Narrando l’indicibile
tra cicloni, foreste e orsi

Claudia Boscolo
L’orso e la tempesta
Industria&Letteratura

Fraz. Altagnana (Massa), 2024
pp. 96, € 13,00

Claudia Boscolo
L’orso e la tempesta
Industria&Letteratura

Fraz. Altagnana (Massa), 2024
pp. 96, € 13,00


“Indicibile è la natura della devastazione, anche se dicibili ne sono le cause”
(Boscolo, 2024)

Tra il 27 e il 30 ottobre 2018 un ciclone extratropicale, con venti fino a 200 km/h e piogge che in tre giorni coprirono il quantitativo di sei mesi, attraversò l’Europa causando 16 vittime, crolli, allagamenti, scoperchiando edifici e abitazioni e abbattendo oltre 14 milioni di alberi, in particolare nelle foreste del nord-est italiano.
Il 16 luglio 2019 un orso di tre anni e mezzo attraversa la foresta ormai diradata del Monte Marzola, in Alta Valsugana diretto verso nord, in cerca di cibo. Sulle sue tracce guardie forestali, avvistamenti e fototrappole. Probabilmente, trascorrerà l’inverno nella Valle del Vanoi, per risvegliarsi a febbraio in una foresta fin troppo silenziosa, abbandonata in fretta e furia dagli umani che, nel frattempo, erano confinati nelle loro case e alle prese con una pandemia mondiale. Se questi eventi ci sono noti è probabilmente perché ne abbiamo sentito parlare nella cronaca giornalistica, telegiornalista o attraverso i social media. Qualcuno ne ha scritto un approfondimento saggistico o una pagina Wikipedia. Nessuno tuttavia, ne aveva tentato finora un racconto che tenesse insieme elementi spazio temporali anche molto distanti tra loro, che utilizzasse fonti molteplici di varia natura e che si potesse iscrivere entro i vasti e aperti confini della letteratura. Probabilmente perché la letteratura, in quanto forma di espressione artistica, vive di tempi suoi, che non sempre coincidono con quelli della cronaca o dei media. A volte coincidono invece, con il tempo dell’elaborazione di un lutto o di un trauma, tempi lunghi, tempi di silenzio, ma anche di discussioni private che si schiudono poco a poco in spazi di piccole comunità sicure. Discussioni e riflessioni che si accumulano nei giorni ordinari e che generano, tra gli strati del tempo, parole nuove, che talvolta continuano in qualche frase, memorie che si trasmutano in racconti, esperienze in prima persona che, attraversate dalla scrittura e che la attraversano a loro volta, si fanno pratica ecologica concreta, ovvero mostrano come ogni storia sia storia intessuta entro quella più vasta del mondo.


Tra il 27 e il 30 ottobre 2018 un ciclone extratropicale, noto come tempesta Vaia, devastò il paesaggio del Nord-Est italiano.

Il libro che ci racconta la storia di Vaia, la tempesta, e quella di M49, l’orso, si intitola La tempesta e l’orso, e l’ha scritto Claudia Boscolo, ricercatrice e docente di Lingua e Letteratura italiana nei licei. Questo piccolo – nel formato – libro-guida, saggio-narrativo, ibrido-scrittorio è pubblicato da Industria&Letteratura, una casa editrice dai progetti poetici e letterari compositi e che vanta già diversi preziosi titoli in catalogo. Il libro è il primo di una nuova collana chiamata Sarvatā e diretta da Laura Liberale, poeta e indologa. Sarvatā è un termine sanscrito femminile che indica la totalità, la completezza e deriva da Sarva che significa l’universo, il tutto. È uno dei nomi con i quali si indica dio in sanscrito ed è stato scelto, come dichiara Liberale nel corso di un incontro online (Boscolo, del Sarto, Liberale, 2023) di presentazione della collana, proprio perché è un termine che rappresenta bene parole chiave che ne orienteranno le scelte di pubblicazione, come interconnessione e onnicomprensività. Ed è questo sarva, questo tutto, l’orizzonte ambizioso entro il quale esplorare La tempesta e l’orso, un libro che travalica serenamente generi e sottogeneri letterari per materializzarsi come scrittura dell’Antropocene, scrittura adatta a quello che un sabotatore di generi come fu lo scrittore Francesco Biamonti (non ci si lasci ingannare dalla dicitura “romanzo” che compare sotto ai suoi titoli), chiamava “interregno” o l’«epoca di trapasso» (Biamonti, 2008) che viviamo. Un’epoca nella quale sembrano risvegliarsi presenze che si credevano sopite o che erano state relegate nel regno dei morti (viventi), nel regno degli oggetti, del non-umano e dunque di un vivente un po’ meno vivente di quanto non sia una specie che ama sentirsi speciale, soprattutto in quanto sapiente.

