Yeowe è chiamato dai suoi abitanti “il Mondo Libero”. Per secoli, il pianeta era stato una colonia di sfruttamento minerario del pianeta-madre Werel, retto da una società schiavistica ricalcata sul modello della madrepatria: tutte le persone non appartenenti ai ceti aristocratici dei padroni sono chiamate “vincolati” o “risorse”. Un modo elegante per evitare di usare la parola “schiavi”. Una famiglia potente può possedere oltre quattrocento schiavi al proprio servizio, e usarli non solo per i lavori gravosi e quelli domestici, ma anche per la propria soddisfazione sessuale. Quando su Werel giungono gli emissari dell’Ecumene, la federazione delle civiltà umanoidi avanzate coordinata dagli Stabili di Hain, il pianeta da cui, milioni di anni prima, ha avuto inizio la fecondazione dei mondi abitabili con il DNA hainita, il sistema rischia di andare in pezzi.
Le immagini sono di David Lupton tratte dall’edizione de La mano sinistra delle tenebre pubblicata nel 2018 dall’editore londinese The Folio Society.
Gli ambasciatori dell’Ecumene impongono la dismissione degli arsenali di distruzione di massa che i generali vorrebbero usare per domare le rivolte su Yeowe, e favoriscono – pur tenendosi formalmente lontani dalle vicende interne – la nascita dell’Anello, un’organizzazione clandestina che unisce gli schiavi di Werel a quelli di Yeowe. Vinta la guerra di liberazione sul pianeta-colonia, la rivoluzione sembra ora minacciare il Veo Deo, la superpotenza che domina Werel. Rakam è una schiava della potente famiglia Shomeke che, giunta all’età dell’adolescenza, viene affidata al soddisfacimento sessuale dei membri della Casa, donne e uomini. Quando il primogenito Erod giunge alla maggiore età, Rakam gli viene affidata in via esclusiva come concubina, ma Erod ha altri progetti: vuole rovesciare la società schiavistica del suo paese, portare su Werel la rivoluzione di Yeowe. Così, quando eredita la proprietà, parte per la capitale e lascia liberi i suoi “vincolati”, che festeggiano un giorno intero prima che i proprietari delle altre piantagioni arrivino con armi e ruspe, uccidendo e violentando per un’intera notte. Così finisce la prima rivoluzione su Werel.
Uguali e diversi
Con Ritrovato e perduto, Mondadori porta in Italia una raccolta di alcuni tra i migliori racconti e romanzi brevi di Ursula K. Le Guin, che ci ha lasciati lo scorso anno.
Una raccolta filologicamente zoppicante, dal momento che tiene insieme storie stand-alone, come il brillantissimo Paradisi perduti pubblicato nel 2013 da Delos, racconti appartenenti al ciclo di Terramare (già disponibili nel volume Leggende di Terramare), e storie del ciclo dell’Ecumene, quello per intendersi a cui appartengono i suoi capolavori La mano sinistra delle tenebre e I reietti dell’altro pianeta, sebbene con una scelta opinabile: ci troviamo infatti quattro delle cinque storie del ciclo di Werel e Yeove raccolte nel volume Five Ways to Forgiveness, con l’eccezione del primo racconto del ciclo, Tradimenti, presente invece nell’antologia italiana Il giorno del perdono, che però non comprende il quinto e ultimo racconto, Musica Antica e le schiave, che è invece presente qui.
Della più celebre antologia leguiniana, I dodici punti cardinali, è presente solo la storia Più grande, più lento di qualsiasi impero, ma mancano due racconti brevi memorabili, Quelli che si allontanano da Omelas, e La vigilia della rivoluzione, legati alle vicende dei pianeti gemelli Urras e Anarres narrate ne I reietti dell’altro pianeta.
Se quindi il lettore a digiuno della produzione di Le Guin che si accosta a Ritrovato e perduto è certamente destinato a un’esperienza abbastanza spiazzante, nondimeno è possibile apprezzare, in queste storie, tutta la maestria narrativa dell’autrice e la potenza della sua critica sociale.
