Non c’è che dire, di recente il traffico sulle autostrade temporali è cresciuto sensibilmente. I viaggi nel tempo non solo furoreggiano ma paiono non volersi più confinare alla sola fantascienza e voler esplorare anche altri generi, dando vita a commistioni tanto insospettabili quanto proficue.
Tra le ultime sortite c’è quella del giovane regista irlandese Andrew Legge, Lola, il suo primo lungometraggio passato al TS+FF in quanto film in competizione per il Méliès, il concorso che premia il miglior lungometraggio e il miglior cortometraggio europei di genere fantastico. Il suo precedente lavoro, un corto intitolato The Chronoscope, raccontava di una scienziata irlandese che negli anni Trenta inventa una macchina in grado di vedere nel passato ed era in cartellone nell’edizione 2010 del TS+FF. Il vizietto di sbirciare nel tempo è rimasto vivo e Legge ci ha riprovato in grande stile con Lola, una storia assai singolare che mescola abilmente citazioni, invenzioni e rimandi letterari e cinematografici non soltanto tipici della fantascienza.
Intanto la vicenda per sommi capi, quella di due sorelle, Martha e Thomasina Hanbury, dette Mars e Thom e interpretate rispettivamente da Stefanie Martini ed Emma Appleton. Due orfanelle con il papà inventore e Thom che ne ha raccolto il testimone, addirittura costruendo un apparecchio in grado di sintonizzarsi su frequenze radiotelevisive provenienti dal futuro.
Fin qui niente di particolare, perché c’è sempre un marchingegno, o quantomeno se ne presuppone l’esistenza, per scorrazzare in tutti i tempi possibili. Qui siamo nel 1941 e ciò a cui assistono le due giovani è un susseguirsi di episodi della Storia come noi la conosciamo, ma non loro, ovviamente. Parrebbero premesse prive di originalità, ma l’abilità di Legge ha reso la vicenda originale a partire dalle prime battute del film. Noi seguiamo la vicenda delle sorelle Hambury in differita in un certo senso, osserviamo il materiale girato da Mars o filmati da lei recuperati e cuciti assieme per documentare quanto avvenuto e in seguito nascosto nella cantina della loro casa di campagna del Sussex. È dal ritrovamento delle bobine nel 2021 che prende avvio il film. Girato in un bianco e nero sgranato, con immagini artificiosamente danneggiate e contornate da bordi perforati, mostrando nel complesso segni d’usura a riprova dell’essere rimaste in cantina per parecchio tempo, Lola ha le sembianze di un mockumentary, che rimanda a The Blair Witch Project (1999) ricorrendo all’espediente del filmato ritrovato, ma non si accontenta di un semplice omaggio. Le inquadrature tremolanti ci dicono che tutto è stato girato a mano, un fai-da-te credibile per una storia incredibile, che mescola autentici filmati d’epoca con le scene girate appositamente per il film, talmente omogenee da risultare altamente credibili.
La macchina che osserva il futuro pare un grosso oscilloscopio ed è stata chiamata Lola in ricordo della mamma di Mars e Thom. Le due ragazze iniziano a far scorpacciate di futuro a partire dal 1938, quando accendono Lola per la prima volta. Eccole scoprire con un quarto di secolo d’anticipo il riff irresistibile di You Really Got Me dei Kinks, ed è ancora citazionismo perché si pensa subito a Fox che esegue Johnny B. Goode di Chuck Berry in Ritorno al futuro. L’anthem dei Kinks si cala nella storia delle due inglesi producendo un effetto trascinante: sbarazzine disinvolte introducono il brano a un ballo di militari inglesi e quel ritornello tramite passaparola diventa una presa in giro di massa di Hitler, che impazza in tutto il Regno Unito. Va ricordato che un altro hit successivo della band capitanata da ray Davies si intitola proprio Lola.
