Lui iniziò a chiamarla scientifiction. In seguito, gli preferì science-fiction e infine, snellì la dicitura, abrogò il trattino, e nacque il conio ufficiale: science fiction. Lui è Hugo Gernsback, l’Hugo del premio letterario Hugo Award che si assegna da 1955 nel corso del Worldcon (World Science Fiction Convention) la più longeva e illustre manifestazione dedicata alla fantascienza. Per coloro che amano il genere, vincere un Hugo e come aggiudicarsi un Oscar o un Emmy.
Ai cultori della materia, Gernsback è un nome che suona assai familiare. Citarlo è un po’ come rievocare un anziano di famiglia, un bisnonno di cui si ha memoria, che si rispetta, e che parimenti si ricorda con fastidio e si tradisce, perché la memoria si osserva anche così. Della fantascienza, d’altronde, Gernsback si può ritenere a tutti gli effetti uno dei padri fondatori.
Non appena, però, si mette il naso fuori da quei territori, il suo nome significa poco o nulla. Una sorte condivisa con il leggendario Buddy Bolden, progenitore del jazz di New Orleans, del tutto ignoto al di fuori degli appassionati della grande Black Music. La storia per i profani inizia con Isaac Asimov o Louis Armstrong, non certo con Gernsback o Bolden. Sci-fi e jazz: le grandi invenzioni culturali statunitensi seguono strade parallele sin dalle origini.
Eppure questo ingegnere elettrotecnico arrivato negli Stati Uniti dal Lussemburgo chiamandosi all’epoca Gernsbacher, è l’uomo che ha inventato la fantascienza, come sistema editoriale e come dispositivo di scrittura votato all’immaginazione tecnologica, oltre ad averla battezzata. Gernsback, se vogliamo, sta a quel genere come Auguste e Louis Lumière stanno al cinema: sono snodi per uscire dall’Ottocento ed entrare nella Modernità dalla porta principale. Ciononostante, l’oblio regna sovrano anche tra i suoi connazionali, ai quali è di certo più cara l’imperatrice e santa Cunegonda. “È una vergogna che sia stato dimenticato”, così accusa (pacatamente) suo nipote Andrew M. Baer convocato da Éric Schockmel per partecipare al delizioso docufilm Tune into the Future (come chiamarlo altrimenti?).
Schockmel è anch’egli lussemburghese, di professione museografo al Museo nazionale di storia naturale del Lussemburgo, progettista di mostre e artista visivo, autore di corti d’animazione in 3D. Il suo affettuoso omaggio a Gernsback è stato presentato al Trieste Science+Fiction Festival, giunto alla ventesima edizione e svoltosi quest’anno esclusivamente in streaming su MYmovies.it.
Le cose stanno effettivamente come denuncia il nipote Bauer, almeno in patria. Lo sottolinea il documentario ricordando che a Città del Lussemburgo nel Quartier du Kiem, si trova l’indicazione stradale di una via “Rue Hugo Gernsback, ingegnere e inventore americano di origine lussemburghese, padre della fantascienza”, così recita, ma è “una strada secondaria poco utilizzata, senza numeri né indirizzi. Un cinema che proietta film della cultura pop influenzati da Gernsback, affaccia il retro sulla via”. Neanche fuori dal nostro pianeta ha avuto sorte migliore, perché è vero che un cratere lunare porta il suo nome, ma non è visibile dalla Terra, essendo sul lato oscuro del satellite.
Riscattandolo dall’ingiusto oblio, Schockmel disegna un affettuoso ritratto del suo compatriota d’altri tempi, costatogli non poca fatica e il perché è presto detto: Gernsback ha avvolto in un solido riserbo la sua vita personale, lasciando scritto niente o quasi a carattere autobiografico. Ostacoli che pur non mandando all’aria il progetto hanno imposto circa sette anni di ricerche. Per l’impresa si è fatto dare una mano, tra gli altri, da Paul Lesch, direttore del National Audiovisual Center e co-curatore della mostra del 2010 Hugo Gernsback – An Amazing Story e si è spostato in lungo e largo negli USA per incontrare e intervistare i discendenti dell’illustre connazionale e diversi accademici.
