Quella di Antonio Caronia è una figura complessa. Difficile da delimitare il suo ambito di ricerca. Ancora oggi, nonostante la distanza temporale che si è inframmezzata tra noi e i suoi primi scritti, il suo pensiero non smette di stupirci. Nel mondo culturale milanese (ma probabilmente la considerazione si può estendere all’intero panorama italiano) la sua anomalia era evidente, sia rispetto alla sinistra, più o meno storica, a cui di fatto apparteneva e in cui era cresciuto, sia in senso lato al mondo accademico, che Caronia ha sempre percepito come troppo stretto e vincolante, e che d’altronde, a parte rare e preziose eccezioni, non ne ha mai compreso adeguatamente la capacità profetica, oltre che analitica, facoltà che invece gli venne riconosciuta nel mondo della science fiction e in quell’area, a dire il vero fumosa e poco definita, posta al confine tra letteratura, filosofia, informatica, cibernetica e teoria dei media, che si è formata a partire dalle ultime ombre degli anni Settanta per poi crescere nei decenni seguenti.
Diversamente da molte altre figure di intellettuali emerse nel decennio che seguì il 1968, Caronia a partire dal 1978 fu per la prima volta profetico, e si mosse controvento, scrivendo la parola fine a quella parte della sua vita, e con essa alla militanza in senso stretto, e avvicinandosi contemporaneamente al mondo della fantascienza e dell’immaginario. Non fu certo il solo a incamminarsi su certe strade, ma la sua particolare combinazione espressiva – un laureato in matematica con una forte connotazione politica e una profonda cultura sia filosofica che letteraria – ha aumentato quella sensazione di inattualità che già aleggiava intorno alla sua figura e che a volte lo faceva apparire come sfuggente, quasi inafferrabile, salvo poi, con la potenza della sua parola, inchiodarti al duro terreno del realismo e del materialismo.
Riscoprendo “l’uomo Caronia”
Chi ha avuto la grande fortuna, e il piacere, di sentirlo insegnare (perché questo faceva Antonio Caronia, quando parlava) sa che la parola, nel senso della voce (Alberto Abruzzese parla del suo “ruolo demiurgico”), è ciò che prima di tutto colpiva l’ascoltatore, che scopriva il suo essere incantatore, e questo sia riguardo la profondità e la contemporanea apertura mentale, sia per la capacità di accostare riferimenti apparentemente inconciliabili, e di conseguenza di ricavarne immediatamente idee e teorie di una potenza che in quel momento parevano non dover incontrare confini.
Antonio Caronia, Oxford, agosto 1979. Foto di Giuliano Spagnul.
Antonio Caronia avrebbe potuto essere oggi ricordato nell’olimpo dei grandi filosofi del nostro tempo, ma probabilmente non è mai stato interessato più di tanto a ciò, tanto era distante dai giochetti del potere e dagli accademismi tutti. L’uomo Caronia, quindi, prima di tutto, prima ancora dei suoi libri, dei suoi articoli, del suo lavoro, delle sue riviste, l’uomo Caronia con la fatica e la sofferenza scritte sul volto, l’uomo Caronia come esempio di intellettuale del nostro tempo, o, almeno, di ciò che in questo tempo avrebbe dovuto essere un intellettuale, questo dovrebbe essere l’obiettivo di una riflessione, oggi, a oltre sette anni di distanza dalla morte, sulla figura di Antonio Caronia. E in una certa misura questo fine è perseguito anche nel volume ora proposto da Meltemi, e intitolato Dal cyborg al postumano, una antologia di scritti che ripercorrono trent’anni di riflessioni, dai primi anni Ottanta fino alla prematura scomparsa.
“Prevedere il futuro del già accaduto”
La scelta è chiaramente una sfida, dato che le collaborazioni, anche durature, che Caronia ha perseguito nel corso della vita sono state molte, e analogo discorso va fatto per gli ambiti di ricerca. Tutto ciò comporta un inevitabile taglio prospettico, che qui senza dubbio è stato dato. L’unico testo inedito del volume è quello introduttivo, La nascita della biopolitica e l’uomo artificiale. Si tratta della trascrizione di una lezione all’Accademia di Brera nel 2010, dove viene analizzato il tema – centrale – del suo rapporto con Michel Foucault.