Alla scoperta del tempo futuro
Ancora, le due ragazze vengono sedotte da David Bowie che canta Space Oddity. È lui il primo volto arrivato dal futuro nel giorno fatale dell’accensione di Lola. In seguito impareranno ad amare Bob Dylan. Le sorelline vedono la cultura pop anzitempo, ma non solo. Dal futuro arrivano loro anche le immagini della guerra, dei bombardamenti su Londra, dell’inarrestabile avanzata del nazismo, cosicché Lola si trasforma in uno strumento bellico, prevedendo le mosse del Terzo Reich, dapprima in privato e la voce misteriosa che avverte in anticipo dei raid aerei diventerà nota come “l’angelo di Portobello”. Una volta svelato il loro anonimato forniranno un servizio ufficiale alla difesa della nazione. Ecco il cuore della storia, che si rivela essere un altro, originale capitolo del tema definibile “ucronia nazista”, nota in special modo per L’uomo nell’alto castello di Philip K. Dick, ma che in realtà è un florido filone, segno che la svastica è ancora un incubo da cui è difficile liberarsi. Si pensi a Il richiamo del corno di Sarban, o Grand Cayon di Vita Sackville West, oppure in tempi più recenti a La grande spia di Len Deighton e a Fatherland di Robert Harris, soltanto per restare alla narrativa. Modificare gli eventi, però, comporta sempre effetti collaterali spesso indesiderati, cosicché neanche Lola sfugge alle severe leggi del tempo e qualcosa succede (niente spoiler beninteso). Qualcosa di grosso e di pessimo. Dapprima cancellano Bowie dalla Storia, magari non lo fanno fuori fisicamente (potrebbe fare il dentista, per esempio, afferma Thom), ma il Duca Bianco sparisce dalla cultura pop e al suo posto c’è un tale Reginald Walker. Assieme a Bowie la nuova linea temporale non include più Nina Simone e Stanley Kubrick e chissà chi altri ancora, per non dire del resto… pasticciare con il Tempo è più pericoloso che maneggiare il nucleare e le due sorelle se ne renderanno conto. Lola è qualcosa ancora, una raffinata epifania dell’altro celato nelle storie di viaggi nel tempo, una piccola epifania della natura fantasmatica di queste storie. Fantasmatica non soltanto in quanto cinema e in quanto immagine, ma perché ogni viaggio nel tempo coinvolge fantasmi: chi visita o chi è visitato. Tutti contemporaneamente in Lola osservano scene che mostrano fantasmi, inclusi quelli potenziali dei tempi possibili. In questo Lola si ricongiunge a mezzo secolo di distanza al capolavoro concernente le escursioni temporali di Chris Marker: La jetée.
L’ibridazione di Lola non è un episodio isolato. C’è un plotoncino di serial usciti in tempi recenti a dimostrarlo, a far mostra di soluzioni inedite che sposano ambientazioni, scenari, direzioni sinora inesplorate. Sarà stato l’effetto della serie Dark, che ne ha riproposto efficacemente tutto il potere seduttivo del poter viaggiare tra ieri e domani e al tempo stesso le insidie mortali che il viaggio temporale porta con sé, che da spunti assai eterogenei, talora noncuranti di una impossibile allocazione della storia nei regni della fantascienza classica, si sono create serie basate, fondate, segnate dal cronoviaggio.
Viaggi nel tempo in serie
Come definire altrimenti la seconda stagione di Russian Doll? In realtà la protagonista, Nadia Vulvokov (una fantastica Natasha Lyonne, anche ideatrice e produttrice della serie), era già nella prima stagione alle prese con un loop temporale. Muore nel bel mezzo della sua festa di compleanno cadendo dalle scale, ritornando ripetutamente alla festa. Nella seconda stagione, però, il viaggio temporale avviene con tutti i crismi, laddove la time machine è una linea dell’underground newyorchese che la porta nel passato con il non trascurabile effetto collaterale di finire nell’abitare il corpo di sua madre. Ecco un aspetto trascurato dai cronisti dei cronoviaggi: non potendo occupare uno spazio che quel frangente temporale non prevede, devi per forza di cose atterrare in un corpo già presente in quel tempo.
È il meccanismo in azione a meraviglia in un’altra serie, Le 7 Vite di Léa (tratta dal romanzo di Natael Trapp, 7 giorni in 7 vite, pubblicato da Mondadori), che vede la giovane protagonista scivolare dalla sera alla mattina nei corpi di una serie di persone, tra cui quelli di sua madre e suo padre, e soprattutto in quello di un giovane loro amico, sparito misteriosamente ai tempi, in realtà morto, come dimostrerà nel primo episodio il ritrovamento accidentale dei resti da parte della stessa Léa. Storie di formazione, affanni da teenager, ma tutto rivisto grazie a un meccanismo di viaggio temporale che non conta più illustrare con le macchinose e seriose spiegazioni del viaggiatore wellsiano.