Il filo conduttore della produzione leguiniana è la formidabile idea di un’antropologia dell’alterità che l’autrice recupera dall’esperienza del padre, il grande antropologo Alfred Kroeber. Senza spingersi a immaginare specie aliene e xenoforme, Le Guin indaga il modo in cui la specie umana può essere in grado di differenziarsi culturalmente se tenuta a lungo separata in mondi diversi e non comunicanti, così come per buona parte della storia umana è avvenuto con le tribù, i popoli e le nazioni della Terra. Nel compiere questo ineguagliato esercizio di speculazione, Le Guin porta avanti, ovviamente, una tesi, che è legata all’antico dibattito filosofico e antropologico del binomio natura/cultura e dei processi di soggettivazione: le differenze che riteniamo, a una prima analisi, riconducibili a fattori biologici, non sono che costrutti sociali, frutto di processi culturali.
La differenza tra razze bianche e scure che vige nella società segregazionista di Werel non è che un modo, che noi terrestri ben conosciamo, per imporre una forma di dominazione di un gruppo sociale sull’altro; e così la differenza di ruoli tra maschio e femmina.
Aspettando la Liberazione
Quando Rakam, nel racconto Liberazione di una donna, giunge su Yeowe dopo essere fuggita da Werel, scopre che la società liberata di quel pianeta continua a essere imperniata sul patriarcato. La sua attività di insegnamento viene vista con sospetto. “Le bambine non vogliono imparare quella roba”, sentenzia il capovillaggio. Ma Rakam sa bene che l’unica speranza di emancipazione, o meglio di liberazione, delle donne su Yeowe inizia con l’insegnamento e la cultura, dato che è la cultura usata come strumento di dominazione la causa della loro oppressione. Inizia così una nuova guerra di liberazione, questa volta rivolta contro la società patriarcale che vige su entrambi i pianeti. “Quando arrivai in città ero analfabeta, e sono stati i libri a darmi la libertà, a darmi il mondo… anzi, i mondi”, afferma Rakam, spiegando l’importanza dei libri e della cultura. Tuttavia, le resta il sospetto che gli yeowani, più interessati ai video e alla rete, vogliano liberarsi del passato, andare verso il futuro, e che non sarà mai possibile “cambiare la mentalità della gente con le parole”.
L’inviato dell’Ecuemene, però, non è d’accordo:
“Le parole sono essenziali al pensiero. E i libri conservano la loro verità… Se i libri non esistono, dobbiamo ricominciare da capo a ogni generazione. È uno spreco. Bisogna conservare le parole”.
Ma nel racconto Un uomo del popolo, ambientato per la prima su Hain, questo ragionamento viene ulteriormente esteso. Accusando gli storici dell’Ecumene di tenere nascosti i loro libri agli abitanti dei pueblos (i villaggi di Hain dove la vita scorre a un livello basilare della civiltà), uno di loro spiega a Havzhiva:
“I peublos hanno scelto di non avere troppi libri. Preferiscono la conoscenza viva, trasmessa oralmente o dagli schermi, trasmessa da respiro a respiro, da una mente vivente all’altra. Vorresti forse rinunciare a quello che hai imparato così? Ti sembra minore, ti sembra inferiore rispetto a quello che hai imparato qui dai libri? Non c’è un solo tipo di conoscenza”.
Si tratta di un insegnamento alla base della cultura hainita, con cui i protagonisti delle storie di Ursula Le Guin sono sempre destinati a confrontarsi: il relativismo culturale. Ogni vicenda umana è culturalmente situata, è il frutto di stratificazioni secolari di tradizioni, usi, costumi che finiscono per trasformare le categorie di senso collettive. Da questo punto di vista, ogni forma di conoscenza va rispettata. Gli hainiti lo insegnano alle donne e agli uomini che scelgono la difficile professione di Inviati nei mondi dell’Ecumene, spesso in qualità di Osservatori, con la consegna di non interferire in alcun modo con le culture indigene, in un classico esercizio antropologico di osservazione partecipante. Ma il fatto che ogni forma di conoscenza possieda la sua verità non è un’abdicazione al relativismo estremo. Esistono dei princìpi non negoziabili, e sono quelli della libertà.
