I mille volti della paura
da Nosferatu ai mutanti

Un secolo di cinema all’ombra
del vampiro, dal Nosferatu
di Friederich Murnau
(sopra la locandina tedesca
realizzata da Albin Grau)
a quello di Robert Eggers.

Un secolo di cinema all’ombra
del vampiro, dal Nosferatu
di Friederich Murnau
(sopra la locandina tedesca
realizzata da Albin Grau)
a quello di Robert Eggers.


Si può dire che il mostro, che sia zombie, vampiro o licantropo, non sia altro che specchio dell’umano; per lo storico Francesco Paolo De Ceglia “i vampiri siamo noi”, in quanto riflettono i timori e le angosce legate a contesti socioculturali e storico-politici. Ciò che è temuto, che causa repulsione e paura viene riproposto dall’immaginario orrorifico mostrandoci il mostruoso che si cela nel quotidiano. Il vampiro è un eterno “ritornante”, perché in sé riassume l’altra faccia dell’umano, sempre teso tra il superamento dei limiti dello scibile e la paura di affacciarsi al di là di ciò che è certo. Il vampiro è conosciuto anche come nosferatu, termine slavo arcaico probabilmente derivato dal greco nosophoros, ovvero “portatore di peste” (Melton, 2024), quale nefanda creatura dispensatrice di morte e bevitrice di sangue, dall’aspetto mostruoso, ferale e mortifero. La sua prima incarnazione cinematografica è nel capolavoro del cinema muto Nosferatu di Friederich Murnau del 1922. L’opera di Murnau non ottenne mai i diritti per la trasposizione del romanzo Dracula, e ciò costrinse il regista a sostituire il nome del vampiro con Orlok. La versione che ci è giunta è l’unica superstite della causa legale della vedova Stoker, che ordinò che ogni nastro del film venisse arso. Proprio perché associato alla peste, il vampiro di Murnau (lo stesso avviene nelle versioni ispirate alla sua opera) assume connotati simili a quelli del topo, i lunghi canini vengono sostituiti da appuntiti incisivi che sporgono dalle labbra della creatura; inoltre, possiede dita sottili con unghie appuntite e sopracciglia folte, gli occhi spalancati e fissi cerchiati in nero. La mostruosa figura si scorge tra le ombre, negli anfratti di un castello che è “reggia dell’incubo”, “uno spazio dove si nasconde il mistero e si realizzano riti demoniaci”; mentre la nave è una sorta di “veliero fantasma” e la città ammorbata dalla peste assume l’aspetto di un “ossario architettonico” (Bertetto, 2022). Il film costituirà il principale punto di riferimento per Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog (1979), in cui “il Dracula di Kinski diventa la malinconica incarnazione dell’Alterità Umana più assoluta e irrimediabile, del tedio e della desolazione di un’eterna solitudine” (Aliverti, 2017). Entrambe le pellicole sono state i principali punti di riferimento per il recentissimo Nosferatu di Robert Eggers del 2024.

Il ritorno del vampiro: Nosferatu di Robert Eggers.

Robert Eggers: la strega, l’albatro, il vampiro e la vendetta
Robert Eggers si è imposto nel panorama cinematografico fin dal suo esordio alla regia con The Witch: a New-England Folktale (2015). Come suggerito dal sottotitolo, il regista attinge per le sue opere al vasto repertorio folclorico e storico, proponendo racconti che riassumono in sé mito, credenze e differenti realtà storico-sociali. Questo fattore è evidente in The Northman (2022), pellicola che, sullo sfondo dell’era vichinga, propone un dramma teso tra la tragedia shakesperiana e le saghe norrene. Sia Eggers che Shakespeare per la scrittura dell’Amleto (1600-1602), traggono ispirazione dal mito nordico a partire dal protagonista, l’omonimo Amlóði, “la stessa figura che compare in Saxo come Amlethus” (Isnardi, 2019). Amleth di Eggers, così come il protagonista della tragedia di Shakespeare, si ritrova a intraprendere un viaggio per vendicare il padre, morto per mano del fratello traditore. La lotta feroce e brutale del protagonista incontra il mito, in sequenze dedicate alle Norne e alle Valchirie. Eggers aveva già diretto The Lighthouse (2019), film che racconta la storia di due guardiani del faro, che isolati dal mondo civilizzato sprofondano sempre più nel reciproco sospetto e in una spirale di lenta follia (rappresentata in maniera significativa dalla sirena). Il regista statunitense trae ispirazione dal racconto incompiuto (e ultimo prima della morte dell’autore) Il faro (1849) di Edgar Allan Poe e da un capolavoro del romanticismo, La ballata del vecchio marinaio (primavera 1797-autunno 1978), concepito da Samuel Taylor Coleridge e William Wordsworth. Come nel poema romantico, i protagonisti si ritrovano di fronte ad un’impresa che assume caratteri metafisici: il mare, l’isolamento e l’uccisione dell’albatro li porta alla dannazione e alla ricerca della luce, intesa come senso stesso dell’esistenza.

