James Pettifer è un attempato accademico di Oxford, dove insegna Storia dei Balcani, ed è anche un giornalista esperto della geopolitica di quei territori, lo studio dei quali ha occupato la sua intera vita culturale. Ha ovviamente scritto molti libri a questo proposito, e dei più variegati, a partire dalle guide turistiche sino ai saggi universitari e a un numero imprecisato di articoli su riviste e giornali, in particolare The Times e il Wall Street Journal.
Queste notizie le avreste potute leggere facilmente anche su Wikipedia, ma quello che non avreste trovato è la riprova di una grande passione che il professor Pettifer ha coltivato sin dall’adolescenza, quella per un musicista rock che risponde al nome di Bruce Springsteen, a cui dedica difatti una sezione del suo sito personale.
Nel 2018 James Pettifer ha dato alle stampe un libro che lui stesso descrive come “narrative of travel and cultural history”, e che potremmo definire come un diario di viaggio, impreziosito però dalle molte riflessioni di ordine sia storico sia filosofico che l’autore ha seminato all’interno del testo, in modo certamente non organico, ma più che altro letterario, come se il pensiero del viaggiatore fosse stato, almeno in questa occasione, lasciato libero dai vincoli del peer review e del rigore accademico.
Il viaggio che qui si racconta si è svolto negli USA, e precisamente nel New Jersey, stato americano che ha dato i natali, tra gli altri, proprio a Bruce Springsteen. Questo itinerario era in realtà avvenuto ben dieci anni prima della pubblicazione, esattamente nel 2007/2008, durante l’ultimo periodo dell’amministrazione Bush (nel 2008 sarà eletto presidente Barack Obama) e in contemporanea con l’uscita dell’album di Springsteen intitolato Magic.
Sarebbe interessante conoscere il processo di maturazione per cui questo testo ha impiegato ben dieci anni per raggiungere un editore e una stamperia, immaginando forse una certa ritrosia da parte di un accademico universalmente riconosciuto, in un mondo ricercato ed erudito a cui potevano apparire davvero troppo azzardati certi confronti tra Platone e Springsteen.
Certamente l’autore si è preoccupato di aggiornare l’analisi, e pur se l’impianto è quello della stesura originale, in nessun punto il testo si dimostra datato, e sono molto frequenti le precisazioni posteriori. Nel 2018 il volume viene dato alle stampe nel mondo anglosassone, e quest’anno l’editore Odoya lo ha pubblicato anche in Italia.
Si può certamente scrivere che per il lettore italiano interessato a conoscere e comprendere la storia e la cultura di quel piccolo ma fondamentale stato degli USA, il libro si presenta immediatamente come indispensabile, per la capacità di Pettifer di percorrere l’orizzonte a 360°, e di spaziare così dalle questioni di storia economica alle problematiche razziali, dagli aspetti artistici a quelli psicologici e mitologici, ma si rivela cruciale anche per rispondere alla domanda sul perché proprio qui trova il suo posto un personaggio che, come Bruce Springsteen, unisce arte e analisi politica, la potenza demiurgica (per citare proprio Platone) del rock blues con la ricerca religiosa e interiorizzata della musica soul nera. La musica, dice Pettifer, è storia segreta, e in questa frase troviamo il perno del metodo che attraversa questo testo, trasversale a mille discipline (e – precisa sottilmente – il suo significato non è sempre chiaro). Proprio perché è particolarmente ampia la quantità di informazioni che Pettifer propone, si lascia al lettore il piacere di incontrare, in ogni nuova pagina letta, qualche nozione prima sconosciuta o una frase che vorremmo immediatamente annotarci, per non perderla nella memoria, anche se in alcuni passaggi la bellezza della lingua viene purtroppo offuscata da una traduzione a volte discutibile.
