Fantascienza, il XXI secolo (1):
un’introduzione al genere

Prima parte di una mappa della letteratura sci-fi del ventunesimo secolo. Autori nuovi e maestri del genere alle prese con il nuovo Millennio, tra rivisitazioni di temi storici ed esplorazioni inedite.

Prima parte di una mappa della letteratura sci-fi del ventunesimo secolo. Autori nuovi e maestri del genere alle prese con il nuovo Millennio, tra rivisitazioni di temi storici ed esplorazioni inedite.


Quante volte abbiamo avuto la sensazione di non riuscire a tenere il passo con i tempi? Al di là dei benefici apprezzabili da tutti, vivere in un’epoca di innovazione frenetica e in un mondo ormai profondamente connesso può avere i suoi effetti collaterali, non ultimo quel senso di future shock, per dirla con Alvin Toffler, un disorientamento dovuto all’incapacità di decodificare gli stimoli provenienti da un ambiente in rapido mutamento. Il presente è sempre più proteso in avanti e il futuro finisce per comprimerlo facendosi più denso, opaco e di conseguenza impenetrabile: le conquiste del progresso cessano di essere “naturalmente” estrapolabili e diventano sempre meno prevedibili, così come le loro ricadute sociali, politiche ed economiche.
È il motivo per cui non esiste probabilmente un genere più adeguato della fantascienza per raccontare la nostra epoca: dove ci troviamo, quali sfide ci apprestiamo ad affrontare, quali timori serpeggiano sotto la superficie dell’attualità. E, paradossalmente, è lo stesso motivo per cui da più parti si è gridato, negli ultimi venti anni come e ancora più che dopo l’allunaggio dell’Apollo 11, alla morte del genere. Ma come può un genere letterario essere allo stesso tempo defunto, con tanto di necrologi che ne commemorano la dipartita, e vitale più che mai?
Proviamo a fare un passo indietro.

Il ciclo vitale della fantascienza, tra morti annunciate e rinascite immediate
La fantascienza nasce come letteratura negli Stati Uniti, sulle riviste pulp degli anni Venti. I precursori sono innumerevoli e, a seconda delle correnti di pensiero, abbracciano titoli ed esponenti illustri, da La storia vera di Luciano di Samosata (II secolo) al Somnium di Keplero (1634), incentrati su fantastiche avventure lunari benché mossi da intenti diversi, parodistici nel primo caso e divulgativi nel secondo; senza dimenticare gli elementi fantascientifici che traboccano dai racconti ottocenteschi di Edgar Allan Poe o Nathaniel Hawthorne, il cosiddetto scientific romance reso popolare a cavallo tra il XIX e il XX secolo dal successo delle opere di Jules Verne e H. G. Wells, passando per il Frankenstein (1818) di Mary Shelley e gli orrori incomprensibili annidati nelle profondità cosmiche scrutate da Howard  P. Lovecraft. A coniare il termine scientifiction (dalla contrazione dell’espressione scientific fiction) fu nel 1926 Hugo Gernsback, un lussemburghese emigrato in America, pioniere dell’elettronica ed entusiasta delle storie di anticipazione, che lo adottò per la sua rivista Amazing Stories, destinata a segnare con le sue vicissitudini gli albori della Golden Age. Da allora in avanti la storia della fantascienza è stata scandita da ondate di rinnovamento. In maniera un po’ semplificativa possiamo individuare le seguenti fasi.

Golden Age
Dall’epoca dei pulp magazine scaturisce una generazione di autori tra i quali prevale un’estrapolazione in chiave positivista del progresso scientifico, con lavori che spesso sono connotati da un forte richiamo al sense of wonder: è l’epoca d’oro della fantascienza, che viene convenzionalmente fatta decorrere dal 1937, anno in cui John W. Campbell assunse la guida di Astounding Science Fiction, raccogliendo intorno a sé una squadra di scrittori che avrebbero fatto scuola. Le opere più significative di questa stagione, che abbraccia gli anni Trenta e Quaranta, recano le firme di maestri del calibro di A. E. van Vogt, Isaac Asimov, Robert A. Heinlein, Arthur C. Clarke e Clifford Simak; in questo milieu nascono però anche voci originali, riconosciute per lo spessore letterario e l’influenza di lungo periodo esercitata sulle successive evoluzioni del genere: tra questi, Alfred Bester, Fritz Leiber, Theodore Sturgeon, Jack Vance e Ray Bradbury. Che la fantascienza non sia mai stata un microcosmo isolato ermeticamente dall’esterno lo dimostra anche l’attenzione prestata ai suoi temi da autori britannici o russi completamente estranei al circuito dei pulp, come il filosofo Olaf Stapledon con le sue visioni cosmiche (Infinito, Odd John, Il costruttore di stelle), Aldous Huxley (Il mondo nuovo) e George Orwell (1984) con le loro distopie ispirate a Jack London (Il tallone di ferro), e dall’altra parte dello specchio Aleksandr Bogdanov (La stella rossa) e Evgenij Zamjatin (Noi), che avranno grande ricaduta sugli autori loro contemporanei e sulle generazioni successive.