Frame da Nosferatu di Robert Eggers.

Nosferatu (2024) di Robert Eggers è un’opera sontuosa che rende omaggio alle interpretazioni del “non-morto che diffonde la peste” di Murnau (a partire dal 4:3) e di Herzog, proponendo una visione rinnovata del mito del vampiro. I richiami a Murnau sono numerosi ed evidenti, a partire dalle strutture stesse del castello, che riprendono le forme ovoidali caratteristiche del classico del 1922 (le volte che sono un chiaro riferimento alla bara) e allo stile espressionista e onirico che permea l’intera pellicola.  Ancora una volta Eggers racconta una storia fortemente immersa nel proprio contesto storico. Il regista mostra le radicate credenze popolari e i riti legati ai non-morti e spinge verso un contesto teso tra vivo folklore e il clima tendenzialmente positivista della cittadina tedesca di Wisborg, in cui vivono i due coniugi protagonisti, i giovani Thomas ed Ellen Hutter. A muovere i fili della trama è, questa volta, proprio la protagonista femminile, Ellen, la cui “malinconia” la lega all’oscurità e alle tenebre del conte Orlok. L’ombra del vampiro si fa gigantesca: significativa è la scena della mostruosa presa della città da parte del conte, di cui è visibile solo la mano che si protende minacciosa sulla cittadina, pronta a diffondere malattia e distruzione. Il Nosferatu di Eggers è “appetito”, cadavere, peste, distruzione, ma soprattutto è metafora della malattia mentale che si manifesta nell’incubo della notte. Infatti, contrariamente a quanto accade nel Nosferatu di Herzog, è la protagonista, e non il conte, a soffrire una profonda solitudine. Il conte viene ora richiamato dalla tomba dal dolore di Ellen, incompresa e abbandonata da tutti fin dalla tenera età. È lei a divenire la chiave della liberazione di sé stessa e della città.

Il vampiro: origini e folklore
Il termine “vampiro” vede le proprie origini nella prima metà del Settecento, in area baltico-balcanica, ex territorio ottomano in quel momento sotto il dominio dell’impero asburgico. Nello specifico “l’anno dei vampiri” è datato 1732, a cui ci si può riferire in merito al primo manifestarsi del fenomeno del “vampirismo” e del dilagare in tutta Europa di notizie in merito. Visto come una sorta di epidemia, il primo teatro delle vicende che vedono protagonisti i “vampiri” o “succhiasangue” è il villaggio serbo di Medveja, una zona di sospensione ai confini dell’impero asburgico da poco liberato dal dominio ottomano, la cui popolazione aveva subito attacchi da parte di “ritornanti” e in cui per la prima volta si faceva uso del termine “vampyr” che non presentava equivalenti in altre lingue europee, quali il tedesco o il francese. Vista la collocazione temporale e geografica del paese era inevitabile che la popolazione risultasse “mista”, composta da famiglie insediatesi anticamente, così come da profughi ottomani e milizia asburgica; ciò generava tensioni sociali (Bohn in De Ceglia, 2023) che influenzarono anche i connotati del vampiro, assumendo le caratteristiche di “straniero”, “eretico” ed “emarginato”. A tal proposito, dal dicembre del 1732 il chirurgo militare austriaco Flückinger svolse delle indagini. Tuttavia, essendo all’oscuro delle reali cause del decesso dei presunti vampiri e delle fasi di triste di decadimento e decomposizione del corpo, il medico interpretò segni come gonfiore, suoni simili a lamenti, fischi e la perdita di sangue dalla bocca come evidenze dello stato anomalo dei cadaveri. Inoltre, il chirurgo interpretò in tal senso anche i corpi che apparivano ben conservati a causa di fattori atmosferici (legati alle rigide temperature del posto e al periodo dell’anno in cui si svolsero le indagini) convincendosi dell’esistenza di corpi “in condizione di vampirismo”. Ad alimentare il folklore popolare fu il periodo dell’anno in cui si svolsero i fatti di Medveja. L’inverno è fin dall’antichità il tempo della morte e dell’attesa, poiché la terra coltivata custodisce ancora sotto di essa il segreto del futuro ed è ancora ignoto agli uomini l’esito della semina. Quei giorni di “sospensione” tra Natale e l’Epifania erano tempi durante i quali il caos poteva prendere il sopravvento su ogni cosa. Cristo era nato, ma non ancora cristiano perché non battezzato. Per questo si parlava di “giorni pagani” e “impuri” (De Ceglia, 2023).

