Nella contea dei Caravan
il fantasy è grigio e rosa


Caravan
In the Land of Grey and Pink
Deram, 8 aprile 1971
Formazione:
Pye Hastings (chitarra, voce);
David Sinclair
(organo, piano, mellotron, cori);
Richard Sinclair (basso, chitarra acustica, voce);
Richard Coughlan (batteria, percussioni).


Caravan
In the Land of Grey and Pink
Deram, 8 aprile 1971
Formazione:
Pye Hastings (chitarra, voce);
David Sinclair
(organo, piano, mellotron, cori);
Richard Sinclair (basso, chitarra acustica, voce);
Richard Coughlan (batteria, percussioni).


È curioso come i due gruppi formatisi dallo scioglimento dei seminali Wilde Flowers e protagonisti della prima fase del sound di Canterbury, abbiano avuto per certi versi un percorso parallelo. Soft Machine e Caravan, pur contraddistinti i primi da un’aura più sperimentale e avventurosa, mentre i secondi dalle sonorità più morbide e levigate, arrivano al loro capolavoro con il terzo album. Non che i due lavori siano simili, ma Third e In the Land of Grey and Pink sembrano ambedue portare a compimento, in maniera brillante e creativa, tutte le istanze e le idee che erano già emerse, con convinzione va detto, nei precedenti lp. Dove i Softs giocavano con sperimentazioni e aperture ipnotiche, solismi irruenti tra Jimi Hendrix e John Coltrane e melodie sospese nel mondo jazz, i Caravan rimestavano nel pop più elegante, nelle suite colorate anch’esse di jazz e nelle atmosfere agresti di certi rimandi folk. Ecco, i due poli del sound canterburyano delineano appieno la loro estetica componendo un terzo lavoro da una parte con echi ed esiti rivoluzionari, per quanto riguarda i Soft Machine, dall’altra, i Caravan, con suggerimenti e pennellate di grande fascino, moderate ed eleganti. Il risultato è, per l’appunto, il culmine di un percorso ricco di ispirazione e creatività che, anche qui curiosamente, mostrerà le crepe in ambedue i casi con i lavori successivi: Fourth, dei Softs, sancirà in modo chiaro l’emarginazione di Robert Wyatt mentre Waterloo Lily vedrà l’abbandono di David Sinclair dai Caravan sostituito da Steve Miller. Non è per sminuire che associamo In the Land of Grey and Pink a Third dei Soft Machine, bensì per collocare al meglio un’opera che è stata un punto di riferimento non solo in ambito canterburyano, così com’è avvenuto per il lavoro dei Softs. I due gruppi, pur da sponde diverse anche se di medesima derivazione, tracciano le coordinate di un mondo rock alquanto differente rispetto a soli due o tre anni prima, periodo d’esordio di entrambe le band. E sembrano tirare le somme di un flusso che dai Beatles si era propagato in tutta l’Inghilterra e negli Stati Uniti ma che, agli inizi dei Settanta, mostra una sorta di ripiegamento e un abbandono di alcune istanze che, in modo sommario, possiamo definire rivoluzionarie. Per spiegarci meglio: quel movimento alternativo giovanile ricco di speranze e utopie che esplode politicamente e creativamente con il Sessantotto, è in una fase di riflusso, di riassestamento.

Alle utopie politiche si sostituiscono altri mondi, spaziali e temporali, i viaggi cosmici di Paul Kantner e Jefferson Starship con Blows Against the Empire (esce nel novembre del 1970) e le malinconie di David Crosby con If I Could Only Remember My Name (febbraio 1971), mentre al di qua dell’oceano il fenomeno Prog si afferma con forza portando a compimento e istituzionalizzando le istanze progressive e sperimentali della Swingin’ London di qualche anno prima. Tarkus degli Emerson Lake & Palmer, Acquiring the Taste dei Gentle Giant, Nursery Crime dei Genesis, Pawn Hearts dei Van der Graaf Generator, The Yes Album degli Yes, sono solo alcuni degli album usciti nel 1971 e dimostrano quanto la lezione dei King Crimson, partita due anni prima con In the Court of Crimson King, abbia ormai attecchito e germogliato, instaurando quel mondo fatto di rockstar, virtuosismi, suggestioni romantiche, classicismi e viaggi incantati tra Medioevo e universi fantasy. Dove c’era un solo movimento artistico, ricco di sfumature, creativo e unitario, ora iniziano a formarsi correnti, stili e generi differenti promossi dal mercato e dalle agenzie, dai produttori, dalle etichette, una sorta di finanziarizzazione che comporta un depotenziamento del messaggio alternativo a favore di professionismo e star system.

