La fantascienza è continuamente alla ricerca di nuovi campi dello scibile da smontare e rielaborare per dare una rinfrescata ai suoi sfondi. Dall’inizio del millennio si è già accumulata una discreta collezione di narrazioni su multiversi e universi paralleli che semplificano i principi della meccanica quantistica tirando la giacca a scienziati novecenteschi quali Erwin Schrödinger e Werner Heisenberg. Del resto il lavoro di costoro è pieno di espressioni che solleticano il sense of wonder: per esempio “entanglement quantistico” oppure il rifiuto del “principio di realtà” nell’interpretazione di Copenaghen. Un solco in cui si inserisce Dark Matter, recente serie tv targata Apple che rimette in vetrina il romanzo di Blake Crouch del 2016. Lo scrittore ricopre anche il ruolo di showrunner dei nove episodi della prima stagione.
Un infinito corridoio di possibilità
Il professor Jason Dessen è felicemente sposato con Daniela. Concentrandosi sulla sua vita con la moglie e il figlio Charlie, Dessen ha rinunciato a una brillante carriera da ricercatore nel campo della fisica quantistica. Insomma il protagonista di Dark Matter volta le spalle al Nobel e decide di trascorrere le sue giornate in compagnia di un personaggio interpretato da Jennifer Connelly. Nel frattempo, in un altro universo, quella carriera è stata effettivamente portata avanti con grandi risultati da un altro Jason Dessen, che ha deciso, tra le altre cose, di non sposare Daniela. Le intuizioni di Jason vengono seppellite da Jason 1 e sviluppate da Jason 2 che concretizza l’invenzione di una scatola in grado di far viaggiare da un continuum spazio-temporale all’altro. Una volta entrati nel grande cubo metallico, basta percorrere un corridoio e scegliere una porta per accedere a un altro universo.
Dark Matter si mette a fantasticare con gran disinvoltura sulla meccanica quantistica e, in particolare, costruisce la sua versione dell’esperimento mentale della scatola di Schrödinger. La scatola è citata da Jason 1, l’annoiato professore di fisica, che prova disperatamente a stimolare un qualche interesse per gli stati quantici nei sui annoiatissimi studenti. Ma rispetto a quella di Schrödinger, la scatola di Dark Matter dispone i suoi personaggi in qualità di osservatori-viaggiatori e questi non osservano il dispositivo dall’esterno bensì dall’interno. Jason Dessen finisce con l’interpretare l’equivalente del povero gatto di Schrödinger vivendo sulla sua pelle le conseguenze dei contatti tra universi.
Oggi che computer quantistici e superconduttività stanno cominciando a entrare nella conversazione, possiamo rileggere La vita è meravigliosa, il più popolare e amato dei film di Frank Capra come esempio di indeterminatezza di uno stato quantico. In un frame di Dark Matter c’è un esplicito riferimento al classico del cinema americano. Ma se nel film di Capra il protagonista George Bailey (James Stewart) ritorna sui suoi passi dopo aver desiderato il suicidio, Jason Dessen avrà ben più da fare per ripulire le sue colpe di scienziato pazzo. Gli sceneggiatori di Dark Matter si spingono soprattutto dalle parti di Ritorno al futuro (1985-1990) riprendendo la tradizione dei paradossi cronologici. La popolare saga cinematografica di Robert Zemeckis ironizza su elementi esistenziali e principi di causalità edificando confronti interessanti tra caratteri psicologici e contesti ambientali. Dark Matter prova a rispondere colpo su colpo collocando scambi e sostituzioni in contesti familiari e professionali, capitalizzando le conseguenze nel segno del dramma e della commedia. Nella fantascienza degli universi paralleli i piani esistenziali non si toccano mai fino all’intervento di una rottura che di solito ha la forma di una scoperta scientifica o meglio di un peccato originario a opera di uno scienziato pazzo.
L’incontro-scontro tra continuum in Dark Matter ricorda molto la serie tv Fringe (2008-2013), forse la prima grande narrazione popolare capace di definire e tenere insieme una gran mole di dettagli riguardanti le versioni alternative di individui e di sfondi collettivi. Fringe prova a inquadrare lo scontro tra universi giocando con la fisica ma soprattutto insistendo sul piano psicologico. La prima frattura viene aperta da Walter Bishop per amore dato che si vede costretto a rapire una versione alternativa di suo figlio per salvargli la vita. In Interno 6B (episodio 3×14) solo Walter può capire il nesso tra le misteriose onde sismiche che minacciano un edificio e l’anziana vedova che vi abita e che sostiene di vedere il marito defunto nel suo appartamento. Nell’altro universo il marito è vivo e vede la sua defunta moglie in una versione alternativa dello stesso appartamento. Una vedovanza incrociata sembra un fenomeno perfetto per aprire un varco interdimensionale permettendo ai fantasmi di amoreggiare.