Nosferatu il vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau, 1922.

L’inverno caratterizzato da brevi giornate e dal lungo sonno portatore di incubi nefasti sarà fonte di ispirazione per l’opera di Carl Theodore Dreyer Vampyr (1932), in cui il vampiro è una creatura appartenente al regno del sogno e dell’inconscio. Non a caso il vampiro è un “demone che beve” (Pilo Fusco, 2022), una creatura che assorbe non solo sangue dagli uomini, ma anche il latte dalle bestie. In una società agraria e pastorale ciò comportava conseguenze nefaste in quanto, come riconosciuto dalla storica Lyndal Roper, la quantità di latte posseduta era indice di benessere e ricchezza di una famiglia, dunque, in questa prospettiva il vampiro “diventava lo spettro della fame, prima ancora che della morte” (De Ceglia, 2023). Così come nei paesi slavi la carenza di liquidi era sinonimo di miseria, nell’Europa del Settecento affetta dalla fame il vampiro assumeva connotati più simili a quelli del lupo, della bestia o del “divoratore di sudario”, che mangia sé stesso e gli altri. Questo genere di vampiro è conosciuto con il nome di vukodlak, termine costituito dalla matrice protoslava vilku “lupo” e dlaka “pelliccia”, in quanto come evidenzia De Ceglia “il lupo è, dal punto di vista simbolico, uno straordinario operatore «liminale». Tra l’umano e il ferino” (ibidem). Tale accezione del vampiro caratterizza il racconto di Aleksej Konstantinovič Tolstoj i Vurdalak (1839), da cui è tratto il secondo episodio intitolato Wurdulak (termine russo con il medesimo significato del vukodlak serbo) del film di Mario Bava I tre volti della paura (1963), in cui si racconta la vicenda di una famiglia russa affetta da vampirismo. Nel film di Bava, “il vecchio” Gorča, il primo infettato, è un vampiro che presenta i connotati caratteristici del vurdalak come gli “occhi di iena” (Tolstoj), famelici e predatori, e l’aspetto bestiale accentuato dalla folta pelliccia che gli ricade sulle spalle come un orrido manto. Dagli eventi di Medveja scaturì una vera e propria “epidemia di vampirismo” che ammorbò l’intera Europa “illuminata”, trasformando la figura del vampiro in un fenomeno mediatico. Si diffusero a macchia d’olio notizie sul ritorno dei morti dall’aldilà, una vera e propria fiumana di scritti, atti pubblici, trattati e verbali di grandi studiosi che forniranno il materiale per la futura produzione letteraria, soprattutto in Francia e Germania. La siccità, la fame e le carestie, così come il seppellimento di cadaveri in tombe poco profonde provocarono il diffondersi di malattie di ogni genere, tra cui peste, tubercolosi e dissenteria; i corpi che presentavano segni anomali venivano accusati di essere “ritornanti”, creature senz’anima mosse dal desiderio di vivere la loro vita stroncata da violenza e malattie.

Il primo trattato sui vampiri Vernünftige und Christliche Gedancken über die Vampirs oder blutsaugende Todten (1733) di Johann Christoph Harenberg (a destra). Vlad Dracula in un ritratto di anonimo (olio su tela) risalente alla seconda metà del XVI secolo.