Affinità e divergenze
In the Land of Grey and Pink fa sicuramente parte di questo processo, al cui interno si possono ancora vedere in controluce le istanze musicali degli anni Sessanta ora ridefinite e rimodellate in un altrove fatto di creature fantastiche e mondi fatati. I Caravan, rispetto ai loro cugini Soft Machine, hanno avuto un percorso artistico certamente più regolare, senza scossoni, al riparo dagli eccessi ma anche dalle potenti suggestioni della scena londinese, più calati nella provincia. Ed è stata anche la loro forza, quello che gli ha permesso di costruire un’estetica agreste, profumata di jazz e dalle atmosfere spesso sognanti, alternate a momenti più energici ma sempre con una certa cura e levigatezza. Da questo punto di vista l’evoluzione musicale del gruppo, dal loro disco d’esordio passando per If I Could Do it All Over Again I’D Do it All Over (1970) fino ad arrivare a In the Land of Grey and Pink è omogeneo, coerente e privo di asprezze. Cosa ben differente rispetto ai Soft Machine, dal cammino irto di ostacoli, contrasti, successi ma anche con grosse dosi di sperimentalismo e parziali virate di rotta. Ad ogni modo i cugini Sinclair con i fratelli Hastings e il fido batterista Richard Coughlan arrivano a pubblicare un lavoro che già dalla splendida copertina pone quelle musiche pienamente all’interno delle evoluzioni stilistiche manifestatesi compiutamente nel rock inglese: atmosfere fantasy, suite, modifiche formali e strutturali, solismo elaborato. A tutto questo aggiungono altri elementi tipicamente canterburyani: pop song orecchiabili, retrogusto folk, legami jazz, ironia e assenza di atteggiamenti da rockstar.

Un dosaggio perfetto
In the Land of Grey and Pink mostra l’insieme di queste caratteristiche in un perfetto e ben bilanciato dosaggio, persino nella suddivisione delle due facciate del disco, con la prima spostata a favore dell’elemento pop/folk e la seconda tutta incentrata su suite/solismo. Rispetto all’intero mondo Prog il lavoro dei Caravan possiede una leggerezza unica, un suono levigato, semplice eppure elaborato, con quel sapore di jazz accentuato dagli eccellenti interventi fiatistici di Jimmy Hastings, quello spiccato gusto per l’improvvisazione, seppur contenuta, meno estrema per esempio dei Soft Machine. Quel sound così particolare denominato appunto suono di Canterbury, in parte indefinibile ma concretamente distinto dal resto dei gruppi progressive dell’epoca.
In un album in cui tutto funziona alla perfezione, e non è un’esagerazione, alcune osservazioni vanno esplicitate, per comprendere ed apprezzare al meglio la musica di In the Land of Grey and Pink. Nel quadro generale di alto livello Winter wine rifulge ancora oggi quale brano di immenso valore, probabilmente la migliore song mai scritta da Richard Sinclair. Dall’atmosfera nebbiosa, appena tratteggiata, alla forma elaborata eppur scorrevole, priva di pesantezze classiche e di giustapposizioni tematiche, fluida, morbida e incantevole. I cugini Sinclair forniscono una prova eccellente e una grossa parte del successo di questo disco è certamente merito loro. David è il protagonista della seconda facciata, una lunga suite dove il suo solismo, melodico, tematico, cantabile, trascina il resto del gruppo in un alternarsi di momenti eterei (Disassociation), transizioni caratterizzate dall’uso di distorsori e wah wah applicati all’organo (come Canterbury insegna), nostalgiche linee melodiche (Nigel blows a tune) e riff energici e incisivi (100% proof) a conclusione di una delle più belle pagine della storia del rock. L’intera suite Nine Feet Uderground (divisa in otto differenti sezioni) che occupa la seconda facciata è composta in gran parte dello stesso David Sinclair, come ricorda Pye Hastings nel booklet della ristampa dell’album del 2001:

“(David) aveva scritto quattro diverse sezioni che erano unite insieme da collegamenti musicali che il resto del gruppo aveva ideato. Uno dei collegamenti era il mio. Tutti noi abbiamo partecipato cambiando qualche parola qua e là e suggerendo diversi cambi d’accordo”.