 Social Science Fiction
Alla Golden Age segue dagli anni Cinquanta la cosiddetta Social SF, spesso resa in italiano come “fantascienza sociologica”, influenzata dagli effetti psicologici dell’era atomica, espressione di un atteggiamento più critico verso le conquiste scientifiche e le ricadute sociali degli avanzamenti tecnologici sulle strutture politiche ed economiche. Questa stagione sembra rinsaldare il legame della fantascienza con l’ascendenza degli scientific romance di Wells e tra gli esponenti più significativi possiamo citare Frederik Pohl, C. M. Kornbluth, Robert Sheckley, il primo Kurt Vonnegut, Mack Reynolds, Fredric Brown, Damon Knight, William Tenn. La rivista di riferimento diventa Galaxy Science Fiction (presto abbreviata in Galaxy), fondata a Boston nel 1950 dalla casa editrice italo-francese World Editions di Cino Del Duca e affidata alla cura di H. L. Gold, che si avvantaggia tra l’altro dei malumori sempre più diffusi nella comunità degli scrittori dell’epoca verso la passione di Campbell per la Dianetica di L. Ron Hubbard.

Hard SF & Soft SF
Sul finire degli anni Cinquanta comincia a essere identificato un filone interno al genere, definito hard science fiction dal critico P. Schuyler Miller, con riferimento al romanzo Isole nello spazio proprio di Campbell. La “fantascienza dura” si caratterizza per l’attenzione e l’accuratezza riservata alle scienze esatte (matematica, fisica, chimica, biologia, astronomia) e trae ispirazione direttamente dalle opere di Asimov e Clarke, contraddistinte da un’attenzione rigorosa per il dettaglio scientifico. Benché non sia unanimemente accettata dagli esperti come classificazione, l’emersione di un filone hard determina il consolidamento anche di una controparte soft (che formalmente verrà battezzata così solo nel 1975), maggiormente focalizzata sulle scienze sociali (sociologia, psicologia, politica, economia, etnologia) e sulla cura degli aspetti psicologici dei personaggi. Storie anche più curate sotto il profilo letterario trovano spazio sulle pagine del Magazine of Fantasy and Science Fiction (in seguito Fantasy & Science Fiction) già a partire dal 1949, sotto la direzione di Anthony Boucher, che conferirà alla rivista un’impostazione e uno status che conserva ancora adesso. In questo caso possiamo considerare Bradbury come modello per i successivi sviluppi. Tra gli autori riconducibili alla soft science fiction spiccano James Blish, Richard Matheson, Daniel Keyes, Robert Silverberg, Philip K. Dick, John Brunner, Cordwainer Smith, Philip José Farmer, Daniel F. Galouye, R. A. Lafferty, Wilson Tucker. Nell’hard science fiction risaltano invece i nomi di Hal Clement prima, e poi soprattutto di Larry Niven, per arrivare negli anni Ottanta e Novanta a Gregory Benford, David Brin, Greg Bear, Greg Egan e Stephen Baxter. Nel mezzo, a cavallo tra le due categorie, si situano poi autori che si sono espressi con risultati di primissimo piano sia in opere di un tipo che dell’altro, pensiamo nella fattispecie all’inglese John Wyndham, a Frank Herbert e a Poul Anderson.