Il discorso sulla mente umana come vettore ritorna in Dark Matter e nel confronto tra il Jason ammogliato e il Jason imprenditore visionario e multimiliardario. Quest’ultimo apre la prima frattura e porta il caos tra le linee esistenziali di tutti gli altri Jason. Dopo aver viaggiato a lungo, Jason 2 si sofferma a sbirciare la sua versione alternativa in un universo in cui accetta di rinunciare a soldi e carriera per dedicarsi alla famiglia. Il rapimento e la sostituzione di Jason 1 da parte di Jason 2 attiva tutti gli schemi dei paradossi temporali e delle invasioni di ultracorpi.
Il dilemma della scelta di un universo
Sebbene in Dark Matter si cerchi una quota di plausibilità scientifica, il viaggio attraverso gli universi si basa sulle fiale di una sostanza psicoattiva in grado di stimolare misteriose energie mentali. La percezione di una sequenza infinita di porte all’interno della scatola magica è dichiaratamente un’astrazione mentale che schematizza e semplifica. La scrittura di Blake Crouch indica la questione percettiva come centrale e assegna un ruolo fondamentale all’osservatore, proprio come avviene nelle discussioni teoriche sulla meccanica quantistica. La sovrapposizione è uno stato quantistico in cui una particella esiste in tutti i suoi stati possibili contemporaneamente. Quando un osservatore misura una proprietà della particella, tutte le probabilità “collassano” (collasso della funzione d’onda) e la particella assume uno stato specifico. L’infinita sequenza di porte non è poi così infinita se si contempla la possibilità che un umano possa in qualche modo (con l’aiuto della misteriosa sostanza psicoattiva) imparare a suggerire al multiverso di far collassare gran parte delle possibilità che non interessano. Non siamo dalle parti del teletrasporto molecolare di Star Trek o dei salti tramite wormhole di Interstellar (Christopher Nolan, 2014). Qui non c’è un consulente come Kip Thorne che rovina la festa agli sceneggiatori ricordando che non può esistere un’astronave che viaggia più veloce della luce. In Dark Matter l’asticella della plausibilità scientifica fluttua paurosamente e stravince la drammaturgia. Permane il dubbio sul reale spostamento fisico degli individui e che anzi una qualsiasi prospettiva cartesiana non abbia più alcun senso. Tanto che il multiverso di Dark Matter sia in realtà nient’altro che espressione della mente umana in grado di immaginare universi. Siamo più dalle parti di Inception (2010) sempre di Nolan e dei viaggi “psico-nautici” proposti dal videogioco Psychonauts nel 2005. In questo capolavoro videoludico ideato da Tim Schafer, il giocatore si muove tra gli universi passando attraverso un ambiente chiamato “inconscio collettivo”. Da qui ogni porta conduce a un universo di gioco costituito da una proiezione della mente di un personaggio.
Ciascuna mente-universo ha i suoi disagi, le sue scenografie, le sue regole fisiche (straordinario l’universo del lattaio). Analogamente il corridoio metafisico di Dark Matter rimbomba dell’equazione percezione-uguale-realtà tanto cara a Philip K. Dick. Certo non si possono avere i salti folli del divertente Everything Everywhere All at Once (Daniel Kwan, Daniel Scheinert, 2022), che in uno dei suoi universi presenta una realtà diversa dalla nostra solo per il piccolo dettaglio che gli umani hanno dei giganteschi würstel al posto delle dita. Né i noiosi tentativi di controllo della Sacra Linea Temporale (la realtà ufficiale in un Marvel Cinematic Universe in vena di burocrazia e di spiegoni) visti nella serie Loki. E nemmeno le deliziose varianti grafiche degli eroi del brillante Spider-Man: Across the Spider-Verse (Dos Santos, 2023) a cui corrispondono altrettanti universi caratterizzati da clamorose alterazioni dello spazio euclideo.
La selezione di universi proposta da Dark Matter è più seriosa. Se ogni porta apre a un altrove assoluto dovremmo aspettarci che tutto l’insieme degli atomi di quell’universo, preso in un determinato momento, possa presentarsi in una configurazione assolutamente casuale e totalmente imprevedibile, magari anche con leggi fisiche proprie. Altro che gatto vivo o morto: dentro la scatola (attorno alla scatola nel caso di Dark Matter) potrebbe esserci letteralmente di tutto. Se mettiamo un intero universo in stato di sovrapposizione allora abbiamo un insieme infinito di atomi che possono dare un numero infinito di risultati.