Di fatto, questo fenomeno era generalmente associato a individui soli e poveri, specialmente donne e vergini (la letteratura ha tratto dal folklore la figura della “sposa cadavere” tornata dal mondo dei morti per consumare l’amore che le era stato negato in vita e di cui si ha un illustre esempio con il poemetto di Johann Wolfgang von Goethe, La fidanzata di Corinto (1797), il cui corpo poteva facilmente essere riesumato. Lo stato anomalo di alcuni cadaveri era dovuto all’ampia diffusione dei casi di atassia tra Settecento e Ottocento: l’incapacità di determinare il decesso comportò che alcune persone venissero seppellite vive, fenomeno che avrà riscontro nella letteratura gotica ottocentesca, come è evidente nella produzione di Edgar Allan Poe e con riferimento specifico al racconto Il seppellimento prematuro (1844), che diventerà un vero e proprio topos del genere (si pensi a La tomba (1917) di Philip Howard Lovecraft). Il vampiro del folklore, dal momento in cui i “ritornanti” erano poveri ed emarginati, mancava completamente dei fasti e della nobiltà del vampiro letterario, ma, al contrario, viene descritto come un essere errabondo che ammorba le campagne e assale i suoi cari succhiandone il sangue attraverso il morso. Il morso è il mezzo conduttore del morbo, è “il gesto che invade la sacralità e umanità intima del proprio corpo” (Frezza, 2015); al tempo stesso il “bacio” del vampiro rappresenta la massima oscenità che violenta il privato e l’umano, è “anti-natura” e legame con il soprannaturale. Come è facile individuare dalle caratteristiche precedentemente elencate, il vampiro in ambito folclorico e tradizionale è associabile più al “non-morto”, allo “zombie”, ad un vero e proprio cadavere putrescente. Quest’ultimo sarà un altro protagonista eccelso del cinema e della televisione fin dalla fine degli anni Sessanta (dai capolavori di George A. Romero a The Walking Dead, sia in tv che nel fumetto), così come dell’immaginario contemporaneo (si pensi a videogiochi come Resident Evil o The Last of Us).

Dalla letteratura al cinema
Secondo la tradizione folclorica il “non-morto” è ben lontano dalla “figura mostruosa di lussuria sfrenata e ambizione satanica” (McGrath, 2023), ricca di fascino e carisma del “nobile maledetto”. Il personaggio in questione è nato dalla penna di John William Polidori che con il racconto Il vampiro (1817) traccia i connotati del vampiro aristocratico. Il racconto di Polidori fu inizialmente attribuito dallo stesso autore a George Gordon Byron, su cui era ironicamente ricalcata la figura del vampiro di Polidori, Lord Ruthven. Tale interpretazione fu accolta e resa celebre dallo scrittore irlandese Bram Stoker con il romanzo epistolare Dracula (1897), in cui il vampiro, divenuto “conte”, è il nobile padrone di uno spettrale castello e appartiene ad un’illustre e antica stirpe della Transilvania. Nel corso del secolo successivo quest’accezione del vampiro si è affermata nel cinema ed è stata sugellata da Dracula (1931) di Tod Browning, prodotto da Universal Pictures, in cui il conte fu interpretato dal magnetico attore ungherese Bela Lugosi. La pellicola propone il topos della maledizione dell’immortalità, della condanna alla non vita, il conte anela a “morire un’autentica morte”. Tra le altre celebri interpretazioni del conte di Stoker figurano Dracula il Vampiro (1958) diretto da Terence Fisher per Hammer Film Productions, in cui il vampiro di Christopher Lee per la prima volta mostra le zanne insanguinate e il terribile morso al grande pubblico; e Dracula di Bram Stoker (1992) di Francis Ford Coppola, in cui nella reinterpretazione del racconto gotico si intrecciano romanticismo e orrore in un’opera visivamente straordinaria. Dracula, magistralmente interpretato da Gary Oldman, alterna il proprio aspetto tra uomo e mostro; la bestialità primordiale e la forza sanguinaria del principe guerriero di Transilvania è resa anche dai magnifici costumi e trucco, basti pensare all’armatura scarlatta indossata da Dracula disegnata da Eiko Ishioka, perfetta sintesi del dualismo uomo/bestia.

Bela Lugosi and Helen Chandler in Dracula di Tod Browning, 1931.