“Chi può dimenticare i momenti in cui qualcosa che sembrava inanimato mostra di essere ben vivo, addirittura pericolosamente vivo?”
(Gosh, 2017).

Così si interroga Amitav Ghosh all’inizio di quello che è probabilmente il saggio più importante del XXI secolo, molto citato e qui, in una delle rare volte, anche messo in pratica (Gosh, 2017). È infatti da quei momenti, dal racconto di quei momenti spaventosi che in un baleno riattivano nell’umano quel cervello rettiliano che ancora lo abita, come evidenzia Boscolo nel suo libro, che prende le mosse la storia di Vaia.
Fin dal titolo e dalla copertina del libro osserviamo che il ciclone extratropicale e l’animale sono protagonisti della storia. Sulla copertina l’orso è in cammino in un bianco punteggiato da qualche albero, un bianco che segnala non tanto il vuoto lasciato dal passaggio della tempesta, ma proprio la sospensione del pensiero, delle parole, del respiro, che l’irruzione di ciò che si credeva inanimato ha comportato. E il recupero del respiro, del pensiero e della parola lascia necessariamente ancora degli spazi bianchi, di silenzio e si costituisce nel testo come parola misurata, precisa, maieutica, scarsamente tesa allo slancio emotivo che caratterizza tanta comunicazione contemporanea, soprattutto su eventi di questo genere. Ma la tempesta e l’orso non sono i soli protagonisti di questo racconto – racconto lungo, tentativo di ricognizione – la cui forza sta proprio nella capacità di intrecciare in una spirale in movimento, eventi, luoghi, animali umani e non umani, emozioni, decreti ministeriali, pratiche artistiche e di evocare uno smisurato apparato iperoggettuale aspirando a una tensione verso quel tutto, quel sarva che è poi il mondo, la vita vivente.

Fuga, cattura, fuga: la vicenda paradossale dell‘orso M49.

Il racconto di Claudia Boscolo, che inizia “con un rivolo in una notte di disastro e un bambino spaventato” si sviluppa in dieci brevi capitoli e “nessun finale”. Eventi, luoghi e personaggi entrano in scena con taglio narrativo mantenendo un carattere volutamente non caratterizzato, aperto, come avviene nelle fiabe: ci sono un bambino, i genitori, gli amici, ci saranno le studentesse di una scuola, poi un orso, un uomo eletto contro le élite, un drago, un leone e così via. Viene rispettata una cronologia degli eventi, ovvero la tempesta, le reazioni alla tempesta, i viaggi dell’orso e, in ultimo, il drago e le altre figure realizzare dall’artista Martalar con il legname delle foreste. Quest’ordine apparente e che resta apparentemente legato alle vicende sopranominate è tuttavia scosso, nel corso della narrazione, da operazioni di archeologia che a tratti scavano in profondità per andare a rintracciare elementi storici, geologici, biologici profondi. E nel corso di questo scavo la caratterizzazione dei luoghi si fa più precisa, con i nomi dei paesi, delle valli, con i miti che riaffiorano in superficie, con le responsabilità anche, molteplici e diffuse, per l’accaduto.
Boscolo, medievista di formazione e ricercatrice, non costruisce solo un racconto a partire da quello che è accaduto quella notte di fine ottobre 2018, quando la tempesta è entrata nelle case della gente, nella camera di un bambino che dormiva, quando ha scaraventato macigni giù dalle valli sradicando le radici dei giovani abeti rossi, ma ci racconta anche la storia di questi alberi e di questi territori.

“Gran parte di quegli alberi era stata piantata sul suolo dilaniato della prima guerra mondiale. Solo il quindici per centro dei boschi dell’Altipiano rimase indenne alla fine del conflitto”.

Il rimboschimento che ne seguì, a partire dagli anni Venti, creò un bosco di quasi soli abeti rossi che in un secolo rimasero fragili, troppo fragili per resistere alla furia dello scirocco.