 New Wave
A partire dagli anni Sessanta e proseguendo nei Settanta, sull’onda anche dei movimenti controculturali di quella stagione (cfr, Proietti, 2003), una nuova generazione di autori aggiunge alle istanze del filone sociologico e della soft science fiction uno slancio stilistico senza precedenti e una ricerca spasmodica per l’innovazione tematica: la fantascienza entra così nella cosiddetta New Wave, grazie alle intuizioni di autori britannici come Michael Moorcock, Brian Aldiss, James G. Ballard, M. John Harrison e alla ricettività di un folto gruppo di colleghi d’oltreoceano, tra i quali ricordiamo Harlan Ellison, Samuel R. Delany, Roger Zelazny, Thomas M. Disch, Norman Spinrad, Barry Malzberg. Nel 1962 New Worlds ospita il celebre editoriale di Ballard Which Way to Inner Space e dall’anno successivo Moorcock assume la guida della rivista britannica: la fantascienza cambia ancora una volta pelle, intercettando i sogni (e i bisogni) di questa nuova generazione di scrittori e scrittrici. I loro interessi sono gli effetti del mutamento indotto nei costumi sociali dal cosiddetto media landscape, il rapporto tra i sessi, i diritti civili, le droghe. È una conseguenza diretta delle turbolenze che in quegli anni attraversavano le società occidentali e quella americana in particolare.

Inoltre, la fantascienza si apre all’esterno e dialoga senza complessi d’inferiorità con il mondo highbrow delle lettere, adottando tecniche rese popolari da James Joyce (lo stream of consciousness) e William S. Burroughs (il cut-up & fold-in); specularmente, gli esponenti della nuova sensibilità postmoderna attingono in maniera sempre più diffusa all’immaginario fantascientifico, come dimostrano i casi di Thomas Pynchon e Don DeLillo. In questi anni emergono su entrambe le sponde dell’Atlantico anche autori che finiranno per tracciare percorsi molto personali, guadagnandosi più spesso l’apprezzamento della critica che il successo commerciale, come Gene Wolfe, Christopher Priest o John Crowley.  È una fantascienza molto vicina anche a quella di matrice non anglofona, rappresentata soprattutto da giganti come Stanislaw Lem e i fratelli Arkadij e Boris Strugackij.

 L’altra metà della SF
Nel corso degli anni Settanta salgono sempre più alla ribalta anche le scrittrici, in rappresentanza insieme agli autori afroamericani delle diversità che finalmente reclamano una propria voce e visione: sulla scia di Leigh Brackett, C. L. Moore, Andre Norton, Judith Merril e Ursula K. LeGuin si affermano Joanna Russ, Alice Sheldon (dietro lo pseudonimo James Tiptree Jr.), Doris Lessing, e successivamente Octavia E. Butler, Suzette Anne Eldig, C. J. Cherryh, Connie Willis, Lois McMaster Bujold, Gwyneth Jones, Pat Cadigan, Nancy Kress, Marge Piercy, Nicola Griffith, Joan Slonczewski, fino a Kage Baker, Jo Walton, N. K. Jemisin, Ann Leckie, Mary Robinette Kowal, Charlie Jane Anders, Annalee Newitz, Nnedi Okorafor, Arkady Martine, Aliette de Bodard e Sarah Pinsker.

 Il cyberpunk e gli anni Ottanta
Gli anni Ottanta sono gli anni del cyberpunk: la strada si riappropria dell’uso della tecnologia e autori e autrici come William Gibson, Bruce Sterling, Pat Cadigan, Rudy Rucker, Richard Calder, James Patrick Kelly, Paul Di Filippo, Lucius Shepard, Vonda N. McIntyre, K. W. Jeter, raccolgono il testimone della New Wave. Negli stessi anni Vernor Vinge, John Varley, Greg Bear e Kim Stanley Robinson riporteranno sotto i riflettori l’attenzione per l’estrapolazione tecnologica e la ricerca scientifica, mentre altri come Michael Swanwick, James Morrow, John Kessel proseguono lungo una strada “umanistica” che alcuni vorranno riconoscere come ipotetica alternativa al cyberpunk. Nella tradizione avventurosa del genere s’inseriscono inoltre le opere di Dan Simmons e Orson Scott Card.