Ne è nato un racconto biografico abilmente costruito mescolando con grazia filmati, fotografie d’epoca, brevi interventi degli intervistati e alcune testimonianze dello stesso Gernsback (frammenti audio), immergendo il tutto in un’esplosione di colori grazie a illustrazioni e animazioni, poiché, facendo tesoro della sua esperienza professionale nel 3D, Schockmel ha avuto un’intuizione felicissima: inserire sequenze animate, realizzate dallo Studio 352, utilizzando come base le copertine delle riviste di Gernsback. Un delizioso accompagnamento sonoro neo-lounge (di Francesco Tristano e Pascal Schumacher) detta il ritmo, mantenendo sempre leggera l’atmosfera.
La storia prende il via a fine Ottocento, a Città del Lussemburgo, dove Gernsback nasce nel 1884. Si appassiona da bambino alle invenzioni scientifiche, completa gli studi in Germania, all’età di tredici anni va già matto per la radiotecnica. Un episodio in particolare segnò per sempre la vita del piccolo Hugo. L’anno è il 1890, il giorno è quello del suo sesto compleanno, il 16 agosto. Dal documentario si apprende che finalmente gli sono cresciuti i capelli: era completamente calvo fino all’età di cinque anni. Ebbene, quel giorno un’elettricista gli dà una scatola contenente una vecchia pila Leclanché, dei cavi e un campanello elettrico. Il piccolo Hugo affascinato si mette all’opera, collegando i tre elementi. Un’illuminazione non è mai stata così letterale come nel suo caso. “Vedere la scintilla verde dell’interruttore del campanello, mi emozionò più di qualunque cosa. Quella scintilla ha letteralmente scatenato la mia passione per l’elettricità, e non mi è stato possibile dimenticare quel giorno per tutta la vita”, apprendiamo dalla sua stessa voce.
La passione cresce con gli anni e inizia a cimentarsi con l’invenzione scientifica. “Tra i progetti con cui Hugo occupava il suo tempo ricordiamo l’invenzione di una batteria simile alla batteria a strati prodotta oggigiorno dalla Ever-Ready negli Stati Uniti. Quando sia la Francia che la Germania gli rifiutarono di concedergli il brevetto, decise che in Europa non c’erano possibilità per un giovane inventore e, presi i risparmi accumulati con i suoi lavori di installazioni elettriche, impacchettò la sua batteria e comprò un biglietto di prima classe per gli Stati Uniti. Non ancora ventenne, approdò negli Stati Uniti nel febbraio 1904” (Moskowitz, 1980).
L’impresa di inventare il futuro
Qui iniziano le sue avventure imprenditoriali, un’altalena di successi e fiaschi che il documentario ripercorre agilmente. Dopo un paio d’anni di lavoro dipendente si mette in proprio e avvia una società d’importazione di materiali per uso scientifico sperimentale (per esempio valvole a raggi-X e valvole Geissler) e prosegue con i suoi progetti, tra cui il primo apparecchio radio (domestico) della storia messo in vendita al prezzo, ai tempi praticamente stracciato, di 7,50 dollari: il Telimco Wireless. La cosa destò sospetti, “l’ufficio del sindaco di New York fu inondato da reclami di gente indignata, convinta che si trattasse di una truffa, ricorda Gary Westfahl, studioso di science fiction intervistato per l’occasione, e intervennero le forze dell’ordine, “un grosso poliziotto irlandese” ricorda Gernsback. Non c’era frode: l’apparecchio funzionava davvero. Gernsback riponeva una fiducia assoluta nella scienza e nella tecnica, era a suo modo un futurista, anzi era il più autentico dei futuristi perché quel futuro non si limitava ad auspicarlo ma lo fabbricava e non solo: lo immaginava. “Mio nonno era un profeta, era capace di prevedere il futuro. Era un inventore. Ha inventato cose che non sono mai state realizzate” ricorda il nipote.