Nonostante la maggiore caratura artistica dei cugini Sinclair, sarebbe comunque ingeneroso sottovalutare l’apporto di Pye Hastings, con quella sua voce chiara, limpida, acuta, che colora di rosa la musica dell’album, così come il suo contributo in fase di composizione, con la assolutamente pop Love To Love You (And Tonight Pigs Will Fly). Oppure la compostezza della batteria di Richard Coughlan, a sorreggere aperture armoniche e variazioni tematiche, ponendosi al servizio del gruppo. Ai quattro va aggiunto, come spesso è accaduto nel mondo di Canterbury, il suono preciso, brillante, dal fraseggio pulito e intellegibile, dei fiati di Jimmy Hastings, flauti e sassofono tenore, a rimarcare quelle aperture jazz che attraversano l’intero disco. Ancora altre annotazioni: l’uso ricorrente di accordi minori di nona, a stemperare la pesantezza e la densità di tanto rock progressive e a rendere colta la materia sonora.
La voce di Richard Sinclair così calda, malinconica e suggestiva che sbriciola non sense e buffi gorgoglii vocali (il brano eponimo), o tenere visioni romantiche immerse in un mondo fantastico (Winter Wine). Il suo basso sinuoso, agile e dalle elaborate linee tematico/ritmiche. L’atmosfera scanzonata (ancora la title track ma anche Golf Girl), e l’accento tipicamente inglese delle voci, l’uso limitato, e assolutamente funzionale alla composizione, dei tempi dispari (Winter Wine), la immaginifica copertina dell’album, una Terra di Mezzo che raffigura pienamente l’evoluzione rock di quel periodo, quel collocarsi in un Arcadia dai toni pastello, fuori dal mondo reale, in un’altra dimensione.

Eppure, alla pubblicazione, questo disco non riscosse immediato successo, probabilmente come soffocato dalla mole di uscite importanti in ambito popular di quegli anni, e anche perché intrinsecamente “moderato”, lontano dalle forti caratterizzazioni Prog così come dagli sperimentalismi; a volerci ripetere, in una sorta di Terra di Mezzo. È con gli anni che quella musica ha assunto maggior valore e si è affermata come un capolavoro rock, uno degli album più importanti di quelle stagioni, e non solo. È come se il tempo, quello reale e non quello dell’altrove, avesse fornito la giusta maturità per apprezzare quel delicato equilibrio, quella compostezza di suoni, melodie, assoli e suite, pop songs, jazz e tenui accenni folk. Un disco così non poteva avere seguito, e infatti non lo ebbe. Tuttavia, quelle suggestioni, quell’approccio generale alla materia, possiamo senz’altro dire si sia trasferito, più o meno intatto, verso Hatfield and the North e dintorni, fornendo forme e suoni definitivi al sound di Canterbury, diversificando questa scuola in maniera significativa dal resto del progressive e trascinandola sana e salva, senza incrostazioni, revivalismi, caricature, fino ai giorni nostri.

Ascolti
  • Caravan, The Decca/Deram Years, Universal Music, 2019.
  • Emerson Lake & Palmer, Tarkus, BMG, 2016
  • Genesis, Nursery Crime, Universal Music, 2008.
  • Gentle Giant, Acquiring the Taste, Alucard, 2020.
  • Soft Machine, Original Album Classics, Sony/Legacy, 2010.
  • Yes, The Yes Album, Warner Music, 2003.
Letture
  • Lelio Camilleri, La musica in grigio e rosa, Arcana/Lit Edizioni, Roma, 2020.
  • Gino Castaldo, La terra promessa, Feltrinelli, Milano, 1994.
  • Michele Coralli, Swingin’ Canterbury, Tuttle Edizioni, Camucia (AR), 2007.
  • Aymeric Leroy, L’ècole de Canterbury, Le mot et le reste, Marsiglia, 2016.
  • Giancarlo Nanni, Rock progressivo inglese, Castelvecchi Editore, Roma, 1998.