Dopo il cyberpunk
Negli anni Novanta la corrente cyberpunk si divide in un ventaglio di ramificazioni: siamo entrati nel territorio del postcyberpunk (cfr. De Matteo, 2014). Potremmo leggerlo come il segno della definitiva perdita dell’innocenza: entriamo nella fase dell’esperienza più piena, perché si moltiplicano le ambizioni e un numero in continua crescita di autori e autrici si fa carico di portare avanti un discorso che dialoga con il canone storico del genere. Agli scrittori appena citati a proposito degli anni Ottanta si aggiungono nomi destinati col tempo a giocare un ruolo di primo piano, come i britannici Iain M. Banks, Ken MacLeod, Ian McDonald, Nicola Griffith, Michael Marshall Smith, l’australiano Greg Egan, i francesi Jean-Claude Dunyach e Ayerdhal, gli statunitensi Neal Stephenson, Kathleen Ann Goonan, Harry Turtledove, Walter Jon Williams e Maureen F. McHugh. Questa situazione magmatica si protrarrà anche nel decennio successivo, oltre il giro di boa del millennio, con i canadesi Robert J. Sawyer e Peter Watts, i britannici China Miéville, Charles Stross, Richard K. Morgan e Alastair Reynolds, l’anglo-canadese Cory Doctorow, gli americani Ted Chiang, Kage Baker, Ken Liu, Ann Leckie, Arkady Martine, la franco-vietnamita Aliette de Bodard, la sudafricana Lauren Beukes, l’israeliano Lavie Tidhar, l’indiana Vandana Singh o il finlandese Hannu Rajaniemi.

Ai quattro angoli del mondo (e dell’universo)
È quindi il caso di sottolineare due aspetti. Innanzitutto, la fantascienza si apre su un orizzonte globale ad autori di ogni angolo del mondo, come ha dimostrato in maniera eclatante nel 2015 l’affermazione al premio Hugo de Il problema dei tre corpi, romanzo dello scrittore cinese Liu Cixin, tradotto in inglese da Ken Liu; è la tendenza della cosiddetta World SF, una fantascienza priva di vincoli di origine, anche se spesso scritta in inglese anche da autori di provenienza non anglofona. E poi, cosa non meno importante, la varietà di filoni oggi coltivati e la conseguente difficoltà a isolare una singola tendenza dominante può essere, prendendo in prestito le parole dal critico Salvatore Proietti,

“il segno che la SF è diventata un campo vero e proprio, in cui nessuna semplificazione o generalizzazione è più lecita, che bisogna apprendere e conoscere nei suoi termini (come i lettori hanno sempre saputo)”
(Proietti, 2003).

L’annoso dibattito: la fantascienza è morta?

A ogni rinnovamento, qualcuno ha gridato al tradimento della tradizione. Le condanne di apostasia verso gli esponenti delle nuove generazioni si sono fatte via via più insistenti, probabilmente anche in reazione alla velocità del cambiamento: il distacco tra le varie stagioni si fa sempre più marcato man mano che si sale lungo l’albero genealogico del genere, e raggiunge probabilmente il suo primo, violento strappo in corrispondenza della New Wave. Nel mondo anglosassone la reazione si è quasi sempre articolata in termini nostalgici, ma la dialettica interna al settore vive anche di questo confronto e si arriva sempre e comunque alla pacifica convivenza tra vecchie e nuove generazioni. Come se la passa quindi, oggi, la fantascienza? È interessante la testimonianza diretta che ci è stata fornita ormai quasi dieci anni fa dall’autrice Charlie Jane Anders, ai tempi caporedattrice per il portale Gizmodo di io9, il blog di settore più seguito al mondo, che nel 2016 scriveva:

“Dal momento che ho letto molta fantascienza, credo che la fantascienza abbia ancora davanti a sé i suoi giorni migliori. Se c’è qualcosa che questo genere mi ha insegnato, è l’ottimismo per l’ingegno umano – in aggiunta alla convinzione che l’imprevisto è proprio dietro l’angolo. Non sono sola: molta gente sembra considerare la fantascienza più che mai in salute. Il che è buffo, se si pensa che la fantascienza è morta nel 2003, o forse nel 2004. All’epoca dei miei primi tentativi di affermarmi come scrittrice di fantascienza e fantasy, era come se ogni grande convention letteraria non potesse fare a meno di un dibattito sulla «Morte della Fantascienza», in cui autori ed esperti avrebbero denunciato le tendenze che stavano distruggendo il genere costruito da Mary Shelley, Hugo Gernsback e un mucchio di altri autori. Le cause della morte imminente della fantascienza erano molteplici e diversificate, ma includevano il sentimento insistente che la realtà avesse raggiunto lo stato di cose descritto dagli autori della Golden Age intorno agli anni Quaranta”
(Anders 2016).

