festival
Ventiquattresima edizione

Trieste 29 ottobre – 3 novembre 2024
Proiezioni:
Politeama Rossetti
Teatro Miela

Jon Spira
The Life and Deaths
of Christopher Lee
Cast principale:


Peter Serafinowicz, Harriet Walter,
Peter Jackson, Joe Dante
Produzione: Canal Cat Films
United Kingdom, 2024

Trieste Science+Fiction Festival
Ventiquattresima edizione

Trieste 29 ottobre – 3 novembre 2024
Proiezioni:
Politeama Rossetti
Teatro Miela


Riassumere oltre novant’anni di vita in meno di due ore non è impresa da poco, tanto più se li si è trascorsi intensamente, passando da una giovinezza ardimentosa a una vita professionale strepitosa al punto da assurgere a icona della cultura di massa. Se a un’esistenza del genere sommiamo anche l’esser morto ripetutamente, come non si addice ai comuni mortali, allora sarà chiaro in quale impresa si sia imbarcato il regista Jon Spira girando il documentario dedicato alla vita e alle imprese, quelle reali e quelle vissute sul grande schermo di Sir Christopher Frank Carandini Lee, meglio noto come Christopher Lee.
La fatica di Spira si intitola The Life and Deaths of Christopher Lee ed è stato presentato alla ventiquattresima edizione del Trieste Science+Fiction Festival, che anche quest’anno ha incluso nel suo programma una serie di documentari dedicati sia ai grandi temi di confine tra scienza e fantascienza sia ai protagonisti e/o ai generi di rilievo nell’immaginario contemporaneo. Era stato così lo scorso anno, quando venne presentato You Can Call Me Bill di Alexandre O. Philippe, docufilm dedicato alla vita, alla carriera e alla filosofia di William Shatner, per tutti il capitano Kirk dell’Enterprise e quest’anno è toccato a Mr. Dracula, ma la carriera di Lee è zeppa di personaggi memorabili, parte essenziale della cultura pop del XX secolo, da lui interpretati in circa ottant’anni d’attività! All’attore britannico tra l’altro il festival giuliano aveva già conferito il premio alla carriera nel 2009 inserendolo in una hall of fame affollata da personaggi del calibro di Rutger Hauer, Roger Corman, George A. Romero ed Enki Bilal, per fare qualche nome.

Quanto a Spira, il documentario è genere che sembra prediligere considerati i suoi lavori precedenti, che vanno da un lavoro sulle controfigure britanniche nelle grandi produzioni statunitensi (Hollywood Bulldogs: The Rise and Falls of the Great British Stuntman del 2021) ad altri più brevi dedicati al bacio nella storia del cinema (Lips, Love and Power: 120 Years of the Cinematic Kiss del 2015), o anche il più impegnativo Real Britannia, documentario in quattro puntate dedicato a individuare il carattere di fondo che rende definibile britannico un film senz’ombra di dubbio. Soprattutto però Spira ha realizzato Elstree 1976 (2015), un documentario sugli interpreti dei personaggi minori e/o non appariscenti del primo Star Wars (La minaccia fantasma) a partire da David Prowse, l’uomo che indossava il casco di Darth Vader. Insomma, il regista inglese bazzica volentieri tra paesaggi e figure dell’immaginario, cosicché l’aver narrato le vicende di un peso massimo come Lee non meraviglia più di tanto e il lungometraggio che gli ha dedicato del merito tutto sommato lo può vantare. Intanto vanta un’idea decisamente originale che consiste nell’affidare a una marionetta il compito di far risorgere Lee una volta di più sullo schermo: una marionetta mossa da fili ben visibili le cui sembianze sono inequivocabilmente quelle dell’attore e anche la voce ha un’indubbia affinità con quella originale. Appartiene in realtà a Peter Serafinowicz, attore e doppiatore, comico britannico nonché sceneggiatore e regista, l’uomo che dava voce al citato Darth Vader sempre nel primo episodio della saga Star Wars. Per fugare ogni dubbio e per giocare a carte del tutto scoperte, Spira lo inquadra mostrandolo all’opera in una cabina di registrazione, anzi, reitera le inquadrature delle prove di intonazione mentre Serafinowicz pronuncia “I’m Christopher Lee” alla ricerca dell’intonazione corretta.