L’irlandese Stoker ha segnato un punto di svolta nel tracciare una tra le più iconiche figure del panorama letterario gotico e dell’horror cinematografico, che sintetizzava in sé tutte le caratteristiche precedentemente associate al vampiro in ambito folclorico e letterario: il suo conte Dracula ha in sé gli aspetti del nobile, del “succhiasangue”, del morbo e del vukodlak.  Di fatto i principali punti di riferimento di Stoker per la stesura del suo romanzo epistolare furono: Carmilla di Joseph Le Fanu, il suo caro amico e noto attore di epoca vittoriana Henry Irving (che pare fu il primo “volto” di Dracula) e un sogno dello stesso Stoker, che suggestionò a tal punto lo scrittore da diventare il primo passo per la stesura della storia. Ciò che rende unico il Dracula di Stoker è “la portata delle sue ambizioni” (McGrath, 2023): è figlio di Satana e il suo scopo è il rovesciamento dell’ordine naturale delle cose, confutare Dio e procreare trasformando gli uomini nella sua stirpe di non-morti, mentre al suo servizio sono le tenebre, la follia e il sacrilegio. Arminius Vambery, docente di Tradizione slave all’Università di Budapest, suggerì a Stoker la figura storica del Voivoda di Valacchia e Transilvania, Vlad Basorab l’“impalatore”, vissuto nel XV secolo, reo di terribili atrocità e noto con l’appellativo patronimico di “Dracula”, ovvero figlio di Dracul, poiché il padre era un affiliato all’Ordine del Drago; la stessa radice del nome, insita nell’appellativo, è comune al termine valacco per “demonio”, che incrementò la sua fama di “figlio del Demonio” (Pilo Fusco, 2022).

Dracula il Vampiro diretto da Terence Fisher nel 1958 e interpretato da Christopher Lee.

Il romanzo ebbe fin da subito un notevole successo che fu determinato da diversi fattori, tra cui la forma stessa del testo (il romanzo epistolare all’epoca era estremamente in voga), la tematica fortemente in contrasto con l’epoca positivista in cui l’opera venne pubblicata, la sfumatura erotica, il desiderio del proibito che veleggia su tutta la narrazione. La maestria dello scrittore sta nel fare della narrazione un resoconto quasi scientifico, basato sull’ordine naturale delle cose e nel tentare un’analisi della “sovrumanità” (Frezza, 2015), cioè di ciò che attenta alla continuità della vita umana; infatti, è proprio il dottor Van Helsing, uno scienziato, a mondare le forze del Male proponendo un racconto teso tra due differenti poli: quello dell’analisi positivista e quella dell’oscuro medioevo mitico e diabolico.

 Il fumetto, la morte, l’orrore
Il fumetto gioca uno stretto rapporto con la morte, la paura e i limiti da superare, presentandosi come

“una possibile forma di riparo, di estinzione temporanea, dell’angoscia di fronte alla morte, una comprensione gioiosa, acquietata seppure orrorifica, della vita”
(Frezza, 2018).

Fin dalle origini fumetto e cinema presentano una profonda interconnessione, innanzitutto perché entrambi sono costituiti da immagini, poi perché condividono lo stesso patrimonio mitico, costituendo una vera e propria “macchina mitologica”. Quest’ultima è intesa come forza creatrice di universi narrativi che entrano a far parte dell’immaginario, alimentandosi reciprocamente e mostrandosi in stretta comunicazione con le “identità socio-culturali dei pubblici di riferimento” (Frezza, 1995). Il fumetto supereroistico presenta forti connessioni non solo con la morte, ma anche con il trauma e l’orrore che ne scaturisce; si può dire che sia proprio la reazione al trauma a determinare la nascita di un eroe o di un villain. Esemplificativo a tal proposito è il personaggio di Batman, l’uomo pipistrello, il cui “trauma infantile è tanto insopportabile da marcare profondamente la scelta dell’uomo Bruce Wayne di impersonare la nemesi espressionistica del crimine metropolitano” (Frezza, 1995). Sia il vampiro che l’uomo pipistrello condividono d’altronde lo stesso germe: nascono dalla morte, il terrore che la loro vista suscita nei suoi avversari (o vittime) è il medesimo e il teatro delle loro azioni è la notte, di giorno il loro rifugio sono rispettivamente la tomba e la caverna, anch’essa riconducibile ad un’archetipica concezione di morte (Frezza, 1995). Batman e l’immaginario ottocentesco è richiamata dal contrasto tra misticismo e positivismo, tra scienza e suggestione, poiché sfrutta sia l’una che l’altra: la paura che instilla negli uomini è resa con grande potenza simbolica dal pipistrello. Nel “Pipistrello Umano” (Frezza, 2018) l’“etica del giustiziere e la mostruosità del vampiro si mescolano con una doppia identità estesa verso la gestione avanzata, sperimentale, normativa della macchina industriale” (Frezza, 1995).

Particolare dallo storyboard del film Bram Stoker’s Dracula (1992) di Francis Ford Coppola.