Che dire poi della serie norvegese Beforeigners, mix di sci-fi e crime story con una serie di migrazioni temporali dal passato all’oggi di vichinghi dell’undicesimo secolo, inglesi d’età vittoriana e finanche popolazioni primitive. In buona sostanza è un poliziesco, ma attenzione: protagonista principale è una poliziotta particolare, poiché è una vichinga nata mille anni fa. Non è l’unico genere invaso dai viaggiatori temporali. Ancora un esempio chiarirà come un dispositivo tra i più collaudati della fantascienza ci ricordi una volta di più la connaturata vocazione alla mutazione del metagenere fantascienza, così da poter invadere tanto il reale quanto l’immaginario.
L’ultima serie da prendere in considerazione è Outer Range, ambientazione western, lotta di due famiglie con terreni e ranch confinanti, ma al cui centro, letteralmente c’è una grande voragine che pare un passaggio temporale. Storia di misteri e di nuovi cowboy, indagine su un omicidio, ma su tutto i fenomeni che sconfinano nel paranormale per via di quella sorta di buco nero creatosi nella prateria. Se pensiamo che per certi versi la fantascienza è la continuazione del western con altri mezzi, ebbene qui siamo di fronte a un ritorno al futuro che è da corto circuito.
Un evergreen: la minaccia nucleare
Una variazione sul tema assai diversa da quella pure proposta nel corso della manifestazione triestina, The Visitor from the Future di François Descraques, una rielaborazione cinematografica della vicenda narrata dall’omonima serie televisiva transalpina realizzata dal regista francese tra il 2009 e il 2014 e piuttosto misconosciuta fuori dai patri confini. Il film racconta in buona sostanza di come correre ai ripari per evitare l’apocalisse e il mondo devastato che ne salterebbe fuori. Descraques è ricorso a un repertorio più classico, mescolando figure tipiche della sci-fi come la polizia temporale e i desolati paesaggi post-atomici con un’ennesima variante degli zombie, frutto del grande botto, aggiungendo tematiche ambientaliste, e dipingendo un’umanità forse non meritevole di essere salvata. Il viaggiatore temporale arriva dal 2555, quando ciò che resta dell’umanità non è che se le passi proprio bene. Atterra ai nostri tempi ed entra in contatto con un’eco-attivista impegnata a bloccare l’apertura di una centrale nucleare di cui è/sarà responsabile suo padre. Un impianto dal quale si originerà il disastro, salvo crono-riparazioni. Nel frattempo c’è la polizia temporale che insegue il viaggiatore temporale e i suoi compari in ogni dove, cioè in ogni quando.
Film d’azione, ma anche commedia farcita di gag divertenti (la scena iniziale è spassosissima) e un po’ film drammatico, che lascia nell’ambiguità il tema di fondo: si può cambiare senza effetti collaterali la linea degli eventi? Qui però non controllare il nucleare è peggio che uscire dal seminato con il Tempo, rovesciando il teorema di Lola. Comunque stiano le cose, fatto sta che le escursioni tra vaghi domani e remoti passati non si sono in realtà mai interrotte del tutto dal quel fatidico 1895 che segnò l’inizio del viaggio del tempo come possibilità scientificamente fondata e resa attuabile da un congegno tecnologico concepito dall’uomo, eleggendo il viaggio stesso a protagonista della narrazione.
Una storia dunque squisitamente fantascientifica, non un racconto genericamente fantastico, come quelli, sporadici, che avevano preceduto il romanzo di H.G. Wells. Affrontato dapprima nei romanzi e in seguito dal cinema (oggi infine, nelle serie, come si è accennato), il su e giù nel tempo ha mostrato da subito i paradossi che può determinare, le deviazioni, le curvature e i ripiegamenti che la Storia e le storie individuali possono subire, incluso il dar luogo a tempi alternativi, a ucronie che rilanciano la sfida a quale sia il migliore (o meglio, il peggiore) dei mondi possibili. Il rischio è sempre elevatissimo, ma di questi tempi, a quanto pare, si è particolarmente noncuranti del rischio. D’altronde il nostro presente è impegnato seriamente a non farsi rimpiangere.
- Anne Bjørnstad, Eilif Skodvin, Beforeigners, HBO/Rai Play, 2019 – in produzione.
- François Descraques, The Visitor from the Future, Pyramide Production, 2022.
- Andrew Legge, The Chronoscope, Wicklow County Council, 2009.
- Natasha Lyonne, Russian Doll, Netflix, 2019-2022.
- Charlotte Sanson, Le 7 Vite di Léa, Netflix, 2022.
- Brian Watkins, Outer Range, Prime, 2022 – in produzione.