A sostegno della sua attività aveva dato vita alla prima delle sue riviste: Modern Electrics. Sulle prime (1908) era un semplice catalogo illustrato realizzato per vendere i suoi prodotti su ordinazione. In breve si trasformò nella prima rivista di radiotecnica. È qui che trasforma l’informazione tecnico scientifica nel racconto delle meraviglie della scienza e della tecnica. Trovandosi a corto di materiale da pubblicare per il numero di aprile del 1911, il vulcanico lussemburghese senza perdersi d’animo, scrive in un batter d’occhio la prima puntata di un romanzo, dedicato alle (noiose) vicende di un inventore del futuro. Il romanzo si intitola Ralph 124C41+, che altro non è che il nome del protagonista, e il suo scopo era quello di divulgare le scoperte prossime venture (il sottotitolo recita: Un romanzo dell’anno 2260), strabiliando il lettore. Il sense of wonder che animerà l’immaginario tecnologico trova il suo battesimo del fuoco in questa minuscola e artigianale rivistina.
Quanto al romanzo, basta poco per capire che Gernsback era tutt’altro che una grande penna, tant’è che abbandonò sul sorgere la sua carriera parallela di scrittore. Oggi Ralph 124C41+ è probabilmente il meno letto tra i romanzi più citati quando si parla di fantascienza, essendo “un romanzo terribile […] appena leggibile secondo gli standard odierni” secondo un altro degli intervistati, Gary K. Wolfe, editore e critico letterario. La sua visionarietà, al contrario, lascia tutt’ora a bocca aperta:
“Ecco un sommario delle profezie principali contenute in Ralph, redatto dall’ingegnere E. Aisberg, specialista di radiofonia, nell’ambito di un articolo su Gernsback: «Volo spaziale, illuminazione a fluorescenza, pubblicità volante, mobili in fibra di vetro simile alla plastica, agricoltura completamente rinnovata grazie all’impiego di concimi liquidi e colture a ciclo rapido, colture idroponiche, registrazione magnetica, imballaggio automatico, juke-box, acciaio inossidabile, microfilm in sostituzione dei giornali, televisione e telefoto (telefono con circuito televisivo), radiodiffusione, ipnobioscopia o apprendimento durante il sonno, distributore automatico di cibi e bevande, trasmissione della materia con onde hertziane, controllo delle condizioni atmosferiche». Queste due ultime profezie devono ancora avverarsi, ma un’invenzione, la più stupefacente di tutte, è stata realizzata un quarto di secolo dopo che Gernsback ne aveva enunciato il principio con una precisione che ha del visionario: nel libro si trova infatti la descrizione, e un disegno, del radar come lo conosciamo oggi”
(Sadoul, 1975).
Era solo l’inizio della sua luminosa carriera di inventore (in totale nell’arco della sua vita depositò più di ottanta brevetti), che lo condusse a ritrovarsi e frequentare i due veri Archimede dell’epoca, ovvero Thomas Alva Edison e Nikola Tesla, i miti e modelli viventi che lo ispiravano. Vette che per la verità Gernsback non toccò mai, anche se la sua fantasia ha partorito bizzarre invenzioni. Una su tutte, il casco Isolator, una specie di scafandro con delle fessure per gli occhi e bombola d’ossigeno, costruitosi per uso personale, poiché veniva facilmente distratto dai rumori. Lo indossava quando si ritirava nel suo studio per pensare.
Al tempo stesso avviava l’altrettanto scoppiettante attività di direttore di riviste che hanno fatto la storia della fantascienza. Dopo aver modificato il formato e il nome di Modern Electrics trasformandola prima in Electrical Experimenter e successivamente in Science and Invention, il 5 aprile del 1926, diede alla luce la gloriosa Amazing Stories. A Gernsback non faceva certo difetto l’entusiasmo. Presentò così la sua nuova creatura:
“Amazing Stories è un nuovo tipo di rivista di narrativa! È assolutamente nuova, assolutamente diversa, una cosa senza precedenti nel nostro paese. Quindi, Amazing Stories merita la vostra attenzione ed il vostro interesse”.