Questo aspetto è particolarmente evidente in due produzioni entrambe appartenenti al ciclo Elseworld, costituito da storie che ripropongono i personaggi in contesti e mondi alternativi: Batman:Vampiro (1991-1999) di Dough Moench e Kelley Jones; e Gotham by Gaslight (1989) di Brian Augustyn e Mike Mignola, artista non nuovo a tematiche diaboliche, vista la sua collaborazione con Francis Ford Coppola proprio in occasione di Dracula di Bram Stoker del 1992, di cui ha illustrato anche una controparte fumettistica; inoltre, Mike Mignola è anche il creatore del demone supereroe Hellboy. Partendo proprio da Gotham by Gaslight è evidente il contatto tra le due opere, il film di Coppola e la graphic novel in questione. Il primo è ambientato a Londra, il secondo in una Gotham vittoriana che ne ha tutte le fattezze; sia Dracula che Batman condividono lo stesso contesto storico, quello della fine dell’Ottocento, il secolo delle grandi innovazioni (aspetto accentuato nel seguito di Gotham by Gaslight, Il Padrone del futuro, anch’esso scritto da Brian Augustyn). In entrambi, le strade di Londra/Gotham sono teatro di tremendi omicidi: nel film di Coppola c’è Dracula, mentre Batman è a caccia di Jack lo Squartatore. Del resto Jack lo Squartatore in Gotham by Gaslight firma la lettera d’apertura “dall’Inferno” (in inglese “From Hell”), che sarà il titolo della miniserie a fumetti dell’inglese Alan Moore, autore che ha il merito di aver stravolto il fumetto supereroistico con Watchmen nel 1986. Insomma, è nella modernità che “converge la materializzazione del sogno disperso del principe Dracula/Vlad” (Frezza, 1995). Non a caso quest’ultimo, solo una volta giunto a Londra, si presenta rigenerato, in altre parole teso verso la ricongiunzione tra erotismo “bestiale, dionisiaco” e la “sacralità dell’amore” scissi dallo stesso principe nel momento in cui aveva perso la sua amata nel 1467, rinnegando Dio. In questo contesto, Batman appare come una mostruosa creatura della notte a cui saranno attribuite le atrocità compiute dall’assassino, la sua ombra diventa motivo di terrore non solo per gli abietti, ma anche per i giusti. L’ambiente urbano presentato in entrambi i contesti è quello del racconto L’uomo della folla (1840), descritto da Edgard Allan Poe, in cui gli uomini perdono la propria individualità all’alba della società di massa e in cui l’orrore si staglia nell’apparente normalità della quotidianità.

Pipistrelli a confronto
Nella serie dedicata a Batman e Dracula, il Cavaliere Oscuro si ritrova a dover affrontare la minaccia del vampiro in un racconto dalle evidenti tinte horror. Batman diventa egli stesso vittima del mostro, ha bisogno della sua forza per poterlo fronteggiare fino ad essere piegato dalla sete di sangue: diventa vampiro, completando fisicamente la fusione tra uomo e bestia, trasformandosi letteralmente in una creatura della notte. Il mostro è impersonato anche da uno dei rivali del Crociato Incappucciato, lo scienziato esperto in biochimica e genetica Robert Kirkland “Kirk” Langstrom alias Man-Bat. Quest’ultimo è apparso per la prima volta su Detective Comics #400 nel 1970 ed è stato creato da Frank Robbins e Neal Adams, artisti le cui storie sono “capisaldi della rivoluzione prospettica, nelle storie di Freccia Verde e Lanterna Verde” (Frezza, 2023). I due supereroi si ritrovano per la prima volta a scontrarsi con i mali della società (droga, povertà, razzismo); inoltre, la fallibilità dell’eroe viene espressa attraverso la destrutturazione della sequenzialità della struttura narrativa. Il personaggio di Langstrom, spinto inizialmente da una forte ammirazione nei confronti di Batman, tenta di creare un siero che potesse donargli capacità sonar naturali. Gli esiti catastrofici dell’esperimento portano lo scienziato a trasformarsi in un’orrenda creatura, metà uomo e metà pipistrello, dotata di capacità straordinarie, come l’abilità di volare e un udito eccezionale. Man-Bat perderà sempre più la sua umanità, fino a trasformarsi in un essere di puro istinto e distruzione. Ciò lo renderà non solo un nemico di Batman, ma una sua nemesi. Diverrà uno specchio, che gli mostra ciò che rappresenta per la criminalità di Gotham, una sua versione irrazionale e ferale.

Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, Frank Miller (1984).