Ma siamo certi che non fosse la prima volta. Innanzitutto, precisiamo che quando parla di fantascienza, Anders intende – come noi finora – la letteratura di fantascienza, quindi la fantascienza scritta e l’editoria di settore. Nel tempo, i sospetti del loro omicidio si sono concentrati sugli assassini più diversi: il cinema, i videogiochi, internet, tutti portatori di modalità di intrattenimento più fruibili e immediate, con cui la mediazione della parola non può reggere il confronto. E dove siamo oggi se non immersi in un’epoca in cui la lettura è un’attività scoraggiata in tutti i modi, drasticamente penalizzata dal confronto con i media rivali? Già il fatto che qualcuno legga ancora, stando alle statistiche, potrebbe essere visto dai più come un anacronismo. Di tutti i controsensi immaginabili in relazione alla lettura, forse nessuno batte il paradosso rappresentato dalla fantascienza: un genere votato al futuro, che ancora pretende di essere fruito secondo modalità antiche, per non dire antiquate. In molti perdipiù si chiedono se abbia senso cercare di immaginare il futuro in un’epoca che continua a sottrarre punti di riferimento, abbattere certezze, sbriciolare le fondamenta stesse su cui andrebbe costruito il palazzo dell’estrapolazione. Sembreremmo quindi giunti a un punto di stallo. Proviamo a uscirne con un passo di lato.

In realtà, se non tutte, molte delle cause del decesso possono essere ricondotte a due scuole di pensiero principali. La prima ha una genesi interna, coinvolge gli appassionati o quelli che si dichiarano ex-appassionati, che sono tipicamente nostalgici che rimpiangono qualche epoca passata. Quest’epoca coincide generalmente con la fase attraversata dalla fantascienza al momento della sua scoperta da parte del soggetto interessato. Per i detrattori che ricadono in questa categoria, qualsiasi tentativo di superare i modelli “storici” rappresenta una pugnalata alla schiena. Considerando il fatto che, non essendo scolpita nella roccia, proprio come gli altri generi che continuano a essere scritti e letti anche la fantascienza ha continuamente aggiornato nel tempo i suoi schemi, aggiungendo nuovi modelli ai vecchi, evolvendo sul piano stilistico, tematico e linguistico, è facile immaginare quante obiezioni e riserve siano state mosse, nel corso della sua storia, ai tentativi di discostarsi dal canone consolidato. La risposta ai necrofili in questo caso è semplice: la fantascienza continua a vivere in forme sempre nuove, mentre loro continuano a crogiolarsi nel ricordo di una fantascienza che non esiste più. Non è la fantascienza a essere morta, insomma, ma l’idea che loro se ne erano fatti. Amen.

La seconda ha una genesi esterna ma nasconde un’affinità intrinseca con la precedente. Nasce dalla convinzione che la fantascienza, se mai il discorso che la coinvolge abbia avuto un qualche valore, ha ormai esaurito la sua funzione, superata dai tempi. Le sue potenzialità sarebbero state disinnescate, vanificando qualsiasi utilità di ulteriore approfondimento o sviluppo. La conseguenza è la sua relegazione allo stato di semplice curiosità antropologica o al più di letteratura di second’ordine. Ergo: che senso avrebbe leggere i contemporanei? Ma è davvero così? Charlie Jane Anders non ne è così persuasa, e noi diamo volentieri risonanza alle sue parole. Poco più avanti, nell’articolo citato, scriveva infatti:

“In realtà, il processo di scrittura di All the Birds in the Sky (il suo romanzo d’esordio, poi vincitore sia del premio Nebula che del Locus, e finalista allo Hugo, di cui parleremo più avanti, nda) mi ha lasciato la convinzione che la fantascienza ha più che mai qualcosa da dire sul presente, e sul futuro. E sono fiduciosa sulla fantascienza in parte per le stesse ragioni che quelle tavole rotonde nei primi anni Duemila additavano come cause di decesso”
(ibidem).

Il suo discorso vale ovviamente per i contemporanei che scrivono in inglese, ma siamo sicuri che si possa estendere alla letteratura di fantascienza in senso lato, qualunque sia la sua origine. Ed effettivamente mette in luce come sia un po’ il rovescio della medaglia rispetto ai primi necrofili di cui si è parlato: se i primi, appassionati di vecchia data, si ostinavano a non riconoscere il valore delle nuove voci del genere, questi altri, ostili per principio al genere, arrivano addirittura a negare l’evidenza della loro esistenza. Dopotutto, se loro non possono immaginare la possibilità di un futuro diverso da un presente in cui già faticano a riconoscersi, come potrebbero riuscirci altri? Per di più, come potrebbero farlo addirittura degli scrittori di fantascienza?!