Per provare a suggerire un’idea di varianza multiversale Dark Matter attiva il suo sense of wonder giocando un po’ con gli ecosistemi e mostrando la Chicago di Dessen in varie circostanze. La sensazione di indeterminatezza quantistica non investe solo le vite dei protagonisti ma anche il percorso dell’intera umanità. La Chicago sommersa dall’acqua o invasa da una foresta pluviale suggerisce un fatale cambiamento climatico. Qualcosa su scala cosmica avviene quando il vuoto risucchia l’aria nella scatola all’apertura della porta su un mondo privo di atmosfera e in balia di un sole in espansione. Jason 1 prova molto dolore, questa volta non fisico, quando interagisce con una versione della sua città colta nel mezzo di una tragica epidemia. La maggior parte degli universi alternativi non ha bisogno degli umani. L’apertura di alcune porte ricorda l’estrema fragilità di ciascun continuum rispetto alla vertigine delle infinite possibilità. Dark Matter insiste sulla fantasiosa prospettiva di un cervello-navigatore in grado di guidarci attraverso le infinite possibilità e di farci proseguire (o sognare di seguire) in un’odissea a lieto fine. Niente di nuovo per l’umanità contemporanea che cerca nei social network un catalogo delle vite possibili per intrattenersi e sognare di essere altrove. Proprio come il corridoio di Dark Matter. Seguendo le tracce di una mutazione antropologica riguardante i nodi vita/lavoro e mente/materia anticipata da Edgar Morin, Paolo Landi constata che l’odierna economia dei social network ha rovesciato le tradizionali categorie materiali dell’edonismo e della felicità di matrice industriale spostando il focus dal benessere alla rappresentazione del benessere. Gli universi desiderati si fanno immateriali. Il nuovo capitalismo ci sta portando da una cultura di massa che desidera all’unisono un determinato corpus di beni materiali e di status symbol a una “civiltà del desiderio” in cui ciascuno elabora la sua personale “mitologia della felicità privata” (Landi, 2023) osservando, desiderando e idealizzando le esistenze altrui in rete.
Noi siamo il ricco Jason Dessen 2 che salta da un universo all’altro per rubare ciò che ha il povero Jason 1, il quale non comprende la natura del suo bene se non dopo la rapina. Le tecnologie per il social networking ci spingono a vivere sul palco in un contesto basato sulla cura delle apparenze. In questo modo la vera felicità privata non è altro che una scatola chiusa di cui possiamo vedere solo un lato esterno sul quale è proiettato uno dei tanti possibili interni.
Difendiamo il nostro connettoma
Con le neuroscienze e le neurotecnologie la scatola nera del nostro cervello sta per essere aperta. Nel suo libro Difendere il nostro cervello la biologa specializzata in questioni bioetiche Nita Farahany mette in guardia sulle implicazioni etiche delle future interfacce neurali, inclusa la possibilità di monitorare e manipolare l’attività cerebrale. Connettendo direttamente il cervello alla rete diventerebbe possibile giocare direttamente con l’elettroencefalogramma delle persone andando ben oltre le tradizionali dinamiche della persuasione politica e della socializzazione mediologica. Esistono dispositivi in grado di registrare l’attività neurale grezza rendendo accessibile quella complessa rete di connessioni cerebrali, di possibilità e di preferenze che chiamiamo coscienza.
“Una delle scoperte più straordinarie delle moderne neuroscienze riguarda l’unicità del connettoma funzionale di ciascuno di noi (le connessioni fisiche all’interno del cervello), soprattutto nelle aree dedicate a pensare e ricordare. Per questo motivo, si possono usare gli algoritmi per analizzare l’attività cerebrale e ricavarne caratteristiche che sono sia esclusive di ciascuna persona sia stabili nel tempo. Il modo in cui il cervello reagisce a una canzone o a un’immagine, per esempio, è strettamente legato alle nostre esperienze precedenti. I modelli cerebrali unici così generati possono essere utilizzati per verificare l’identità delle persone”
(Farahany, 2024).
Queste tecnologie potrebbero entrare presto nell’elettronica di consumo: ne abbiamo già un assaggio con dispositivi wearable quali gli smart watch. La fine dell’anonimato digitale potrebbe coincidere con l’avvento di un cervello aperto in cui parti del connettoma individuale sarebbero totalmente a disposizione della scrittura di una civiltà algoritmica. Per Farahany un uso aggressivo delle neurotecnologie potrebbe mettere a rischio la possibilità di avere un “mondo interiore”. Sarebbe la fine di una libertà cognitiva che è prerequisito per qualsiasi forma di democrazia. Siamo già in un’era dell’umanità in cui i limiti della conoscenza individuale vengono trascesi grazie alla connettività. Ora però siamo anche alla vigilia di un ulteriore potenziamento della spinta fornita dalla mente collettiva. Lo sharing digitale e la sua industrializzazione insinuano un dubbio sulla possibilità che in futuro possano ancora esistere persone che desiderano coltivare e tutelare la propria interiorità tenendo chiusa la scatola.