È sulle pagine di Amazing Stories che compare la definizione di scientifiction (contrazione di scientific fiction e prima ancora marchio depositato della rivista) e Gernsback ne diede anche una definizione che suona come un manifesto programmatico, al pari di tanti altri che i vari ismi fecero circolare in quegli anni tra Europa e Stati Uniti:
“Per Scientifiction intendo il genere di storie alla Jules Verne, alla H.G. Wells, e alla Edgar Allan Poe: un’affascinante avventura mescolata a fatti scientifici e visioni profetiche”.
La testata non impiegò molto ad affermarsi nel mercato dei pulp magazine pur dovendo competere con concorrenti di peso come Argosy e Weird Tales (quest’ultima aveva in scuderia cavalli di razza come Howard P. Lovecraft e Robert Howard). Merito della scelta editoriale che puntò forte e subito sul caratterizzarsi proponendo un preciso genere letterario in fioritura. Ai tempi Gernsback non poteva conoscere le leggi del marketing, eppure agì come se già ne conoscesse le perfide astuzie, realizzando una perfetta operazione di branding. Merito anche della capacità di emozionare il target a cui si rivolgeva, gli adolescenti. Amazing Stories, ricorda l’astronomo gesuita Guy Consolmagno, quando appare “emoziona il lettore non solo per le grandi avventure, perché queste puoi viverle anche nel selvaggio West, o nei panni di ladri e poliziotti nelle strade di New York”. Emoziona perché “queste sono grandi avventure mentali, grandi avventure ingegneristiche, grandi avventure tecnologiche”.
A esserne rapiti, per esempio, furono due adolescenti quando si trovarono di fronte la copertina del numero dell’agosto 1928. Si chiamavano Jerry Siegel e Joe Shuster, e da grandi volevano fare rispettivamente il fumettista e il disegnatore. L’illustrazione si basava su una storia di E.E. “Doc” Smith, intitolata Skylark of Space e suggerì loro l’idea per inventare un proprio supereroe, un uomo col mantello di nome Superman. Il passaggio è reso evidente nel documentario grazie a un’animazione cromaticamente lussureggiante. Era fatta, da lì in avanti sarà un succedersi di testate e un fiorire di firme. Riviste come Science Wonder Stories, Air Wonder Stories, Amazing Detective Tales, una collana di tascabili, Science-Fiction Series e anche la prima rivista di fumetti fantascientifici, Superworld Comics che vantava la firma di Frank. R. Paul, l’illustratore dei pulp di Gernsback, nonché autore della copertina di Ralph 124C41+; sul suo lavoro il documentario si sofferma opportunamente. Oltre ad aprire una stazione radio, inevitabilmente, il lussemburghese finirà anche per dare vita alla prima rivista medica dedicata all’informazione sul sesso, Sexology, che spiccava, a quanto si racconta nel documentario, per l’incredibile senso di noia che afferrava il lettore.
Biografia ed eredità culturale
Alternando gli episodi squisitamente biografici (la morte della figlioletta di tre anni, le tre mogli, la scelta di non essere seppellito) con quelli legati alle sue molteplici attività professionali, Tuned into the Future indica traiettorie e collusioni inaspettate, che a partire da Gernsback approdano alla saga di Star Wars, a Bill Gates e Microsoft, all’ufologia, ai social media, agli incontri online e ad altri elementi del paesaggio contemporaneo. Una spia è già nella grafica utilizzata dal titolo che ammicca spudoratamente a Back to the Future, che a sua volta aveva come matrice originaria la testata arcuata di Amazing Stories…
È la prospettiva che rende condivisibile appieno la dichiarazione di un altro intervistato, lo studioso dei media Grant Wytthoff: “io respingo la reputazione di Gernsback come profeta, […] perché aveva previsto il radar o l’avvento della televisione. È importante perché ha insegnato alla gente a immaginare le cose del futuro”.
In tempo di nostalgia del futuro, Tuned into the future è un gesto d’affetto verso Gernsback che appare quasi dovuto.
- Sam Moskowitz, Esploratori dell’infinito, Nord, Milano, 1980.
- Jacques Sadoul, La storia della fantascienza, Garzanti, Milano, 1975.