“Alla guerra degli uomini si è sostituita quella dell’atmosfera contro le decisioni scellerate dovute alla fretta e alla necessità di ricostruire un ambiente che potesse ricalcare quello perduto”.

Il ciclone si abbatte dunque su un terreno già fragilizzato e

“l’eccezionalità dell’evento Vaia risiede proprio nel suo essere unico in una zona non solitamente percossa da venti di velocità così elevata e dove le forti piogge hanno indebolito il terreno che, invece, quando è congelato, oppone maggiore resistenza: ecco che il riscaldamento climatico agisce anche sulle caratteristiche del suolo, la cui consistenza risulta meno solida”.

Come ricorda l’autrice, la tempesta non è che una delle manifestazioni dell’«iperoggetto» cambiamento climatico ed è dentro questo orizzonte che ormai l’umano fa esperienza del mondo. Nel racconto della tempesta – che viene lasciato a una voce che trasforma l’esperienza diretta dell’autrice in narrazione universalizzante – la visione oscurata dal buio della notte, con i “tonfi”, i “rumori sordi” che rimbombavano, è intervallata dalle sirene blu dei soccorritori che “erano come puntini azzurri nel nero pece, quasi un Van Gogh, ma del terrore”. Il filosofo Bruno Latour ha scritto, a proposito della nostra attuale esperienza dello spazio, di un’esperienza di “sparizione del sublime” (AÏt-Touati, Bruno Latour, 2022, traduzione dell’autrice). Non riusciamo più semplicemente ad impressionarci “di fronte” a uno “spettacolo della natura”. L’esperienza del sublime, dal latino sublimis, ovvero “ciò che giunge fin sotto la soglia più alta”, ci è ormai preclusa in quanto mancano le condizioni per il buon esito di questa esperienza che, come ricorda Latour, necessita di almeno tre elementi per verificarsi: occorre essere “fuori” rispetto a ciò che accade, occorre sentirsi più piccoli rispetto a ciò che osserviamo e occorre sentirsi moralmente elevati rispetto a quello che sta “là fuori”. Il cambiamento climatico svela come non siamo mai stati “fuori” da nulla, come l’umano non sia poi così piccolo rispetto al resto, in quanto la sua forza è divenuta competitiva, e sulla questione morale sento che possiamo tranquillamente soprassedere. Così come la tempesta si rivela agente e portatore di una sua vitalità non prevista, così l’orso, o meglio gli orsi che popolano la narrazione si rivelano agenti e protagonisti di una vicenda che finirà per assumere tinte surreali e drammatiche, ovvero quella del ripopolamento degli orsi in Trentino. Seguendo gli spostamenti di M49, degli altri orsi senza nome e di quelli come Francesco, che invece un nome l’hanno ricevuto – e nelle sequenze sugli spostamenti degli orsi la voce narrante è molto brava a cimentarsi in una narrazione senza umani – ci immergiamo, attraverso l’animale, nel mondo selvaggio, quel selvaggio che nel tempo è stato relegato in spazi lontani, spazi del fuori, le foreste appunto, dalla cui la radice foris, foras, derivano anche forestiero e forestare, metter fuori, bandire. E Boscolo rintraccia come questo mettere al bando l’orso venga da lontano, almeno da quando

“nelle foreste della Sassonia e della Turingia durante il regno di Carlo Magno, fra il 773 e il 785 si documentano stragi di orsi da parte dei soldati franchi vittoriosi contro i Sassoni”.

Il cristianesimo per installarsi ha avuto bisogno di eliminare, spesso in maniera violenta, culti e consuetudini precedenti che spesso erano legati a una venerazione delle forze naturali e non a una loro dominazione, e così fu anche per le divinità teriomorfe che rappresentavano il selvatico, l’altro, qualcosa che andava schiacciato, dominato. Diversi capitoli del libro saranno dunque dedicati a un approfondimento storico, antropologico e archeologico della relazione tra l’umano e l’orso, chiamando a raccolta diverse fonti bibliografiche e mostrando così tutta la complessità e insieme l’assurdità di una vicenda che è ancora in corso e che la maggior parte dei media, monopolizzando il discorso, ha raccontato in maniera ben diversa. Sottolinea Boscolo:

“È nell’enfasi posta sul suo carattere di eccezione che risiede il problema di comunicazione delle trasformazioni ambientali che sta subendo l’arco alpino”.