Ecco dunque che alla stregua dei personaggi da lui interpretati, Lee ritorna (anche il titolo del documentario, affettuoso e ironico, non è casuale) e attingendo non poco dalla propria autobiografia, Tall, Dark and Gruesome, dà vita a un film che risulta dal punto di vista formale piuttosto classico come documentario, alternando interviste, fotografie, spezzoni di film e filmati d’archivio. a esclusione della trovata della marionetta, dispensando storie riguardanti tanto la vita privata quanto la carriera. La marionetta sfoggia subito dello humour nero dichiarando in apertura “Il 7 giugno 2015 sono morto, all’età di 93 anni”, precisando di seguito che a quel punto alla morte ci si era anzitempo abituato e da parecchio …
Inizia così il racconto di una carriera che lo ha visto lavorare in oltre trecento pellicole, a iniziare dai ruoli interpretati nei film della Hammer Film Productions britannica, la casa cinematografica nata nel 1935 che a metà anni Cinquanta mosse i suoi primi passi nei mondi della fantascienza grazie ai lavori del regista Terence Fisher. A far da ponte tra sci-fi e horror arrivò nel 1955 L’astronave atomica del dottor Quatermass (The Quatermass Xperiment) diretto da Val Guest, trasposizione sul grande schermo dell’omonima miniserie televisiva. Tempo due anni e fece il suo ingresso clamoroso Lee, dapprima con il mostro di Frankenstein, presto seguito dal conte Dracula e vari seguiti, dalla mummia e dai film tratti da storie di Conan Doyle, Robert Louis Stevenson, tutti a opera di Fisher, e così via. Un filone d’oro che ha trasformato Lee in un’autentica icona del cinema horror (“il re dell’horror” come venne ribattezzato), suscitandogli non poco disappunto, perché quei film Lee non li amava granché. Gli preferiva altri lavori, come per esempio la sua interpretazione di Lord Summerisle in The Wicker Man (1973) di Robin Hardy, film di culto, antesignano di generi cinematografici e musicali come l’horror folk e il neofolk, film intriso di esoterismo, paganesimo e mistero tout court. Insomma, un’opera per la quale la presenza scenica di Lee si rivelò decisiva. La vera grande prova d’attore, a parer suo, la fornì anni dopo in un film del 1988 diretto da Jamil Dehlavi, Jinnah, incentrato sulla figura di Mohammad Ali Jinnah, il padre fondatore del Pakistan.