Va detto però, che molti dei testi qui riprodotti erano ormai di difficile reperibilità. Il volume, infine, si conclude con un breve intervento in merito alla pubblicazione di un nuovo numero – il decimo – di Un’ambigua Utopia, e in cui si ripercorre in poche pagine rapide la storia di questo collettivo, che fu anche una rivista, e che aveva come oggetto di indagine la fantascienza, a cui Caronia aveva aderito, e di cui uscirono nove numeri tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Oggi l’intera raccolta è stata ristampata in una ottima edizione dai tipi di Mimesis in due volumi di ampio formato, proprio per riprodurre fedelmente la rivista, anche nella dimensione visiva, non solamente in quella testuale. Per Mimesis è stato ripubblicato anche il saggio critico Nei labirinti della fantascienza, sorta di manifesto programmatico del collettivo stesso.
La curatela del volume è affidata a Loretta Borrelli e Fabio Malagnini (entrambi avevano collaborato con Caronia nello sviluppo di alcuni progetti), mentre l’onore della prefazione è di Alberto Abruzzese, che proprio concentrandosi sulla figura dell’uomo Caronia ripercorre le tappe di un rapporto a volte difficile e articolato. Questo però non gli impedisce di affrontare le tematiche su cui aveva duellato per decenni con l’amico scomparso, e di cercare una linea di dialogo con le sue molteplici metamorfosi. Scrive Abruzzese:
“E credo anche che lungo il suo intenso procedere vi siano state linee divergenti dai miei passati approcci alle materie di studio che pure abbiamo condiviso: sicuramente uno stare più avanti a me – per troppo tempo arrestatomi nel culto dell’immaginario collettivo – nel sapere prevedere il futuro del già accaduto, che pure è stata una aspirazione e persino un metodo da noi condiviso. Il progetto di lavorare a una tale fascinazione per l’oggetto di studio da trasformarlo in presagi”.
Ermeneutica del cyborg
I curatori nella prefazione prendono esplicitamente le distanze da una possibile ricostruzione filologica, che probabilmente viene ritenuta troppo rigida per la vitalità del pensiero di Caronia, e propongono una operazione particolarmente ardua e ambiziosa, proprio per la pubblicistica sterminata e la scelta asistematica caratterizzante le sue pubblicazioni, ovvero quella di provare a riorganizzare per linee interpretative la sua pluridecennale riflessione. Lo fanno utilizzando due figure topiche della sua riflessione, il cyborg e il postumano, che vengono poste agli estremi, quasi a delimitare lo spazio del discorso, come a dire da dove si parte e dove si arriva, quantunque siamo lontani da qualsiasi idea di evoluzione progressiva, mentre invece siamo immersi nei meccanismi della metamorfosi.
Il cyborg, figura a cui Caronia ha dedicato uno dei suoi titoli più noti (cfr. Caronia, 2007), oltre naturalmente a una attenzione costante nel tempo, è il simulacro della relazione tra l’uomo e la tecnica, e quindi del rapporto tra natura e cultura, il corpo dove la tecnica si incarna, diventando natura. Questa ricerca ha portato Caronia a un dialogo costante con molti dei principali autori della science fiction moderna, da Philip K. Dick a James G. Ballard, da William Gibson a Samuel R. Delany e a molti altri, i cui riferimenti si ritrovano disseminati nella sua bibliografia. L’uomo artificiale è quindi il protagonista della prima sezione del volume, intitolata Ermeneutica del Cyborg, dove, nello studio di questa figura cruciale, emerge il legame tra l’immaginario sotteso, il progresso tecnologico e lo sviluppo del capitalismo neoliberista che lo abita. Come sottolineano i due curatori:
“Nella figura del cyborg si esprime la fusione tra progresso tecnologico neoliberista e uomo. Il nostro doppio tecnologico è la cartina al tornasole e non solo la metafora di un capitalismo post-industriale maturo, il suo corpo ibrido ingloba il conflitto nei dati e nella carne, non è certo il terminale uomo di una singolarità transumanista pacificata per white rich males”.