Tuttavia, la dimensione profondamente drammatica del personaggio di Batman non verrà posta in evidenza prima degli anni Sessanta, periodo in cui la Marvel Comics (precedentemente nota come Timely Comics) porta il fumetto supereroistico verso l’era dei mutanti. Questa terza fase del fumetto è caratterizzata dal passaggio al doppio intrinseco che segna il superamento della doppia identità. Il fenomeno della figura del mutante introduce un tipo di narrazione più corale, in cui gli eroi sono spesso in squadra, come è evidente negli X-Men (principalmente dopo la ripresa della testata, agli inizi degli anni Settanta, ad opera di Chris Claremont) o nei Fantastici 4, più impegnati in cause sociali e inseriti all’interno di una comunità. È forte il tema della sofferenza e della responsabilità sociale del supereroe/mutante. Il mutante pone il supereroe in una posizione più vicina al nemico. Si pensi a Magneto, il mutante che, pur essendo un criminale desideroso di imporre la supremazia della razza più evoluta è anche un vecchio amico di Charles Xavier, il Professor X a capo del gruppo degli X-Men. La linea che demarca la differenza tra bene e male si fa sempre più sottile, le “differenze si fanno tanto minime da sfiorare l’in-differenza, il comune appartenere dell’eroe e del villain ad un destino intrecciato di vita e di morte” (Frezza, 1995). Il mutante risolve dentro di sé la questione della doppia identità, è doppio internamente, scisso tra la propria umanità e il potere mutante; egli si trasforma e ogni trasformazione è rappresentazione della morte del suo altro sé in un infinito e ininterrotto ciclo di morte e rinascita. La doppia identità si trasfigura, in quanto il potere non viene più dall’esterno ma dall’interno, poiché il mutante nasce tale per via di un gene (il gene X), che sviluppatosi in alcuni individui permette loro di avere poteri e capacità straordinari, senza limiti. Questi supereroi

“da un lato toccano gli estremi della divinità (il Dr. Manhattan, Fenice) o, dall’altro, incorporano l’alterità dell’animale (Wolverine, La Bestia, ecc.)”
(Frezza, 2013).

Il mutante è il riflesso di un’era fuori controllo, di uno slancio verso un futuro che non ammette freni, che supera il “tecnologico” e l’umano,

“essi sono come l’altra faccia dei barbari (cfr. Abruzzese, 2011, ndr), ossia il nuovo che, o torna da un antico mai redento, o proviene da un futuro celato dentro l’ordinario, palesando la sua indole di irreversibile mossa verso il domani”
(Frezza, 2013).

L’era mutante è un’epoca di incertezze che pone le sue radici all’alba della “civiltà postindustriale e informatica”, in cui la genetica supera l’umano, il ruolo del supereroe e dei valori decade. La Gotham dei mutanti è il teatro del capolavoro di Frank Miller Il Ritorno del Cavaliere Oscuro (1984), in cui un Batman ormai anziano si ritrova ad affrontare “le sfide meno innocenti, più disumane ed estranianti, che si affacciano nei varchi del prossimo Millennio” (Frezza, 2018). Egli è costretto a evolversi “in un tempo storico che consegna la sua figura, in apparenza invincibile, decadimento dei valori, alla scomparsa dei fini che, un tempo, ne avevano sancito il ruolo di Nemesi, di Giustizia al di sopra della Legge” (Frezza, 2018). Eroe, Supereroe e Mutante (e i corrispettivi rivali, incubi e debolezze) sono uno specchio e rappresentazione della società che cambia, poiché

“la storia dei comics insegna che le grandi evoluzioni del fumetto si verificano quando vengono creati personaggi in grado di rappresentare il presente”
(Frezza, 2018).

Dai mutanti ai vampiri, e ritorno
Il termine vampiro si fa metafora del male assoluto, in quanto diavolo, emarginato, straniero, artista e seduttore; è l’essere che ritorna, incarnazione della paura della morte e del defunto, ma soprattutto è simbolo dell’ignoto e dell’arcaico che ottenebra la scienza e la ragione. I resoconti degli anni Trenta del Settecento, diffusi in piena epoca illuminata, hanno permesso la proliferazione di racconti dedicati al vampiro letterario del secolo successivo. Il vampiro, abitatore dell’immaginario moderno, è un viandante che attraversa i media (dalla letteratura ai videogiochi), la cui incapacità di specchiarsi è emblematica nel rappresentare “l’autopercezione e l’autorappresentazione dell’uomo della società attuale” (Teti, 2018), è una “proiezione dell’afflizione melanconica, del  «sentimento» nostalgico, delle tante forme di erranza e di nóstos che hanno caratterizzato la storia, il pensiero, la tradizione culturale dell’Occidente” (Teti, 2018). Il vampiro pone l’uomo contemporaneo, armato di sapienza e tecnica, di fronte alla caducità della vita e alla malattia, ossia “ci invita a essere «contro la morte»” (Teti, 2018), al rispetto dei defunti, poiché una civiltà sorda al “lamento dei morti” è destinata a cadere.

