Possiamo raccontare una storia seguendo il punto di vista di un personaggio, a volte quello di un animale e raramente quello di un oggetto. Ma quando mai si è visto che il punto di vista di una trama appartenga a un luogo? La macchina da presa in Here resta lì, fissa per tutta la durata del racconto, quasi ad assimilarla a una telecamera di videosorveglianza. Quest’ultima sarebbe stata un’ottima giustificazione per la particolare prospettiva, ma questa soluzione non viene offerta. Non c’è un interesse nello specificare perché vediamo tutto da lì. Il filo conduttore del racconto è il tempo; in quella cornice, la vita non si è fermata nemmeno per un secondo, e si è fatta carico di esperienze che nessuno potrà più raccontare, ma un pezzo di loro rimarrà sempre lì. Autore di tale novità è Robert Zemeckis, regista statunitense che approda al cinema nell’ormai lontano 1978, con il suo primo lungometraggio 1964 – Allarme a N.Y. arrivano i Beatles! grazie alla sua amicizia con il collega Steven Spielberg. Negli anni regalerà al pubblico cult famosissimi, tra cui il premiato Forrest Gump e la trilogia di Ritorno al futuro, fino ad arrivare ad oggi con l’uscita di Here, film sperimentale adattato dal fumetto omonimo di Richard McGuire.
Soluzioni di regia e performance attoriali
La trama principale ripercorre l’evoluzione della storia della famiglia Young, della quale vediamo le vicende attraverso quel luogo che ora è l’interno del salone di una casa. Al Young (interpretato da Paul Bettany) non è stato l’unico proprietario di quell’abitazione nel corso della storia. Varie famiglie hanno vissuto lì dentro prima di loro, e chissà quante altre ne arriveranno dopo. Unica inquadratura, storia millenaria. Sorge una domanda tecnica: come viene risolta la questione montaggio? Sarebbe impossibile raccontare una storia lunga quanto l’eternità senza usufruire del montaggio; insomma, ne verrebbe fuori un film lungo appunto un’eternità! Zemeckis risolve il problema sfruttando dei collegamenti tra le epoche che vediamo attraverso l’aprirsi di piccole icone nell’inquadratura, le quali si allargano piano piano fino a coprire la totalità dell’inquadratura. Idea geniale, ma non sempre sfruttata al meglio. A volte i collegamenti sono calzanti con la scena precedente, ma varie volte sono dei veri e propri voli pindarici tra una sottotrama e un’altra, che da un lato portano nuova energia e catturano l’attenzione, dall’altro portano spesso lo spettatore a chiedersi il motivo di quella scelta, purtroppo senza venirne a capo. La tecnica è spesso mascherata dalla recitazione; la curiosità del pubblico sta nel vedere diverse scenografie, e tale interesse è colmato dal già citato montaggio, che facendo saltare la storia da un’epoca all’altra ci mostra il cambiamento della zona negli anni. Quando questo non è possibile, si passa agli specchi. Data l’impossibilità della macchina da presa nel muoversi, sarà uno specchio a mostrare il controcampo, la zona del salone che il pubblico non vede mai. Intelligente, ma anche rischioso a causa dei possibili riflessi della troupe.
Sono riscontrabili varie similitudini fra Here di Robert Zemeckis e 1917 di Sam Mendes? Una di queste è l’uso della teatralità. In entrambi i casi era richiesta una grande abilità da parte degli attori nel non uscire mai dal personaggio, in quanto per la maggior parte del tempo rimangono in scena sotto l’occhio attento del pubblico. Ogni azione andava provata e riprovata affinché ogni cosa potesse andare nel verso giusto al grido di azione, dato che una volta iniziato a recitare non si poteva più smettere, e ogni errore implicava il ricominciare da capo. La furbizia del regista sta nella possibilità creativa. È vera la costanza di un imponente limite tecnico che confina la produzione artistica; il vantaggio sta nell’utilizzare il tempo. Puoi parlare di qualsiasi cosa quando non hai un limite temporale, ogni storia può contenere un messaggio diverso.
La scelta principale del regista ricade sul dramma familiare, grande classico per Zemeckis dato che in Forrest Gump se ne vedono a bizzeffe. C’è però spazio per politica, scienza e a un certo punto salta fuori un’inaspettata critica al razzismo condotta dalla famiglia che abiterà la casa dopo i Young. Un’apparentemente banale spiegazione di come mostrare i documenti a un agente di polizia mostra il lato oscuro dei pregiudizi americani, e fa capire che l’essere umano ha ancora un lungo cammino da affrontare per far sì che un incubo simile possa finire. La drammaticità di quest’ultima scena consiste anche nell’ambientazione, che è contemporanea ai giorni che stiamo vivendo. Il regista ce lo fa capire grazie al reparto scenografia, che provvede a cambiare sapientemente gli oggetti in campo affinché ci si possa perdere nell’epoca in cui è ambientata la scena. Non è così scontato avere un riferimento sul periodo storico che stiamo osservando; i cambi repentini di personaggi possono confondere molto la percezione del pubblico, e spesso anche dei banali utensili, che nel quotidiano daremmo per scontati, potrebbero rappresentare quel periodo in cui stanno vivendo i personaggi.
Ritratto di famiglia in un interno
Zemeckis, come precedentemente accennato, si sofferma maggiormente sulla famiglia Young, in particolare sulla storia di Richard e Margaret, interpretati rispettivamente dai noti volti di Tom Hanks e Robin Wright (incredibilmente ringiovaniti grazie al moderno utilizzo dell’intelligenza artificiale), che tornano a recitare insieme dopo il successo di Forrest Gump. Di tutta la loro vicenda è interessante il blocco di Richard nel voler lasciare la casa dei genitori, dato che per impossibilità economica sia lui che Margaret (e poi la loro neonata) saranno costretti a vivere lì. Lei lo supplica innumerevoli volte, vomitandogli addosso la necessità di uno spazio loro, ma lui non riesce a fare quel passo; ogni volta trova una scusa per ritardare la questione, e il duro colpo è vedere i personaggi invecchiare senza che nulla cambi, fino ad arrivare ad un prevedibile divorzio tra i due dopo moltissimi anni di convivenza. Erano davvero problemi di portafoglio quelli degli Young? Verosimile, ma poco probabile. Rimanere attaccati a qualcosa è sempre un rischio invisibile a causa dell’amore per essa provato. Il problema sta nel perdere tutto il resto indossando degli inutili paraocchi.
Una celebre espressione latina recita “Hic et nunc”, ossia qui e ora, che è proprio il momento e il luogo in cui Richard avrebbe dovuto aprire quel mutuo per una nuova casa. La paura intorpidisce, ma è nostro compito saperla affrontare. Il personaggio di Tom Hanks non è riuscito a farlo finché non è rimasto solo. E quando finalmente riesce a vendere la casa e andare via, anche il punto di vista dello spettatore cambia, rivelando con un movimento di macchina il quartiere di casa Young, quasi a voler dire che esistono infiniti altri punti di vista, e di conseguenza infinite altre storie che possono essere narrate. Scoprirle è compito dello spettatore, che senza saperlo ne sta già vivendo una, ma il compito di raccontarla spetta alla sua casa!
- Richard McGuire, Here, Pantheon Books, New York, 1989.
- Sam Mendes, 1917, 01 Eagle Pictures, 2022 (home video).
- Robert Zemeckis, Forrest Gump, Universal Pictures, 2021 (home video).
- Robert Zemeckis, Ritorno al futuro, Universal Pictures, 2011 (home video).