Non vi è alcuna perplessità né incertezza nella riflessione di Caronia su questo punto: il legame immaginario – tecnologia – produzione è lo snodo su cui si articola l’intero suo percorso. Scrive Alberto Abruzzese nella prefazione:
“[…] dalle mitologie antiche in poi, sino al nodo cruciale delle strategie di modernizzazione e socializzazione, mondanizzazione e disincanto, che – sotto la poderosa spinta delle arti (delle tecniche) del Rinascimento e della volontà di potenza, cresciuta sotto l’asse classico-giudaico-cristiano dell’Umanesimo – [queste connessioni] si sono andate sviluppando tra Settecento e Ottocento. E infine la loro esplosione e insieme implosione novecentesca: come a dire che il secolo per antonomasia definito «breve» una volta rivisto attraverso altri indicatori è infinito. È luogo liminare: soglia verso un non ancora e un non più destinato a riprodursi sempre di «nuovo» (l’etimologia appunto di «moderno»)”.
Il cyborg è ciò che vi è di più simile e al tempo stesso di più distante. Il termine, come rileva Rosi Braidotti, vuole porre l’accento esplicitamente sul principio di autoregolazione (feedback) indispensabile all’essere organismo, e quindi qualcosa di inerente al vivente:
“cyborg deriva dal greco Kybernàn che significa pilotare; nel 1947 lo scienziato americano Norbert Wiener inventa l’espressione cybernetics per indicare la scienza delle macchine capaci di autoregolarsi, […] L’obiettivo della cibernetica è studiare l’interazione tra umani e macchine tramite il meccanismo del feedback. […] Cyborg è un composto di cyber e organism: significa organismo cibernetico e indica il miscuglio di carne e tecnologia che caratterizza il corpo modificato da innesti di hardware, protesi e altri impianti”
(Braidotti, in Haraway, 2018).
Ovvero la macchina che riproduce i meccanismi dell’organismo naturale, questa è la radicale innovazione che il concetto di cyborg comporta.
Il corpo della fantascienza
La fantascienza, che è il racconto di queste metamorfosi, diventa quindi la forma dell’immaginario propria del moderno, una “metafora epistemologica”, come viene definita nella seconda parte del volume, intitolata Il corpo della fantascienza. Ancora una volta quello di Caronia è un continuo confronto con gli autori di riferimento, e qui incontriamo Tzvetan Todorov, Darko Suvin, Isaac Asimov, Ursula LeGuin, Samuel R. Delany. Scrivono Borrelli e Malagnini:
“Esaminando le scienze immaginarie della fiction fantascientifica – in particolare la psicostoriografia di Asimov, la teoria temporale generale di LeGuin, e la metalogica di Delany, lo statuto epistemologico delle scienze si rivela come narrazione problematica. […] la mutazione del corpo nell’immaginario fantascientifico viene ricostruita attraverso la lente dei dispositivi potere / sapere della tarda modernità. Il tema del corpo occupa il pensiero di Caronia dagli anni ‘80, a partire dalla rilettura critica di Baudrillard, filtrata attraverso le eterotopie feyerabendiane di Delany, la psicogeografia distopica di Ballard, i simulacri e l’urgenza morale di Philip K. Dick”.
Dick è sicuramente l’autore – più di ogni altro – attraverso cui Caronia indaga la questione del rapporto naturale / artificiale, umano / non umano, tema che attraversa l’intera opera dello scrittore, dai suoi primissimi racconti sino alla bulimica auto-analisi dell’Esegesi; ma se nel suo caso l’indagine verte sulla relazione tra il soggetto e la realtà esterna, è con James G. Ballard che questa riflessione si interiorizza, accedendo al mondo della coscienza.