Nel romanzo breve Paradisi perduti, questo tema assume un’importanza determinante. Nella nave generazionale Discovery, che ha lasciato la Terra oltre un secolo prima per raggiungere un altro mondo, l’avvicendarsi delle generazioni ha portato allo sviluppo di usi e costumi del tutto diversi da quelli della madrepatria, al punto che, con l’avvicinarsi alla fine del viaggio, la maggioranza è sempre più orientata a non rispettare la consegna della Generazione Zero, ma a continuare per sempre il proprio viaggio nel vuoto.
Il confronto difficile tra punti di vista diversi porta a una soluzione tesa a non compromettere la libertà di nessuno: libertà di continuare a restare sulla nave, libertà di scendere sul nuovo mondo e ripartire da zero. Ma se la Discovery sembra degenerare in una società teocratica e oppressiva con la ripresa del viaggio tra le stelle, il piccolo gruppo di coloni del nuovo mondo sembra invece in grado di restituire senso al concetto autentico di “Libertà”: parola che, se si abbassa la guardia, fa presto a svuotarsi di senso e a essere riempita da quello del gruppo dominante.
Una chiave è una cosa piccola rispetto alla porta che apre
La società del pianeta Seggri è rigidamente divisa in maschi e femmine. I primi, che vivono in grandi castelli, privi di ogni istruzione, addestrati fin da ragazzini – quando abbandonano per sempre le loro famiglie – agli sport e alle arti sessuali, hanno il compito di fecondare le donne, che vivono nei villaggi e lavorano perlopiù per garantire un alto tenore di vita ai maschi. Maschi e femmine non possono creare famiglie: una volta fecondata, una donna crescerà i propri figli all’interno del villaggio, con altre donne, finché il figlio maschio, raggiunta l’età adatta, si unirà agli altri uomini nei castelli. Questo stato di cose impedisce qualsiasi progresso tecnologico e civile, ma è anche un ostacolo all’amore che ogni tanto nasce tra donne e uomini nei loro incontri limitati nei bordelli dove le donne si recano per essere ingravidate o solo per soddisfazione sessuale (benché in questa società il sesso e le relazioni tra donne siano la norma, mentre i rapporti omoerotici tra uomini sono vietati).
Ne nascono storie come quella di Ittu, che, innamoratosi di una sua coetanea, cerca di sfuggire al destino che lo attende in quanto maschio e fugge nottetempo a cavallo di una mucca, per cercare di raggiungere gli emissari dell’Ecumene, venendo facilmente riacciuffato. Molti anni dopo, una legge permette la nascita delle prime università per maschi e un timido allentamento della segregazione sessuale, non privo di violenti tentativi di restaurare l’antico ordine. E finalmente, come leggiamo al termine del racconto La questione di Seggri, si compie il primo matrimonio tra un uomo e una donna, fatto impensabile solo fino a pochi anni prima, inizio di un nuovo modo di concepire la divisione di genere.
Tiokunan’n Hideo è un agricoltore del pianeta O, figlio di una terrestre che, dopo essere stata addestrata su Hain, centro dell’Ecumene, ha viaggiato su molti mondi a velocità-luce, giungendo su ciascuno di essi quando tutte le persone che aveva conosciuto sul precedente sono ormai morte da un pezzo. Una cultura in cui il viaggio a velocità-luce consente ad alcune persone di vivere per migliaia di anni, sfruttando i paradossi della relatività di Einstein, è sicuramente una grande sfida per un’antropologa del futuro come Ursula Le Guin.