C’è in realtà un coro di voci chiamato a testimoniare sulla gesta di Lee. Spira invita amici, familiari e colleghi a dire la propria sulla vita e la carriera di Lee, come l’attore, storico del cinema, nonché suo biografo (si intitola Christopher Lee: The Authorised Screen History), Jonathan Rigby, l’attrice Caroline Munro che aveva lavorato con lui in 1972: Dracula colpisce ancora! (Dracula A.D. 1972), un’altra attrice, sua nipote Harriet Walter, il genero nonché produttore dei suoi album metallari, Juan Aneiros, il produttore cinematografico Paul Maslansky e i registi Peter Jackson, John Landis e Joe Dante. Non tutti gli interventi e i ricordi che offrono sono di ugual valore e non sempre si rispolverano episodi significativi, ma nel complesso contribuiscono a mettere meglio a fuoco la personalità forte e sfaccettata di un uomo che anche lontano dal set era fuori dal comune. Oltre alla marionetta e agli ospiti in carne e ossa, Spira è ricorso anche all’IA. L’ha impiegata per animare diverso materiale iconografico compensando l’assenza di filmati relativi alle vicende narrate. La scelta sulle prime è spiazzante per via di soluzioni banali, ma tenuto conto della marionetta con i fili ben in evidenza tutto appare uniforme nel segno di una naïveté probabilmente voluta per un lavoro nel complesso capace di restituire un ritratto convincente dell’attore e dell’uomo.
Lee fu un personaggio singolare anche nel privato. Basterebbe ricordare che nutriva una magnifica ossessione per le esecuzioni capitali al punto di aver assistito all’ultima eseguita tramite ghigliottina… per non dire del ruolo svolto nella Seconda guerra mondiale quando, lavorando per l’intelligence britannica, venne coinvolto in una serie di missioni segrete delle quali non ha mai raccontato tutto e che nel tempo hanno favorito l’idea che fosse lui il modello reale dal quale Ian Fleming trasse ispirazione per James Bond, anche perchè i due erano cugini. In realtà è assai più probabile che Bond sia stato modellato su una spia, la formidabile Christine Granville (vero nome: Krystyna Skarbek), ma si sa che mito e leggenda si autoalimentano e si diramano in ogni dove. Lee avrebbe poi incrociato Bond nel 1974 vestendo i panni del killer Scaramanga, duellando con Roger Moore in L’uomo dalla pistola d’oro. Quanto a parentele, vantava addirittura la discendenza da Carlo Magno, almeno stando a quanto egli stesso dichiarò. Una linea familiare ricostruita a partire dalle sue sicure origini italiane, essendo figlio della nobildonna Estelle Marie Carandini dei marchesi di Sarzano, e come si evince dal cognome imparentato anche con l’archeologo Andrea Carandini.

Il documentario riepiloga le altre numerose relazioni di Lee, le collaborazioni con il regista Tim Burton e l’attore Johnny Depp, la sua amicizia con Peter Cushing (anche lui risorto nel 2016 in Rogue One) e Vincent Price nate ai tempi delle produzione della Hammer, sebbene Spira non si soffermi più del necessario su quella stagione, ripercorrendo invece anche i primi anni di carriera, dal suo debutto cinematografico (non accreditato) in Il mistero degli specchi (Corridor of Mirrors), un film – gotico, naturalmente – del 1948 diretto da Terence Young (nel quale pronuncia una sola battuta), in seguito regista dei primi  film di Bond, alle sue apparizioni in una serie di film d’avventura e di cappa e spada finendo con le sue ultime reincarnazioni nei cattivi di turno: il conte Dooku e Saruman rispettivamente nei prequel di Star Wars e nella trilogia del Signore degli Anelli.
C’è infine la musica, e che musica. Lee si dilettava nel cantare arie d’opera, era stato anche tentato dall’idea di intraprendere la carriera nel mondo della lirica. Alla musica tornò in tardissima età agguantando un primato decisamente singolare: quello di essere la persona più anziana a scalare le classifiche musicali di Billboard. Grazie all’opera? Macché, soltanto in parte. Nei suoi ultimi anni aveva preso una bella cotta per l’heavy metal. Realizzò un ellepì che enfatizzava anche la sua discendenza da Carlo Magno (Charlemagne: By The Sword And The Cross) e andò in classifica grazie al suo singolo Jingle Hell (!), versione tiratissima del tormentone natalizio che intonava con quel suo tono di basso assai profondo. Sul retro piazzò un altro pezzo da novanta, la cover di My Way, la canzone resa hit mondiale da The Voice. Brano splendido, sferragliante nella versione di Lee. Il testo poi calza a pennello alla sua vita e alle sue opere. Un verso su tutti: “I’ve lived a life that’s full” e The Life and Deaths of Christopher Lee ne fa un buon racconto.
Infine, chi pensasse che i ritorni alla vita (sullo schermo) di Lee si siamo oramai conclusi, sarà presto smentito, perché a gennaio 2025 arriverà l’anime Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim e la voce di Saruman il Bianco sarà proprio quella dell’attore britannico, riutilizzata dopo abile manipolazione a partire da una battuta prelevata da Lo Hobbit. L’eterno ritorno e non si fa per dire.