Ballard, possiede una particolare attitudine a rendere palpabili le trasformazioni che le tecnologie inducono sull’uomo, e come questo mutamento si trascrive letteralmente nel sistema nervoso e nelle nostre cellule. Ciò che Ballard chiama the inner world, lo spazio interiore, è il nostro sistema neurale, dove agiscono i personaggi del media landscape, l’orizzonte mediatico, ovvero il nuovo ambiente umano per eccellenza. Il sistema nervoso dei personaggi è stato quindi esteriorizzato, ed è diventato tecnologicamente manipolabile attraverso i media. Ballard ha cercato di analizzare cosa succede nel punto d’incontro tra il sistema dei media e il nostro sistema nervoso. Questa immagine lacerante di un sistema nervoso decorporeizzato, eroso, estratto dalla carne che lo definisce teleologicamente, è il filo conduttore principale della sua opera. L’interesse di Ballard, ci dice Caronia,
“si era appuntato fin dall’inizio sull’esplorazione dei rapporti tra ipertrofia tecnologica e modificazione delle strutture profonde della psiche. […] La trascrizione diretta dell’immaginario sulle nostre reti nervose è ormai più che una metafora, lo stile è insieme l’uomo e la cosa […], perché i confini tra soggetto e oggetto svaniscono sempre più […] Ballard coglie un punto di crisi, uno snodo dell’immaginario, nella figura dell’interno del corpo (e in particolare del sistema nervoso) che si cambia e si confonde con l’esterno, con la realtà percepita dai nostri sensi.”
(Caronia, in Ballard, 2001)
Sarà però solo tramite l’opera di Delany che il tema del linguaggio (che Caronia deriva da William S. Burroughs) e quello del corpo si identificano. Il corpo si tramuta in linguaggio, ovvero una forma espressiva, anzi la principale forma espressiva dell’uomo. Il corpo è comunicazione, informazione, e come tale, è infinito nelle sue forme, è sterminato. I suoi romanzi non smettono di mostrarci l’identità corpo-linguaggio. Seguendo il principio per cui il corpo stesso è linguaggio, ovvero rappresentazione, comunicazione, trasmissione di un messaggio, di un pattern di informazione, Delany postula l’artificialità di entrambi. In una sorta di gioco semantico, per lo scrittore americano qualsiasi cambiamento intervenga nel corpo implica un flusso informativo. Il suo universo è quindi una babele di forme, corpi e linguaggi, e il potere è la risultante della combinazione di corpo e linguaggio.
Biopolitica del postumano
È infine con il cyberpunk che la fantascienza porta l’immaginario a cadere nella terra del reale, secondo la definizione dello stesso Caronia, e questa sovrapposizione delle sfere apre la terza sezione del volume, Biopolitica del postumano.
Questa sezione, senza dubbio la più complessa, proprio per la sua stretta relazione con il presente che stiamo vivendo, si dipana attraverso l’ultimo decennio della riflessione di Caronia, ed è un corpo a corpo continuo con gli autori contemporanei, da William Gibson a Don DeLillo, alla ricerca di un modello interpretativo capace di essere ancora una volta profetico, di cogliere il senso di ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi per quanto riguarda la relazione tra corpo, tecnologia e linguaggio. A partire dalla inner vision di Ballard, e coadiuvato dalla lettura di Antonin Artaud, Caronia in questi saggi, posti dai curatori alla conclusione di un percorso ideale, affronta quindi il concetto di tempo, così come appare frantumato nella dialettica tra il sentimento interno che viviamo e la sua colonizzazione produttiva. È per lui sempre il corpo ballardiano, che ora, aiutato dalla tecnologia cyberpunk e dalla proiezione in rete, viene disseminato, diventando nuovamente un corpo tecnologico, come il cyborg, ma ora in quanto abitante del cyberspazio.
Purtroppo, la morte ha impedito a Caronia di procedere su questa strada e ora, dopo pochi anni che appaiono secoli, viviamo un mondo dove le sue apparenti profezie sono diventate realtà quotidiana, e le sue riflessioni si sono rivelate una potente e solida base su cui riprendere a indagare questo mondo. Di tutto ciò non possiamo che ringraziarlo, e soprattutto, rileggerlo con sempre maggior impegno e attenzione.
- Rosi Braidotti, La molteplicità: un’etica per la nostra epoca, oppure meglio cyborg che dea. Introduzione a Donna Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e bio-politiche del corpo, Feltrinelli, Milano, 2018.
- Antonio Caronia, La morbida geometria di James G. Ballard, postfazione a J. G. Ballard, La mostra delle atrocità, Feltrinelli, Milano, 2001.
- Antonio Caronia, Il cyborg. Saggio sull’uomo artificiale, Shake, Milano, 2007.
- Un’Ambigua Utopia (a cura di Antonio Caronia e Giuliano Spagnul), Nei labirinti della fantascienza, Mimesis, Milano, 2012.