Letture
  • Giuseppe Aliverti, Nosferatu, l’ombra di Dracula, Quaderni d’altri tempi, 5 giugno 2017.
  • Paolo Bertetto, Introduzione alla storia del cinema, UTET, Milano, 2022.
  • Paolo Bertinetti (a cura di), Breve storia della letteratura inglese, Einaudi, Torino, 2020.
  • Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Lindau, Torino, 2012.
  • Samuel Taylor Coleridge, La ballata del vecchio marinaio, Feltrinelli, Milano, 2014.
  • Francesco Paolo De Ceglia, Vampyr. Storia naturale della resurrezione, Einaudi, Torino, 2023.
  • Gino Frezza, La macchina del mito tra film e fumetti, La Nuova Italia, Firenze, 1995.
  • Gino Frezza, Le carte del fumetto, Liguori, Napoli, 2008.
  • Gino Frezza, Dissolvenze. Mutazioni del cinema, Tunué, Latina, 2013.
  • Gino Frezza, Endoapocalisse, Areablu Edizioni, Salerno, 2015.
  • Gino Frezza, Fumetti, anime del visibile, Alessandro Polidoro, Napoli, 2018.
  • Gino Frezza, Il raggio dei fumetti, Meltemi, Milano, 2023.
  • Johann Wolfgang von Goethe, La fidanzata di Corinto, Rusconi, Milano, 1824.
  • Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici, Longanesi, Milano, 2019.
  • Giuseppe Lippi (a cura di), Howard Phillips Lovecraft. Tutti i racconti, Mondadori, Milano, 2019.
  • Giuseppe Lippi (a cura di), Obscura. Tutti i racconti di Edgar Allan Poe, Mondadori, Milano, 2019.
  • Patrick McGrath, Scrivere di follia, La nave di Teseo, Milano, 2024.
  • Gordon Melton, Il grande libro dei vampiri, Mondadori, Milano, 2024.
  • Graziano Origa, Batman & Robert, Linus n°648, Baldini+Castoldi, Milano, 2019.
  • Gianni Pilo e Sebastiano Fusco (a cura di), Storie di vampiri, Newton Compton, Roma, 2022.
  • Achille Pisanti, Supercalifragilistic… Teorie, formule e attrezzi della serialità, Meltemi, Milano, 2022.
  • Bram Stoker, Dracula, Rizzoli BUR, Milano, 2010.
  • Vito Teti, Il vampiro e la melanconia. Miti, storie, immaginazioni, Donzelli, Roma, 2018.
  • Christopher Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma, 2020.
Visioni
  • Batman: Arkham #8, DeAgostini, Milano, 2007.
  • Mario Bava, I tre Volti della Paura, Emmepi Cinematografica, 1964.
  • Tod Browning, Dracula (1931), Universal Pictures, 2017 (home video).
  • Francis Ford Coppola, Dracula di Bram Stoker, Columbia Pictures, 1992 (home video).
  • Carl Theodore Dreyer, Vampyr (1932), Cineteca di Bologna, 2022 (home).
  • Terence Fisher, Dracula il vampiro, Hammer Film Productions, 2019 (home video).
  • Werner Herzog, Nosferatu, il principe della notte, Werner Herzog Productions, 1979.
  • Mike Mignola, Gotham By Gaslight, RW Edizioni, Novara, 2017.
  • Dough Moench, Kelley Jones, Batman: Vampiro, RW Edizioni, Napoli, agosto 2019. 
  • Friedrich Wilhelm Murnau, Nosferatu (1922), Dynit-Ermitage, 2003 (home video).
  • Marco Nucci, Gabriele Serra, Dylan Dog Color Fest n°51 Strade Perdute, Il viaggiatore del vuoto, Sergio Bonelli editore, 2024.
  • George A. Romero, La notte dei morti viventi, Minerva Pictures, 1970.