Ha ancora senso parlare di fantascienza?
La fantascienza può essere considerata come letteratura del cambiamento. Se è vero che il richiamo alla scienza è dichiarato fin dalla prima formulazione di Gernsback, è altrettanto vero che nel corso del tempo il genere ha inglobato territori di frontiera che possono anche non avere un aggancio diretto con l’estrapolazione scientifica e tecnologica. Pensiamo per esempio al ricco e celebrato filone delle ucronie, ai viaggi nel tempo, alle opere di fantapolitica o anche alle distopie, che non necessariamente presuppongono il ricorso a tematiche scientifiche per dispiegare al meglio le potenzialità del genere. Qualcuno ritiene per questo preferibile sostituire alla science fiction la denominazione più “neutra” di speculative fiction, soprattutto in riferimento agli esiti letterari più alti. Il ciclo di articoli che inauguriamo con questo pezzo ambisce invece a sottolineare l’essenza del genere, esaltando l’ampiezza e la varietà del suo campo d’azione. La fantascienza elabora gli effetti del cambiamento sui parametri culturali ed ambientali che gli autori decidono di volta in volta di declinare: non solo la scienza, ma anche la storia, la sociologia, la politica.

Date queste premesse, è inevitabile che la fantascienza sia un genere sfuggente, camaleontico, mutante. Una caratteristica sottolineata anche dalla sua propensione all’ibridazione con altri generi: il poliziesco, la spy story, l’horror, persino il romance, come vedremo con dovizia di esempi del prosieguo di questo articolo. Capita così ancora oggi di imbattersi nella fantascienza anche dove meno ce lo aspettiamo. Titoli ascrivibili al genere continuano ad arricchire le bibliografie di nomi di prima grandezza del panorama letterario internazionale. Parallelamente, continua la produzione di opere importanti all’interno del settore, perimetrando con quest’accezione il circuito degli editori di collane specializzate e riviste di riferimento. Si moltiplicano le variazioni sui temi classici della distopia, del viaggio nel tempo, dell’ucronia – senza citare le innumerevoli incursioni storiche dello steampunk e dei suoi cugini, clockpunk, dieselpunk, e così via – arricchite da una rinnovata attenzione verso la frontiera scientifica: universi paralleli, universi simulati, intelligenze artificiali, nanotecnologie, biotecnologie, scienze cognitive, terraformazione. Intere correnti di pensiero, come quella riconducibile al transumanesimo, si specchiano naturalmente nella fantascienza per attingere idee ed elaborare quelli che potremmo chiamare esperimenti mentali. E gli scrittori più ambiziosi ingaggiano di continuo sfide con i dilemmi morali che nascono dal confronto quotidiano con un mondo che cambia. Forse proprio in questi anni stiamo assistendo, sulla scala ridotta di un semplice genere letterario, agli effetti di un ritorno accelerante di stimoli e idee, attraverso lo scambio continuo con il mondo là fuori. Forse, la fantascienza stessa di questi anni è un modello in piccola scala della singolarità che ci attende.

(continua)

Letture
  • Charlie Jane Anders, What It Means To Be a Science Fiction Writer in the Early 21st Century, Gizmodo, 27 gennaio 2016.
  • Aleksandr Bogdanov, Su Marte!, Agenzia Alcatraz, Milano, 2024.
  • John W. Campbell, Isole nello spazio, Editrice Nord, Milano, 1976.
  • Giovanni De Matteo, La mappa del futuro: uno sguardo alla fantascienza dal 1984 ad oggi, Next-Station.org, 30 marzo 2014.
  • Aldous Huxley, Il mondo nuovo. Ritorno al mondo nuovo, Mondadori, Milano, 2021.
  • Liu Cixin, Il problema dei tre corpi, Mondadori, Milano, 2017.
  • Jack London, Il tallone di ferro, Mondadori, Milano, 2020.
  • George Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 2020.
  • Salvatore Proietti, Hippies!: Le culture della controcultura, Cooper & Castelvecchi, Roma, 2003.
  • Mary Shelley, Frankenstein, Rizzoli, Milano, 2019.
  • Olaf Stapledon, Il costruttore di stelle, Mondadori, Milano, 2024.
  • Olaf Stapledon, Gli ultimi uomini, Elliot, Roma, 2016.
  • Evgenij Zamjatin, Noi, Mondadori, Milano, 2020.