Le intelligenze artificiali diventano sempre più abili a predire cosa avviene dentro il chiuso dei cervelli. Un giorno manutenere e difendere una propria vita interiore senza condividerla potrebbe diventare vettore di stigma e di disapprovazione, come avviene nella civiltà della trasparenza assoluta descritta nel romanzo Il cerchio di Dave Eggers. D’altro canto le tecnologie connettive potrebbero anche delineare scenari futuri basati sulla frammentazione e sulle bolle di informazione personalizzate e chiuse. L’individuo potrebbe finire in una gabbia di scelte plasmate dagli algoritmi. Molto più di quanto non sia già ora. Nell’episodio L’impiccato della serie tv Electric Dreams, la pubblicità olografica è ovunque ed è tarata sugli interessi (e sulle tasche) di chi guarda. Si fatica non poco a essere certi di ciò che si vede. La serie Amazon mette in scena alcune paranoie di Philip K. Dick, qui l’anticipazione (il racconto di origine è stato scritto negli anni Sessanta) della pubblicità personalizzata, dei micro-target che esaltano il paradosso di un controllo delle masse basato su visioni non necessariamente condivise. Il dissenso e l’associazionismo a fini politici verrebbe polverizzato da tecnologie che entrano nel cervello e disgregano il comune senso della realtà.
Vivere negli universi che sogniamo
Prima di aprire una porta in Dark Matter, Jason Dessen invita i nuovi viaggiatori a porsi con attenzione rispetto alle aspettative, all’universo alternativo in cui vorrebbero approdare. In pratica ogni porta è una possibile scatola di Schrödinger e il viaggiatore funge da gatto. Ma se ogni nuova apertura può costare la vita, ci può anche essere il premio dell’approdo all’universo desiderato. Magari un universo migliore. Il nostro futuro cervello-scatola potrebbe contenere tutti gli infiniti universi offerti dai cataloghi delle reti digitali e quelli generati da nuovi prodotti specializzati nella simulazione di universi. Le tecnologie digitali che oggi ci spiano e ci imitano potrebbero non avere più alcun interesse a studiarci una volta compiuta l’osmosi di saperi tra umani e macchine. Queste tecnologie potrebbero aiutarci a fare worlding ovvero costruire interi universi utilizzando metodi come quelli concepiti da Ian Cheng (2024). Si tratta di un abito mentale che aiuta a navigare la complessità del reale pensando alle sue possibili (o impossibili) alternative. Cheng immagina un futuro in cui l’intelligenza artificiale consentirà a chiunque di creare e gestire i propri universi facendosi orientare dalle chiacchierate con le proprie “maschere”, costrutti mentali depositari di un sapere che è in parte individuale e in parte collettivo. Un approccio che può aiutare a preparare un salto verso l’ignoto o a perdersi, come in Matrix, dentro mondi che catturano. I mondi simulati possono essere introspezioni in grado di rafforzare la nostra capacità autoriflessiva oppure spiragli da cui farci rapinare la capacità di discernimento.
- Ian Cheng, Fare Mondi. Vademecum per emissari, Timeo, Palermo, 2024.
- Blake Crouch, Dark Matter, Fanucci, Roma, 2024.
- Paolo Landi, La dittatura degli algoritmi, Krill Books, Lecce, 2023.
- J.J. Abrams, Roberto Orci, Alex Kurtzman, Fringe, Amazon Prime, 2008-2013 (streaming).
- Frank Capra, La vita è meravigliosa, Paramount, 2021 (home video).
- Joaquim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson, Spider-Man: Across The Spider-Verse, Eagle Pictures, 2023 (home video).
- Dan Kwan, Daniel Scheinert, Everything Everywhere All at Once, Eagle Pictures, 2023 (home video).
- Ronald D. Moore, Michael Dinner, Philip K. Dick’s Electric Dreams, Amazon Prime, 2018 (streaming).
- Christopher Nolan, Inception, Warner, 2011 (home video).
- Tim Schafer, Psychonauts, Double Fine Productions, 2005 (videogame).
- Robert Zemeckis, Ritorno al futuro trilogia, Universal, 2020 (home video).