Uno di questi divertissement che Pettifer usa è la passione spasmodica e particolarmente specialistica per il numero e tutto ciò che lo riguarda. Richiamandosi, quasi en passant, al pitagorismo e a quella parte del pensiero platonico e della sua scuola che vede nel gioco dei numeri, nel continuo rincorrersi delle forme geometriche e delle proporzioni, la matrice stessa del nostro mondo (dando quindi un valore estremamente alto alla musica e al concetto di armonia), Pettifer si comporta quasi come un investigatore, ricercando i legami tra i dati che incontra e gli eventi che racconta.
Il mito, visto proprio nell’accezione platonica, e l’ossessione che gli uomini mostrano per i numeri e le loro occorrenze, le lotterie e il gioco d’azzardo, il tempo che passa e il futuro che, troppo spesso, non arriva, si incarnano in un luogo che è davvero un luogo simbolo, ovvero Atlantic City. In un passo molto pregnante ed esemplare, l’autore mette espressamente in relazione questi elementi:
“[…] il New Jersey è lo stato in cui il flipper, meglio noto in questo paese come silverball machine, ha fatto il suo debutto nel XIX secolo, e in un certo senso il flipper è l’antenato della moderna slot machine, la parte più redditizia di ogni casinò. Sarà una vendita basata su principi matematici, in uno stato che ha contribuito alla matematica del XX secolo più di qualsiasi altro al mondo. Questa è la costa del Jersey, dopo tutto, negli Stati Uniti d’America. La matematica può essere pura, come a Princeton, o applicata, come altrove. Atlantic City non è lontana, ma l’unico museo di flipper al mondo è proprio in fondo alla passeggiata qui ad Asbury Park, un passo indietro nel mondo dei rumori, dei suoni e delle luci lampeggianti della canzone degli Who Pinball Wizard, e negli anni Cinquanta e Sessanta. La fortuna detta legge nel New Jersey. Laggiù la matematica lavora duro per ridurre in schiavitù i giocatori nelle caverne del casinò. Nei termini sulle lavagne del dipartimento di Fisica di Princeton, il tutto verrà fatto secondo il principio di indeterminazione di Werner Heisenberg, e nessuno saprà cosa sta succedendo fino all’ultimo momento. Anche i giocatori di slot machine di Atlantic City fino all’ultimo momento non sanno dove si fermeranno le ruote che girano. Poi, forse, potreste andare a impegnare la vostra fede nuziale per continuare a giocare”.
Pettifer in tutto ciò non dimentica il sottofondo della sua riflessione, ovvero la musica di Bruce Springsteen. Difatti il titolo originale del libro è Meet me in Atlantic City, ovvero il verso conclusivo del brano che Springsteen ha dedicato alla città costiera del South Jersey. Questa, molto prima che fosse rimpiazzata nell’immaginario del mondo intero dal mito di Las Vegas, era vista come Sodoma e Gomorra da parte di una società civile intollerante e puritana, e che in realtà si dimostrava semplicemente ipocrita e ottusa. Un luogo dove la morale veniva provvisoriamente sospesa per poter dare spazio a prostituzione, gioco e droga. Il tutto ovviamente gestito dalla mafia locale, quasi sempre italo-americana. Tra l’altro Pettifer si sofferma anche sui legami finanziari e immobiliari tra la mafia di Atlantic City e il futuro presidente Donald Trump.
Il brano di Springsteen si apre infatti proprio con il riferimento alla bomba con cui era stato ucciso uno dei capibastone di Atlantic City, e si conclude con un flebile tentativo di trovare un sottile sentiero salvifico nella ragazza con cui si deve incontrare, la debole speranza per cui se pur everythings dies, somedays come back. Il libro di Pettifer si presenta perciò come una lunga riflessione che si legge con passione e che spazia da Atlantic City a Bisanzio, da Princeton all’Iraq, da Freetown all’Albania, dal Delaware alla caverna platonica, il tutto inframmezzato da storia militare e matematica statistica, da riflessioni sulla politica americana e sulla magia e l’illusione dello spettacolo, mentre la musica di Springsteen scorre in sottofondo e diventa la chiave per comprendere il New Jersey e la sua storia. Un testo perciò anomalo, e difficilmente iscrivibile in una categoria, ma che senza dubbio trova in ciò la sua bellezza e attrattiva.