Allo stesso modo il fatto di trattare ogni evento come una forma di emergenza impedisce l’instaurarsi di qualsiasi politica culturale e sociale di lungo periodo. E in questo clima emergenziale nel quale il monopolio della parola è accordato a una gestione politica disastrosa, anche l’arte e la ricostruzione del dopo tempesta possono assumere connotazioni ambigue e problematiche. Gli ultimi due capitoli del libro sono infatti dedicati all’analisi delle popolarissime sculture in legno realizzate dall’artista Marco Martalar, dal noto Drago Vaia, incendiato nel 2023, alle altre figure del ciclo scultoreo di Vaia. Se la visione di questi mostri alati, solitamente istallati in luoghi suggestivi, può risultare evocativa e colpire gli spettatori e potrebbe assumere anche i caratteri di un’allegoria di rinascita, tuttavia, come nota Boscolo “le allegorie stanno in piedi finché funziona il sistema simbolico che le sorregge”. E qui verrebbe da dire che è troppo tardi persino per le allegorie di benjaminiama memoria, perché l’angelo della storia è passato da un pezzo e dietro di lui pare siano rimasti solo i gadget di un passato in cartolina. Gadget instagrammabili, acquistabili, come i Vaia Cube realizzarti da una s.r.l., gadget che ci dicono soprattutto che, alla fine, l’importante è trarne profitto, perché “trasformare l’evento in opportunità è il mantra di questi anni. Ma gli eventi si moltiplicheranno. Anche le opportunità?”.
La domanda è lecita, come è lecito mettere in discussione questa dialettica del disastro dal quale comunque, pur drammatico che sia, si esce migliori. Una dialettica che si ritrova anche in una certa narrazione antropologica. Si pensi a un autore come Jared Diamond che spiega così tanti collassi di civiltà del passato, come se fosse poi ogni volta sufficiente un colpo di spugna e ripartire, tanto peggio per ciò che è andato perso (cfr. Diamond, 2014).

Il Drago Vaia, scultura in legno dell’artista Marco Martalar.

La questione invece è tutta aperta, come sono aperte tutte le questioni che pone questo piccolo e prezioso libro che non ha la pretesa di trovare soluzioni, ma di fare il punto, di fare esercizio di ricognizione, un esercizio precario e in divenire. Questa scrittura è il tentativo concreto di resistere all’ondata di una comunicazione emotiva non gestibile né digeribile e di intraprendere un altro tipo di discorso. Infine, un punto, forse il più importante che si rintraccia in questo racconto, che è quello del dialogo aperto con le giovani e giovanissime generazioni. Le parti nelle quali la voce narrante restituisce i dialoghi con il bambino e poi con le classi a scuola, ovvero quella che viene chiamata “l’esperienza del racconto di Vaia” è un’esperienza durata anni e che non è ancora conclusa. È lo sforzo di una madre di rassicurare il figlio attraverso il racconto della verità. È il tentativo di un’insegnante di costruire, insieme agli studenti, strumenti concreti di analisi del presente. Non un’analisi astratta, bensì un’analisi che parte dall’esperienza vissuta di ciascuno, in questo caso quella della tempesta, quella dei luoghi abitati dai protagonisti del racconto, un’esperienza che è corporea ed emotiva prima ancora che cognitiva, e che a poco a poco allarga il discorso, lo approfondisce, apre voragini nella storia profonda per imparare a costruire insieme una storia futura. Una storia che in buona parte è ancora da scrivere.

Letture
  • Francesco Biamonti, Le folate di “Vento largo” e La musica de “Le parole la notte”, in Scritti e parlati, Einaudi, Torino, 2008.  
  • Andrea Cassini, L’impronta, Zona42, Modena, 2023.
  • Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Torino, Einaudi, 2014.
  • Amitav Ghosh, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Neri Pozza, Vicenza, 2017.
  • Bruno Latour, La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, Meltemi, 2020.
  • Frédérique AÏt-Touati, Bruno Latour, Trilogie Terrestre. Inside, Moving Earths, Viral, Éditions B42, Paris, 2022.
  • Jean-Baptiste Morizot, Sulla pista animale, Nottetempo, Milano, 2020.
  • Isabelle Stengers, Nel tempo delle catastrofi. Resistere alla barbarie a venire, Rosenberg & Sellier, 2021
Visioni