Nel bellissimo racconto Una storia alternativa o un pescatore del Mare Interno il tema viene affrontato dal punto di vista di Hideo che, deciso a seguire le orme della madre, si reca su Hain, distante quattro anni-luce da O, lasciando lì i propri affetti ma promettendo di tornare. Cosa che succede solo molti anni dopo, i genitori ormai vecchi e il suo amore di allora perduto. Ma su Hain, Hideo lavora su una scoperta da poco fatta su Anarres, dove molti secoli prima lo scienziato Shevek ha realizzato la comunicazione istantanea a distanza tramite l’ansible: ora, gli anarresiani sembrano aver trovato un modo per viaggiare fisicamente nello spazio in modo istantaneo. Una rivoluzione in grado di cambiare l’universo. Quando Hideo sperimenta la nuova procedura su sé stesso, cercando di ritornare su O senza muoversi da Hain, qualcosa però non va per il verso giusto: è tornato, ma nel passato, pochi giorni dopo la sua prima partenza per Hain. Allora non ci pensa due volte, ritorna dalla sua amica Isidri, che gli aveva confessato il suo amore, e giura di non lasciarla più, scegliendo nella sua seconda vita di restare un contadino, insieme alla sua famiglia.
Nelle storie di Ursula Le Guin, i problemi che derivano dalle peculiari culture dei popoli di cui racconta assumono concretezza nelle vicende personali dei protagonisti. Molte di queste sono storie di amori difficili, perché, oltre alla perdita della libertà civile o politica, è la perdita della libertà di scelta personale a interessare da sempre Ursula Le Guin. La società di Anarres ne I reietti dell’altro pianeta, dove vige un sistema politico anarchico e profondamente egualitario, sembrerebbe un’utopia perfetta, se non per il fatto di impedire ai suoi abitanti di perseguire i propri desideri e ambizioni, concetti liquidati con il verbo “egoizzare”. Dove si trova l’equilibrio tra queste due libertà, quella delle singole persone e quella delle collettività? Secondo il credo di Odo, la fondatrice dell’anarchismo su Urras (i cui discepoli, gli ododiani, hanno poi colonizzato Anarres), anarchico è “colui che per scelta accetta la responsabilità della scelta”. Nel racconto La vigilia della rivoluzione (non incluso in questo volume), Odo insiste nel chiamare “mio marito” quello che per gli odoniani al più dovrebbe chiamarsi “compagno”. “Ma chi aveva mai detto che lei dovesse essere una buona odoniana?”.
La domanda che domina tutta la produzione di Le Guin sembra quindi destinata a restare aperta e senza risposta. Ma certa è invece la convinzione dell’autrice che non possa esserci emancipazione dall’oppressione senza liberazione individuale. Le ultime righe del racconto Liberazione di una donna contengono, al riguardo, una dichiarazione che, leggendola, ci permette quasi di risentire la sua voce tranquilla, ferma, determinata, che ci parla dal di là della grande barriera:
“Che cosa sono l’amore e il desiderio di un uomo e una donna, contro la storia di due mondi, le grandi rivoluzioni delle nostre epoche, la speranza, l’incessante crudeltà della nostra specie? Una cosa piccola. Ma anche una chiave è una cosa piccola, rispetto alla porta che apre. Se perdi la chiave, una porta potrebbe restare chiusa per sempre. È nei nostri corpi che perdiamo o conquistiamo la nostra libertà, nei nostri corpi che accettiamo o interrompiamo la nostra schiavitù. Così ho scritto questo libro per il mio amico, con cui ho vissuto e morirò libera.”
- Ursula Le Guin, Il giorno del perdono, Fanucci, Roma, 1997.
- Ursula Le Guin, La mano sinistra delle tenebre, TEA, Milano, 2003.
- Ursula Le Guin, I dodici punti cardinali, Nord, Milano, 2004.
- Ursula Le Guin, La saga di Terramare (comprende anche Leggende di Terramare), Mondadori, Milano, 2013.
- Ursula Le Guin, Paradisi perduti, Delos, Milano, 2013.
- Ursula Le Guin, I reietti dell’altro pianeta, Mondadori, Milano, 2014.